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Fontevivo – No alla targa per i caduti rsi

La recente decisione della Giunta Comunale di Fontevivo di apporre una lapide commemorativa ai caduti della Repubblica di Salò nel cimitero comunale, rappresenta un atto grave e inaccettabile.

Tale scelta, assunta senza un necessario dibattito in Consiglio Comunale, ma attraverso delibera di Giunta, solleva questioni di natura politica, storica e morale che non possono essere ignorate.

Pur nel rispetto del dolore delle famiglie dei defunti, non si può accettare che una simile iniziativa diventi un malcelato pretesto per una rivalutazione del fascismo e dei suoi sostenitori. La Repubblica di Salò fu un governo criminale e collaborazionista, asservita all'occupazione nazista e responsabile di crimini contro la popolazione civile e i partigiani che lottavano per la libertà.

La RSI è sinonimo di rastrellamenti, deportazioni di civili e violenze contro i partigiani, torture e omicidi. Lungi dall’essere un movimento di "onore e riscatto", la RSI rappresenta gli eccidi di Marzabotto, di Sant'Anna di Stazzema delle Fosse Ardeatine …

L'adesione alla RSI significò schierarsi con l’oppressore nazista, con i carnefici dei campi di sterminio, con chi distrusse l’Italia e il suo popolo.

Un tentativo disperato di un regime sconfitto di perpetuare la dittatura fascista, opponendosi alla Resistenza a chi si opponeva al fascismo ed alla costruzione di una nuova Italia libera e democratica, alla sua redenzione.

Celebrare oggi quei caduti, senza contestualizzarne il ruolo storico, rischia di legittimare un'ideologia che ha portato solo morte e sofferenza.

Ecco perché Fontevivo, ma l’intera provincia di Parma - decorata con la Medaglia d’Oro al Valor Civile per la profonda fede in un’Italia, libera, democratica, antifascista - non può tollerare la presenza di un monumento che onori chi combatté per una ideologia di tortura e morte.

Ecco perché non si tratta di un semplice ricordo dei caduti, ma di una scelta che assume un preciso significato politico e che contrasta con i valori fondanti della nostra Repubblica.

La posa di questa targa, proprio nell'anno in cui si celebra l'ottantesimo anniversario della Liberazione, appare come un segnale pericoloso di revisione storica e di tentativo di legittimazione di un passato che invece deve essere condannato senza ambiguità.

Un insulto alla Memoria della Resistenza

Proprio perché la memoria della Resistenza e della lotta partigiana non è solo un dovere storico, ma una responsabilità morale ricordare chi combatté per la libertà significa non permettere che il fascismo, sotto qualsiasi forma, possa tornare a trovare spazio nel nostro paese

Per questi motivi, chiediamo con fermezza la rimozione della lapide dal cimitero comunale, come atto di rispetto verso la memoria della Resistenza e dei valori sanciti dalla Costituzione italiana.

Non possiamo accettare che simboli di un passato oscuro trovino spazio nelle nostre città. La storia non può essere riscritta, né tantomeno strumentalizzata.

La Memoria della Lotta per la Libertà deve essere difesa con determinazione.


ANPI - COMITATO PROVINCIALE PARMA 

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21 Marzo, Vizzola – Commemorazione ufficiale

Le parole del presidente del comitato provinciale ANPI di Parma
Nicola Maestri

Autorità civili e militari, rappresentanti delle Pubbliche Amministrazioni, rappresentanti delle Associazioni partigiane, combattentistiche e d’arma, parenti delle vittime che oggi andiamo a ricordare, antifasciste e antifascisti, cittadine e cittadini di Fornovo, buongiorno!

AZZOLINI GIUSEPPE era nato nel 1928 a Lesignano Bagni in provincia di Parma. Era Partigiano dal 1 ottobre del 1944, faceva il calzolaio assieme a suo padre. Il suo nome di battaglia era Andrei. Giuseppe era il più giovane dei tre partigiani uccisi in questo luogo

sacro. Abitava a Santa Maria del Piano.
BREMI FERDINANDO
era un classe 1920 ed era nato a Milano. Non era forse un caso che il suo nome di battaglia fosse Milan. Era Partigiano dal 27 ottobre del 1944 e anche lui abitava a Santa Maria del Piano

ANDREA BIANCHI invece era nato il 5 febbraio 1917 a Badia Pozzeveri una frazione di Altopascio, in provincia di Lucca, era il più “grande” dei tre, pensate un pó, il partigiano

“Ras”, sposato e padre di una bimba, Alberta, era quasi considerato vecchio per quella nidiata della meglio gioventù.

[...]

continua

[...]

A questi uomini, a questi partigiani, a questi giovani, dobbiamo la nostra riconoscenza perché sappiamo che la democrazia di oggi e la nostra Costituzione sono il frutto delle loro lotte, delle loro sofferenze e della morte di tante vittime innocenti.
Noi, cittadine e cittadini, noi istituzioni, ma anche voi giovanissimi che sarete la classe dirigente di domani, non ce lo dobbiamo mai e non ce lo dovremo mai dimenticare. La Resistenza è stata di fatto unitaria e fin dall’inizio ha saputo trovare un accordo di compromesso, persino con la monarchia, seppur macchiata dalla connivenza con il fascismo,
Resistenza che ha saputo formare un governo unitario nelle zone liberate e formare i Comitati di Liberazione Nazionale nelle zone ancora occupate. Quindi non ci furono due Resistenze, quella democratica e quella rivoluzionaria che puntava alla presa violenta del potere, come qualcuno vuol farci credere. E’ per loro, per quegli uomini che sacrificarono la loro vita qui su questi campi, su questo muro, che dobbiamo recuperare e restituire alla gente tutta l’umanità, il rispetto, la dignità che furono – e sono – sconosciuti alle dittature.
È questo il senso della memoria. Celebrare la memoria significa riscoprire chi siamo, preservare le radici comuni, ricordare i drammi collettivi. Per poter essere migliori e per evitare nuove barbarie È fondamentale non solo “fare memoria” circoscrivendola in una data, pure importante, come quella di oggi, che ci ricorda che sono trascorsi ottant’anni da quel giorno angosciante, bensì vivere la memoria, diventare memoria, essere memoria e testimoniarla nell’oggi della storia, per impegnarci a costruire un futuro più giusto e umano attraverso un antifascismo militante. Proprio perché l’antifascismo è anche aver cura della memoria della nostra comunità e del mondo. Perché c’è un pericolo, qui e ora, per la democrazia e la convivenza civile


E QUEL PERICOLO SI CHIAMA FASCISMO

Chi in vari modi cerca di rivalutarlo, di rivalutarne i personaggi, di attenuarne le responsabilità, di far rivivere il razzismo, il disprezzo per l’avversario, il linguaggio, gli atteggiamenti e le azioni violente, si rende loro complice e apre la strada a nuove ingiustizie e a nuove tragedie. Ricordiamolo che il fascismo e il nazismo oltre a scatenare la guerra, la usarono consapevolmente come occasione per l’eliminazione di intere popolazioni, cercando con il terrore di applicare il loro folle mito della razza. Ricordiamolo, la scienza è chiara: le razze non esistono, nel caso ne esiste una, quella umana.

Io penso, allora, che dobbiamo organizzare tutte le nostre energie, in una resistenza civile e culturale larga, diffusa, unitaria. Occorre imparare a recuperare quella memoria storica italiana per provare a costruire una memoria storica europea; in un momento in cui l’idea di un continente unito, quella sognata da Altiero Spinelli e da Ernesto Rossi, è minacciata da nazionalismi e nuovi razzismi. Noi, popolo di oggi, dobbiamo imparare dai morti di ieri, caduti assieme. Abbiamo bisogno di umanità. Quella Umanità futura e migliore in nome della quale queste persone sono morte. L’esercizio della memoria deve comprendere anche i nomi che oggi celebriamo, ricordiamo.

Stasera quando torneremo nelle nostre case accoglienti e ci adageremo nei nostri tiepidi letti, ricordiamoli. E domattina quando apriremo gli occhi, ricordiamoci di Giuseppe, di Ferdinando, di Andrea. Immaginiamo che in quel periodo questi nostri fratelli avevano la vita che gli si schiudeva davanti, e non l’hanno potuta vivere liberamente perché altri decisero che dovessero morire.

Ricordiamoli ogni giorno della nostra vita, solo in questo modo renderemo loro giustizia, evitando che le loro vite e le loro storie, possano scivolare nell’oblio.

È necessario, è doveroso che Andrej, Milan e Ras rimangano un monito a futura memoria, affinché questi orrori e questi precipizi di disumanità della storia, non abbiano più da accadere.

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1° Marzo – Il saluto alla manifestazione del Presidente del comitato provinciale ANPI Parma, Nicola Maestri

Sabato 1 marzo 2025, Parma, città medaglia d'oro della Resistenza, ha ospitato una grande manifestazione antifascista che ha visto la partecipazione di oltre 5000 persone, unite dalla volontà di condannare ogni forma di fascismo e di difendere i valori di libertà e democrazia.

Il corteo, che è partito dal monumento al Partigiano, è stato un momento di forte partecipazione civica, simbolo del rifiuto di Parma e dei suoi cittadini a qualsiasi manifestazione di odio e intolleranza. In testa al corteo, il sindaco Michele Guerra e Franco Torregiani per la Provincia di Parma, hanno guidato la manifestazione che ha rappresentato non solo una protesta contro il neo-fascismo, ma anche un momento di riaffermazione dei valori che hanno guidato la Resistenza, fondamento della città 

Le parole del presidente del comitato provinciale ANPI di Parma
Nicola Maestri

Buongiorno a tutte e a tutti gli antifascisti che si indignano, a tutte le persone che non accettano che gruppi di neofascisti che fanno dell'odio e della discriminazione la loro cifra, possano invadere e infestare una città come Parma, medaglia d'oro alla Resistenza e al valor militare.

ANPI provinciale Parma, le istituzioni così come i sindacati, i partiti, le associazioni, la società civile, i singoli, è in prima fila e al fianco di chi democraticamente si riconosce nella Carta Costituzionale e ne rispetta e pretende l'applicazione in tutti i suoi articoli. [...]

continua

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La Costituzione italiana è costitutivamente antifascista: non tanto e non solo perché essa contiene la famosa XII disposizione transitoria e finale, che vieta "la ricostruzione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista." Quanto perché ogni singolo articolo della Costituzione, soprattutto nella parte in cui si dichiarano i principi fondamentali sui quali si regge la Repubblica, è scritto in trasparente antitesi alla teoria e alla prassi del fascismo. Basterebbe questo per condannare definitivamente quello a cui la Storia ci ha già sottoposto. Ma oggi serve di più visto le derive autoritarie e securitarie che l'Italia e il mondo occidentale stanno mettendo in atto. Ci troviamo quindi a dover rispondere ancora una volta, sotto le pressioni incessanti, a provvedimenti discriminatori e retoriche xenofobe a servizio dei potenti mentre si dichiarano amici del popolo, questa è una deriva in cui si crea la legittimità degli squadrismi, dell’ambiguità istituzionale, della minimizzazione, dell’altrismo e dell’indifferenza, verso cui è doveroso ricostituire una linea storica che rispetti i suoi eroi e che difenda le vittime dell’oggi e del domani. “Dove un fascismo, non è detto che sia identico a quello, un fascismo cioè un nuovo verbo, come quello che amano i nuovi fascisti d’Italia, cioè che non siamo tutti uguali, non tutti abbiamo gli stessi diritti. Dove questo verbo attecchisce alla fine c’è il lager, questo lo so con precisione. Alla fine del fascismo c’è il lager”. Così disse Primo Levi. Mentre Giacomo Ulivi ci ricorda: “non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere”. Proprio con Giacomo Ulivi, come fece nella sua lettera, nei suoi pensieri, vorrei parlare a voi, a noi.

“Soprattutto, vedete, dobbiamo fare noi stessi: è la premessa per tutto il resto. Quanti di noi sperano nella fine di questi casi tremendi, per iniziare una laboriosa e quieta vita, dedicata alla famiglia e al lavoro? Benissimo: è un sentimento generale, diffuso e soddisfacente. Ma, credo, lavorare non basterà; e nel desiderio invincibile di "quiete", anche se laboriosa, è il segno dell'errore. Perché in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica. È il più terribile, credetemi, risultato di un'opera di diseducazione ventennale, di educazione negativa, che martellando per vent'anni da ogni lato è riuscita ad inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Fondamentale quello della "sporcizia" della politica. Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questo dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora. Di fronte a qualche vacua, rimbombante parola che cosa abbiamo creduto? Ci siamo lasciati strappare di mano tutto, da una minoranza inadeguata, moralmente e intellettualmente. Credetemi, la "cosa pubblica" è noi stessi, per questo dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante. Perché da questo dipendono tutti gli altri, le condizioni di tutti gli altri. Per questo dobbiamo prepararci. Può anche bastare, sapete, che con calma, cominciamo a guardare in noi, e ad esprimere desideri. Oggi bisogna combattere contro l'oppressore. Questo è il primo dovere per noi tutti: ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo, e che eviti il risorgere di essi ed il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su di noi.”

La città di Parma, la sua Provincia, le comunità che vivono questi luoghi hanno avuto la fortuna di avere grandi e preziosi esempi, che hanno subìto le violenze e i soprusi di queste squadracce fasciste senza mai piegarsi definitivamente. Vent'anni di dittatura, di odio, di discriminazione, di macerie e lutti infiniti, per quanto si provi, non si cancellano facilmente, e noi siamo quelli che hanno le spalle larghe e le menti lucide per rivendicarne i frutti, le nostre radici affondano nelle partigiane e nei partigiani che hanno saputo soverchiare forze micidiali e sovrastanti, il nostro faro si chiama Caduti per la Libertà, il nostro nome corrisponde a Carta Costituzionale, quella su cui ogni istituzione giura e ha giurato e oggi dichiariamo a gran voce, con la forza della storia, NON PASSERANNO, NON PASSERANNO.

PARMA e le sue genti erano, sono e resteranno identitariamente ANTIFASCISTI!!!

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TESSERAMENTO 2025

E' ufficialmente aperto il tesseramento 2025 per la nostra associazione.

Per rinnovare la tessera o per aderire per la prima volta, consulta il nostro sito web (clicca qui), dove troverai tutti i contatti delle sezioni territoriali da raggiungere per il tesseramento. Ogni sezione sarà a disposizione per fornirti tutte le informazioni necessarie.

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Commemorazione Attilio Derlindati

discorso di Nicola Maestri Presidente Comitato Provinciale ANPI Parma

Ringrazio la sezione ANPI “Stigli” di Collecchio, per questo significativo invito. Ringrazio l'amministrazione comunale, sempre così attenta al tema della memoria, e dico grazie a tutti i presenti. Nel novembre 1944 il territoriodell’alta Val Parma fu attraversato da ingenti forze nazifasciste. Soldati addestrati ed equipaggiati per azioni di antiguerriglia rastrellarono paesi e boschi in cerca di partigiani.[...]

continua

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Trascorsero quasi 20 giorni prima che gli antifascisti potessero fare ritorno e rioccupare il territorio che avevano dovuto abbandonare frettolosamente poche settimane prima per evitare la cattura. Nella casa della famiglia di mezzadri Bernini-Rossi a Lama di Ravarano si era insediata una parte degli uomini che componevano il Distaccamento “Stomboli-Gradessa” della 12^ Brigata Garibaldi. Nonostante la calma che sembrò segnare i giorni successivi al rastrellamento, i tedeschi di stanza a Cassio Parmense furono informati della presenza di partigiani a Lama. La casa fu circondata e gli uomini presenti furono arrestati. Bruno Ferrari, Partigiano “Zannarossa” decise di uccidersi facendosi esplodere una bomba a mano sul ventre, piuttosto che essere catturato. Agli altri furono legati i polsi dietro la schiena col filo di ferro e furono condotti verso Cassio.

Tra di loro anche un ragazzino, poco più che un bimbo, Walter Bernini, di 15 anni. Qui furono fucilati e sepolti all’insaputa di tutti, che li pensarono deportati in Germania. I loro corpi sarebbero stati scoperti solo a guerra finita, nel maggio del 1945. Quando furono recuperate le salme dei “martiri della famiglia Bernini-Rossi” venne alla luce anche un’undicesima vittima di uno sconosciuto, probabilmente un olandese disertore dell’esercito tedesco. Tra i sei partigiani giustiziati c'era anche Attilio Derlindati, Partigiano “Mongolo”, che era il Comandante del Distaccamento “Stomboli-Gradessa della 12^ brigata Garibaldi “Fermo Ognibene". Attilio aveva 21 anni ed era uno studente di Scienze naturali. Pensate un po' ventun’anni, potrebbe essere nostro figlio, nostro nipote. Personalmente ho un figlio della stessa età, studente al terzo anno di Scienze politiche. È stato semplice per me entrare in empatia con Attilio e pensare cosa lo abbia spinto in quegli anni, a compiere una scelta così netta e definitiva. Occorrerebbe ricordarlo più spesso questo nome, questo cognome, e chi come lui per un'idea di libertà, ha donato il bene più prezioso in suo possesso, quello della vita. Occorrerebbe ricordare più spesso i ruoli delle persone che qui, come in tante altre parti del mondo hanno perso la vita, e tutto ciò che avevano, per resistere. L’eccidio del 7 dicembre 1944, ottant'anni proprio oggi, non è stato solo l’omicidio ignobile e barbaro di 7 partigiani e 4 civili innocenti. È stato l’attacco alla montagna, all’idea della montagna e ai suoi figli. Le progenie della resistenza e insieme i suoi artefici hanno costretto i tiranni a venire sulle nostre montagne, nei nostri luoghi, negli anfratti delle grotte, dei rigagnoli, degli alberi centenari. Hanno violato luoghi sacri di lavoro e silenzio. Hanno voluto incidere profondamente, hanno profanato corpi e speranze, ma non hanno annientato l'idea, che è stata quella che ci ha condotto ad essere di nuovo liberi. La Libertà è passata da qui, attraverso i massacri della Conca della Bora, come negli altri innumerevoli luoghi di eccidi, di dolore straziante. E badiamo bene, non per scappare è arrivata la montagna, ma per combattere. Ad inseguire e a stanare la debolezza inerme furono i nazifascisti, che per incapacità e ignominia infierirono sempre sugli indifesi, sui ragazzi, sui simboli, disumanizzandoli, come in questo caso. La resistenza è quella delle montagne e delle pianure, delle città e dei paesini arroccati, delle singole stalle, dei focolari,dei contadini, delle donne, dei giovani ragazzini, la resistenza dei momenti umani che ci toccano nel profondo. Grazie al ruolo che ho l'onore di ricoprire pro tempore, ho avuto la possibilità di conoscere persone, intere comunità e luoghi che hanno spesso similitudini di dolore e resistenza. La resistenza alle torture, sintomo della debolezza intrinseca dei fascisti e dei nazisti, che umiliano il corpo e annientano le membra per distruggere l’ideale che non riescono a spegnere. E l'eco di quelle torture, di quel crepitio di mitraglia, di quell’infinito desiderio di tornare ad essere individui liberi, deve guidare tutti noi oggi nella quotidianità, a batterci per un mondo migliore, più equo, più giusto, più solidale. E se davvero aneliamo a tutto ciò, se dentro noi è rimasto un barlume di giustizia e libertà, dobbiamo fieramente passare da questi luoghi di strazio e sofferenza, se desideriamo tornare a una vita degna di questo nome. Piero Calamandrei, in un celeberrimo discorso tenuto nel 1955 a Milano, davanti a una platea costituita solo da giovani ragazze e ragazzi, ebbe modo di dire a loro: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione”. Probabilmente di quella platea giovanile, di ormai settant'anni fa, molti saranno parecchio anziani o non ci saranno più, ma quel monito del vecchio giurista e Costituente Calamandrei rimane di una attualità disarmante. Ricordare qui oggi Attilio Derlindati, e assieme a lui tutti i martiri di Cassio, non è solo un dovere civile e morale, ma è anche un bisogno assoluto, quasi fisico, di riscoprire le nostre radici, da dove proveniamo, di quali siano le nostre storie intime, individuali, per giungere a quella più macro, a quella collettiva che mai come in questo periodo storico ha la necessità di essere evidenziata e riaffermata. Ottant'anni per un giovane di oggi appaiono come un salto temporale enorme, per la grande Storia invece è solo un soffio, un sospiro. Per accorciare sensibilmente i tempi che sembrano così distanti alle nuove generazioni, raccontiamo loro la Storia dei tanti Attilio che hanno costellato di martiri la nostra Storia recente, storie di uomini e donne che hanno detto di no a ogni dittatura. Solo così dimostreremo loro tangibilmente che la memoria e gli esempi non si insegnano ma si tramandano di generazione in generazione. Grazie.

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