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Come si evince dalle fonti orali (interviste a cura della scrivente in occasione del progetto “La valigia della Resistenza” alla nipote Maria Pia Sgonichi, alla vicina di casa Nadia Pini, al figlio del falegname di Vairo Enzo Capacchi) e da quelle scritte (M.Villa-M.Rinaldi, Dal Ventasso al Fuso; U.Bertoli, La Quarantasettesima; G.Riccò, Il comandante Juan), Maddalena Madureri fu attiva nella lotta di Liberazione dapprima con un ruolo di cura e supporto ai gruppi di soldati sbandati dopo l'8 settembre 1943, divenuti poi partigiani; quindi come collaboratrice di ufficiali inglesi della RAF, fuggiti dal campo di prigionia di Fontanellato, a partire dal mese di novembre '43; come staffetta all'interno del Distaccamento Zinelli, comandato da Gianni di Mattei “Juan”, poi inquadrato, assieme al Don Pasquino, al Nadotti e al Cavestro, nella 47^ Brigata Garibaldi (30 luglio 1944) e infine, dal dicembre 1944, come informatrice del maggiore Holland, in qualità di infiltrata a Collagna (RE), nell'albergo Posta, dove era alloggiato un grosso contingente della Wehrmacht.
Nata nel 1908, in una numerosa famiglia contadina (era la prima di sei figli), quando decise di prendere parte alla Resistenza non era più una ragazzina – aveva circa 35 anni – e, cosa singolare per l'epoca, non era sposata. Enzo Capacchi, che allora aveva undici anni, ha riferito in merito: “Avrà avuto più di trent'anni, era attempata. Non so perché non era sposata, non era brutta ma 'gh piazeva cmanda' [le piaceva comandare]! Era piena di coraggio. Maddalena l'era una libra [era una libera]! Una ch' la 's cavava 'l mosch dal naz [una che si toglieva le mosche dal naso]”.
Così, questa donna “attempata”, non certo una ragazzina ma una donna matura, a cui piaceva “comandare” e non essere sottomessa – né a un uomo, né alla retorica del regime fascista – per essere semplicemente una persona libera – potremmo definirla una femminista di fatto – , pur non avendo una formazione né culturale né politica, scelse con cognizione di causa da che parte stare.
Probabilmente fu proprio il contesto la sua “scuola”: la subalternità vissuta in quanto donna, in quanto contadina povera e in quanto montanara residente in un piccolo paese di montagna la spinse a desiderare un'emancipazione a tutto campo e a fare ciò che sapeva fare meglio da quando era nata: rimboccarsi le maniche e arrangiarsi, facendo affidamento esclusivamente sulla propria forza e sulla propria intelligenza. Dopo la scuola elementare non aveva proseguito gli studi, come succedeva allora, specie nelle famiglie numerose e prive di mezzi, e in modo particolare quando si trattava di bambine.
E da ragazza, sempre seguendo una prassi diffusa per tutta la prima metà del Novecento nelle zone montane, lasciò il paese per trasferirsi in città: “andar per serva” si diceva. Maddalena non fece eccezione: andò come domestica a Milano, a casa di una famiglia benestante, a sbrigare quelle faccende che aveva imparato a svolgere precocemente a casa propria, in qualità di figlia maggiore, investita, da subito, di un ruolo di responsabilità genitoriale nei confronti dei fratelli più piccoli. Di questa esperienza la giovane Maddalena, dotata di un'intelligenza vivace, curiosa e aperta alle novità, fece tesoro: si può presumere che sia stata per lei un'occasione di ampliare i propri orizzonti e rafforzare la sua indole indipendente e anticonformista. Non sappiamo se la permanenza in città sia stata formativa anche dal punto di vista culturale o politico, quel che è certo è che Maddalena, riuscendo a mettere da parte qualcosa, fu la prima a portare a Vairo una radio, la radio “Marelli”. E forse anche la radio contribuì alla maturazione di una embrionale coscienza politica, proprio negli anni dell'ascesa del fascismo, anche se probabilmente l'antifascismo di Maddalena, condiviso all'interno della famiglia, fu più legato a un'istintiva avversione allo status quo, alla miseria e alla subalternità della propria condizione sociale.
Il modello di riferimento, secondo la nipote Maria Pia, non poteva che essere sua madre Marianna: “Di mio nonno non ho molti ricordi, era sempre via per lavoro, anche all'estero. Gli uomini, in linea di massima, a quell'epoca erano tutti via, chi era a casa era perché aveva degli impedimenti. Mia nonna, nonostante il suo analfabetismo, era abituata a rimboccarsi le maniche, nel bene e nel male e ad andare avanti”.
Per andare avanti e cambiare il proprio destino Maddalena Madureri mise a disposizione del Distaccamento, comandato da Gianni di Mattei, la propria abitazione - un “casone” l'ha definito la nipote - a due piani: il primo ospitava la scuola del paese e il secondo la numerosa famiglia Madureri. L'edificio era collocato in una posizione strategica nell'abitato di Vairo Superiore, una posizione sopraelevata che consentiva di controllare l'arrivo dei tedeschi e quindi di segnalarne la presenza facendo suonare le campane.
Per questo – ha ricordato la nipote – la famiglia fu minacciata e allora la nonna Marianna “usò” lei, piccola e bionda, “la tedesca”, per distrarli e confonderli, tirando fuori anche caramelle, cioccolato, zucchero, sorrisi e un fare da finta tonta, che fu strategia comune utilizzata da tante donne partigiane, che compirono imprese cruciali, anche grazie alla loro sottovalutazione da parte del nemico. Una scena apparentemente poco importante, quasi folcloristica, e invece significativa, che dà conto di come il supporto, la protezione, la cura, in sintesi, dei partigiani da parte della popolazione locale sia stata vitale e salvifica per tante formazioni, che in montagna non erano esattamente di casa e, diversamente, non avrebbero saputo come muoversi e dove rifugiarsi.
Nel caso di Maddalena Madureri è riduttivo, però, parlare solo di ruolo di cura perché le fotografie, particolarmente significativa quella con la pistola – conservata nel Museo della Resistenza di Sasso e donata, con dedica, alla vicina di casa Nadia Pini – e le testimonianze sia orali che scritte restituiscono di lei l'immagine di una autentica partigiana combattente: vestiva da uomo, con braghe larghe, una giubba militare, un fazzoletto al collo (come quello che compare nel ritratto di Bertoli), scarponi militari troppo grandi per i suoi piedi e portava una pistola con caricatore nella cintola dei pantaloni. Sul fatto di saperla usare, le testimonianze orali non hanno dato informazioni certe, mentre Gianni Riccò, nel libro Il comandante Juan, le fa dire: “Sono di Vairo, è da alcuni giorni che cerco la banda di cui tutta la montagna parla. Vengo da una famiglia antifascista, ho esperienza nella guerriglia, so sparare come un uomo e cavalcare anche meglio; spiccico qualche parola in tedesco, conosco bene la zona e ho lavorato per la missione inglese già dal novembre 1943”.
Che sapesse realmente sparare o che si limitasse a girare con disinvoltura con una pistola è poco rilevante, quello che più conta è che con le armi aveva sicuramente dimestichezza perché spesso circolava nelle valli dell'Enza e del Cedra con borse piene, di documenti, ordini, cibo, medicine o armi, appunto, da distribuire ai compagni partigiani. La sua conoscenza del territorio e le sue indicazioni erano preziose ed erano servite ad evitare alle formazioni partigiane agguati e rappresaglie; la sua calma e il suo sangue freddo le avevano più volte salvato la vita, come quella volta che, durante il rastrellamento tedesco dell'estate del '44, un drappello di soldati nazisti, accompagnati da uomini della brigata nera, giunse a Vairo per cercarla e, nel centro del paese, si imbatté proprio in lei, che ebbe la prontezza di dire di aver visto Maddalena pochi minuti prima fuggire verso il bosco. Enzo Capacchi, rievocando l'episodio, ha ricordato: “Lei è andata su, l’andava cme ‘na levra [andava come una lepre]. Lei faceva la staffetta. Dopo forse cinquant’anni, le ho detto: «Dove ti sei fermata?». «Me n’ho gnan vist la strada, em son anda’ a loga’ drent a un cazlar a Nevian [Io non ho neanche visto la strada, mi sono andata a nascondere in un casolare a Neviano]».”
La sua prontezza la salvò anche quella volta che, dopo essere scesa a Parma a piedi per fare rifornimento di medicinali, arrivata a Cascinapiano con lo zaino pieno, venne affiancata da una camionetta di tedeschi: in un primo momento pensò che fosse la fine e poi invece – come ha ricordato Nadia Pini – ebbe l'idea di fermarli e di chiedere un passaggio: “È salita, si è tolta lo zaino, gliel'ha passato e loro hanno caricato lo zaino senza neanche controllare. Che coraggio e che prontezza di riflessi!”.
Gianni di Mattei, nome di battaglia “Juan”, comandante del distaccamento Zinelli della 47^ brigata Garibaldi, era giunto in montagna dopo essere fuggito, durante un bombardamento aereo, dal carcere di Parma – dove era detenuto per omicidio a scopo di rapina.
“Juan”, figura affascinante e controversa, processato e condannato dai suoi stessi compagni nell'ottobre del '44 per abbandono della posizione e sobillazione contro il Comando di brigata, ebbe sicuramente un ruolo importante nella vita di Maddalena, che, secondo quanto emerge dalle fonti, non solo lo amò, ma compì un'impresa che si arricchì nella fantasia dei montanari e diventò subito leggenda: il disseppellimento del cadavere del suo uomo e il suo trasporto in un luogo sconosciuto dove la salma ricevette la benedizione e fu dunque ristabilito l'ordine della pietà.
Questo gesto che fa di Maddalena una novella Antigone, collocandola in una dimensione mitica e sottraendola alla sua dimensione storica, è probabilmente all'origine della damnatio memoriae che ha investito in qualche misura la partigiana Maddalena Madureri, ridotta al ruolo ancillare della staffetta di Juan e destinata a condividerne la sorte anche post mortem.
Riportare invece Maddalena Madureri nella sua dimensione storica significa ridarle luce come figura autonoma. E l'autonomia, assieme alla forza e alla determinazione, è la caratteristica della sua personalità che emerge inequivocabilmente da ogni fonte. Intitolarle una piazza nella “sua” Vairo appare oggi come un atto dovuto, un modo di restituire il giusto onore a lei e, insieme a lei, a tutte le donne e a tutti i montanari che hanno avuto un ruolo determinante nel rendere questo Paese libero e democratico.