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L’Anpi di Parma fa appello alla Sindaca di Sarzana e alla Giunta comunale affinché si adoperino con urgenza per cercare una soluzione alla grave situazione venutasi a creare in relazione allo “sfratto” dalla propria sede dell’Anpi di Sarzana. [...]

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Non è accettabile che in una delle città italiane simbolo della lotta antifascista l’Associazione dei partigiani, tradizionalmente attiva nel far conoscere ed approfondire le tematiche su cui si fonda la nostra democrazia, si trovi a dover sospendere il proprio programma culturale e a non sapere dove spostare il proprio patrimonio documentario.

Per questo siamo solidali con le amiche e gli amici dell’Anpi di Sarzana e con i cittadini tutti che domani parteciperanno al presidio organizzato in piazza Luni per chiedere all’amministrazione comunale una soluzione temporanea che permetta il trasloco dell’archivio, dei mobili e dei materiali attualmente in sede.

Nella speranza che questo sia stato solo un incidente di percorso e che ci sia una reale volontà di affrontare il problema in modo positivo, noi dell’Anpi di Parma contiamo molto su uno sviluppo rapido della situazione, in modo da avere la certezza che i valori dell’antifascismo e della Resistenza – su cui si basa la Costituzione italiana - siano ancora al centro delle politiche comunali, al centro di ogni agire democratico delle nostre Istituzioni.

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Formazione ANPI

INCONTRO CON REFERENTI FORMAZIONE PROVINCIALI ANPI

Sabato 24 giugno 2023
Sede Nazionale ANPI

Relazione di Paolo Papotti
Responsabile formazione ANPI

Sono certo di interpretare i sentimenti di tutti e tutte, nel considerare l’incontro di oggi occasione storica per la nostra Associazione. Quello di oggi è il primo incontro della nostra rete nazionale di formatori, tema determinante per lo sviluppo dell’iniziativa culturale e politica dell’Associazione. [...]

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Quello di oggi è il primo incontro della nostra rete nazionale di formatori, tema determinante per lo sviluppo dell’iniziativa culturale e politica dell’Associazione. Un ruolo, quello di formatori, che non è sancito nello Statuto e, dunque, rafforza la volontà del nostro impegno e, insieme, i compiti che l’Associazione ci chiede. Ci confrontiamo partendo da noi, dalle nostre esperienze e dai nostri vissuti, perché diventino patrimonio dell’Associazione. Questo incontro, quindi, non è un traguardo, ma una partenza. Comprenderete, mi auguro, la mia emozione.

Dal congresso ad oggi 

L’ultimo congresso ha sancito l’imprescindibilità della formazione come azione culturale e politica della nostra Associazione. Ciò ha definito due aspetti: da una parte ha dimostrato che ANPI è capace di rinnovarsi e di proporsi; dall’altra parte, indicato la necessità di una adeguata organizzazione. Stimolare i Comitati Provinciali all’individuazione dei referenti della formazione locale e la costituzione di un gruppo nazionale che fosse da stimolo per i Provinciali, sono stati i passaggi che hanno dato gambe ai propositi congressuali. Sostegni e riferimenti in questi percorsi sono stati il Presidente Nazionale Gianfranco Pagliarulo, che ringrazio per la fiducia e il Vicepresidente Ferdinando Pappalardo, che ringrazio per i confronti. Fino ad oggi abbiamo raggiunto 63 referenti provinciali della formazione (52 presenti fra sede e online), un ottimo risultato. In gennaio il gruppo nazionale ha partecipato ad un seminario interno di due giorni in cui si sono affrontati i temi costituzionali (lavoro, solidarietà, pace, ambiente), educativi e storici tenuti da esperti e luminari quali: Gaetano Azzariti, Gustavo Zagrebelsky, Olivia Bonardi, Raffaele Mantegazza, Maurizio Malo, Davide Conti e Valerio Strinati. Le lezioni sono state registrate e gli atti verranno distribuiti.

Ci tengo a precisare, interpretando anche il pensiero del Presidente e del Vicepresidente, che l’intento di questo lavoro non è quello di “dettare una linea” che deve essere applicata nei territori. La volontà è condividere, stimolare e suggerire argomenti che possono tracciare un percorso unitario di azioni culturali e politiche da realizzarsi in autonomia nelle territorialità ANPI.

La relazione che segue vuole essere un contributo alla complessità di quella azione culturale e politica che chiamiamo “formazione”. L’intento è quello di fornire strumenti di elaborazione e di riflessione, mettendo insieme esperienze realizzate con militanti a diversi livelli nei territori, esperti, associazioni, enti, insegnanti e scuole. Ovviamente la relazione non potrà essere esaustiva.

Formazione come dovere civico e politico

Il tema della formazione politico-culturale dei cittadini è uno dei problemi fondamentali del nostro Paese. Tutto ciò diventa peculiare quando si tratta di un’Associazione come la nostra, di tradizioni gloriose, ma che ha rinnovato e sta mutando la sua composizione. Da qui la necessità di un elevamento complessivo del livello culturale e politico a tutti i livelli associativi, non solo dei dirigenti, ma anche di tutta la base sociale. Da ciò, la necessità di costruire una adeguata preparazione culturale e politica, una conoscenza almeno della storia più recente, dal fascismo in poi, una corretta interpretazione dei fatti e delle vicende, oltre ad una buona conoscenza della Resistenza e della Costituzione. È questa, dunque, l’esigenza di una formazione adeguata, finalizzata a raggiungere un livello culturale politico medio, quanto meno adeguato alle necessità. Una formazione non destinata solo ai giovani (il cui coinvolgimento è strategico, così come ci hanno sollecitato nell’apposito gruppo di lavoro), ma a tutti, indipendentemente dall’età. Rafforzare la conoscenza della storia intesa non solo come approfondimento dello studio dell’antifascismo, della guerra di liberazione dal nazifascismo e della trasposizione di quei valori nella Costituzione, ma come elaborazione concreta e quotidiana rivolta al futuro, caratterizza l’impegno che la nostra Associazione ha assunto fin dal suo nascere. Basi necessarie, dunque, per poter intervenire e rispondere in modo adeguato sul piano culturale e politico nel contrasto al neofascismo e all’attuazione della Costituzione repubblicana.

Nella fase cruciale di passaggio generazionale, proprio per la sua storia e per la sua connotazione storica di Ente Morale, la nostra Associazione è sottoposta a continue sollecitazioni da parte della società civile, che chiede un nostro intervento sulle questioni dell’attualità. Pur sapendo che l’ANPI non può e non deve sostituirsi a partiti, sindacati o ad altre realtà associative che si occupano di specifici temi di carattere politico, economico e sociale, abbiamo il dovere e lo scopo principe di radicare l’associazione nella contemporaneità, preservandone l’integrità dei valori che la fecero nascere: la difesa della libertà conquistata e strappata a caro prezzo alla storia, della giustizia come realizzazione dei bisogni civili, sociali, politici ed economici, della solidarietà e della pace come convivenza fra i popoli e non solo come non guerra. In altre parole, l’ANPI può svolgere la sua azione ponendo questioni di principio e basandosi sempre sulla Costituzione repubblicana. Il recente ingresso della nostra Associazione fra gli Enti del Terzo settore ci consegna, e aggiunge al nostro bagaglio storico, culturale e politico, due diversi impegni. Da una parte la potestà statutaria di esercitare, in particolare, attività di educazione, istruzione e formazione; dall’altra la responsabilità morale di garantire e tutelare la nostra Associazione da rischi di sovrapposizione che determinerebbero la perdita della nostra autonomia e, dunque, del nostro riconoscimento.

“Essere ANPI”

Va comunque sottolineato, a questo proposito e con orgoglio, che l’ANPI è quasi un unicum nel panorama del Paese perché, nonostante i tempi difficili che stiamo vivendo, si rafforza senza smarrire mai le sue radici. Si può dire, per citare le parole del Presidente Nazionale Gianfranco Pagliarulo, che ANPI è “come un grande albero i cui rami, fiori e frutti si moltiplicano mentre le radici crescono penetrando sempre più nel terreno, producendo così quella linfa che alimenta ogni giorno una vita rigogliosa”. Da queste considerazioni nasce “Essere ANPI”, un testo rivolto a tutti, ma in particolare al rilevantissimo numero di nuovi iscritti, alle compagne e ai compagni dei nuovi gruppi dirigenti, a coloro che non hanno avuto ancora la possibilità di conoscere appieno l’anima di una associazione che invera ogni giorno valori, ideali e concezioni del mondo proprie del movimento resistenziale. “Essere ANPI” è uno strumento che contribuisce alla conoscenza di come funzionano concretamente i meccanismi dell’Associazione che, a ben vedere, sono tutto sommato semplici e di buon senso, e sono tesi a garantire un’effettiva democrazia interna e un virtuoso funzionamento delle attività sociali. In queste pagine si trova perciò la soluzione a problemi della vita quotidiana dell’Associazione e qualche risposta alle domande più frequenti. Il volume contiene poi cenni di storia dell’Associazione dal suo sorgere a Roma in quel giugno 1944, quando ancora l’intero Paese non era stato liberato, fino ai nostri giorni. È in questa misura, cioè nel rapporto fra il presente e il passato, fra ciò che è e il ricordo di ciò che fu, che nasce l’energia che abbiamo chiamato “memoria attiva”, e cioè lo strumento tramite cui si incide sul presente e si può quantomeno parzialmente prefigurare il futuro. Passato, presente e futuro che sì, sono dell’ANPI, ma sono più propriamente dell’intero Paese, perché non c’è storia dell’ANPI senza storia d’Italia, né ci sarebbe l’Italia che conosciamo senza quelle partigiane e quei partigiani che ci donarono la libertà e che, anche nel dopoguerra, continuarono l’impegno, in diverse forme, per il mantenimento della democrazia. Il volume comprende brevi biografie dei Presidenti nazionali e riporta il testo dello Statuto e del Regolamento nazionali, che sono la nostra cassetta degli attrezzi per un’attività sempre più efficace. La realizzazione del testo ha visto il lavoro intenso di Giovanni Baldini e Andrea Liparoto, oltre al sottoscritto. Questa è la prima e sempre più necessaria formazione, che possiamo definire “interna”, e che l’associazione deve intraprendere a tutti i livelli.

I corsi provinciali

In questa logica, al fine di costruire e consolidare una maggiore consapevolezza, sia come sviluppo di competenze personali, sia come crescita dell’Associazione nei territori, in questi anni si è lavorato per sollecitare i Comitati Provinciali nella realizzazione di iniziative specifiche di formazione, rivolte ai propri dirigenti, iscritti a simpatizzanti. In continuità con “Essere ANPI”, dunque, è necessario formare su obiettivi tematici, conoscenze che possiamo definire di base del militante ANPI nei territori. Dal punto di vista storico: conoscere e approfondire il funzionamento dell’Associazione (Statuto, regolamenti, documenti e regole); conoscere e approfondire l’antifascismo e la resistenza nel proprio territorio; conoscere i tratti fondamentali della Costituzione repubblicana; conoscere i tratti fondamentali delle dinamiche del dopoguerra. Dal punto di vista dell’attualità: la comunicazione nell’ANPI (utilizzo consapevole dei social network, dei siti, patriaonline); il contrasto ai neofascismi; il rapporto con la scuola. Tali proposte culturali e politiche, ci permettono di coinvolgere esperti e risorse locali e, tutto sommato, di mettere il tema dell’Antifascismo in un costante e continuo ordine del giorno. Penso comprendiate che la necessaria urgenza di queste formazioni, contribuisce alla costruzione di quegli atteggiamenti che definiscono l’autorevolezza dell’ANPI e che continuiamo a sintetizzare in tre impegni morali, culturali e politici: autonomia, pluralismo, unità. Messe a base queste formazioni, acquisita una maggiore incisività e autorevolezza, possiamo cimentarci in quella che possiamo definire la formazione “esterna”.

ANPI e scuola

Per affrontare una formazione specifica su come l’ANPI si rapporta con l’istituzione scuola, con insegnanti e studenti, intervengono questioni che riguardano quello che potremmo chiamare lo stile del nostro intervento a scuola, la mentalità - si potrebbe dire con cui agiamo. Con questa consapevolezza, possiamo definire, inizialmente, il ruolo che ANPI non deve agire: insegnare. Dunque, l’ANPI, non sostituisce la lezione curricolare dell’insegnante, non sostituisce l’apporto degli storici, non si sostituisce ai testi scolastici e non propone una nuova pedagogia. Un ruolo specifico ANPI lo possiamo ascrivere ai concetti di “accompagnare e sostenere”. ANPI a scuola promuove sé stessa come soggetto “portatore di esperienze”, che intende offrire il proprio patrimonio culturale attraverso il quale fornire strumenti per elaborare storia e presente. In questo modo proporsi ad insegnanti e studenti come “facilitatori” della conoscenza che riguarda i nostri temi specifici: antifascismo, resistenza e Costituzione repubblicana. Portare esperienze, per l’ANPI, significa narrare le proprie storie, per metterle in comune in uno spazio di confronto che alimenta il processo di conoscenza, che stimola, incoraggia e sostiene. Stimolare la curiosità degli studenti, incoraggiarli nelle analisi e sostenerli nelle loro riflessioni è, oltre la proposta di una offerta didattica, la concreta dimostrazione dell’importanza che vogliamo dare alle giovani generazioni. Lo strumento è quello di usare la lente sulle “piccole storie locali”, per meglio comprendere la “grande storia”. Porre l’attenzione, cioè, sul fatto che, anche nelle realtà territoriali più piccole e specifiche, - che non sono citate sui testi scolastici - si sono originate piccole storie che fanno parte della grande storia, cioè l’oggetto di studio curricolare. Trasferire eventi, luoghi, persone della propria comunità locale, in una dimensione più ampia, contribuisce a sottrarre temi così importanti, dalla superficialità che spesso viene usata quando si tratta di affrontare il nostro recente passato. Il metodo è quello laboratoriale in cui tutti possono sentirsi protagonisti. Proporre la modalità laboratoriale sancisce una specificità che alimenta disposizioni d’animo tipiche della crescita: curiosità, coraggio e determinazione. Inclinazioni imprescindibili per metterle in relazione e affrontare la complessità della lettura e dell’analisi delle vicende delle storie, “piccole” e “grandi”. Un’esperienza di crescita, un momento che mette in discussione, che sperimenta ma da cui si impara, con gli altri. Queste azioni contribuiscono anche allo sviluppo di una intelligenza emotiva che si ottiene attraverso il coinvolgimento e la condivisione di esperienze (dal locale al nazionale), fuori e dentro il nostro territorio (locale, Italia, Europa). Persone, luoghi ed eventi costruiscono percorsi che diventano cornice all’apprendimento e al coinvolgimento nella storia. Conoscere, capire e scegliere sono le parole attorno alle quali costruire specifiche progettualità che permettono di realizzare quanto sopra esposto. Conoscere perché è necessario (sempre), capire perché è senso critico, scegliere perché è l’essenza stessa della libertà. Conoscere, capire e scegliere, proposto quindi, come l’esatto opposto di credere, obbedire e combattere. Attorno a queste definizioni, è possibile costruire anche linguaggi nuovi, che intercettano le modalità e gli strumenti comunicativi delle giovani generazioni. L’approccio con l’Istituzione scolastica, con gli insegnanti, con gli studenti, ripropone all’ANPI una severità morale che non è in contrasto con una mentalità aperta al nuovo.  Accompagnare e sostenere il lavoro degli insegnanti, contribuire ad approfondire i contenuti dei libri di testo, sollecitare gli studenti alla riflessione, sono i propositi da perseguire. Da questo punto di vista, il lavoro culturale dell’ANPI ha prospettive di futuro, se a tutti i livelli territoriali dimostriamo la dinamicità e la capacità di stare nel tempo coi cambiamenti che i tempi chiedono, senza mai uscire dal mandato statutario: “valorizzare il contributo effettivo portato alla causa della libertà dall’azione dei partigiani e degli antifascisti, glorificare i caduti e perpetuarne la memoria”; “promuovere studi intesi a mettere in rilievo l’importanza della guerra partigiana ai fini del riscatto del Paese dalla servitù tedesca e della riconquista della libertà”; “promuovere eventuali iniziative di lavoro, educazione e qualificazione professionale, che si propongano fini di progresso democratico della società”; “battersi affinché i princìpi informatori della Guerra di liberazione divengano elementi essenziali nella formazione delle giovani generazioni”; “concorrere alla piena attuazione, nelle leggi e nel costume, della Costituzione italiana, frutto della Guerra di liberazione, in assoluta fedeltà allo spirito che ne ha dettato gli articoli”. Se notate, in ultimo, questo tipo di atteggiamento, può essere applicato non solo nelle dinamiche di rapporto con la Scuola. Questo atteggiamento si misura e si cimenta con i problemi, con le varie e contrastanti tendenze che si incontrano nella vita reale e che richiedono risposte che possono essere date solo dall'impegno militante, dal rigore morale, culturale e politico, dalla serietà.

Il protocollo d’intesa

L’importanza di un rapporto serio con l’Istituzione scolastica, (che ANPI già agiva dagli anni ’80 del Novecento, fino agli anni ’10 del ventunesimo secolo, soprattutto con le testimonianze dei partigiani), impone una attenzione specifica dal momento in cui, nel 2014, viene firmato il protocollo d’intesa fra ANPI e Ministero dell’Istruzione, dall’allora Ministra Stefania Giannini e dall’allora Presidente Carlo Smuraglia. Un percorso che ha visto, nel tempo, i rinnovi del 2017 e del 2020. Anni di impegni durante i quali si sono susseguiti Ministri appartenenti a partiti diversi e sono intervenute diverse trasformazioni organizzative del Ministero stesso. Questo risultato politico e culturale non è una medaglia da appuntarsi, (le hanno già meritate i partigiani), ma la definizione di un impegno civico maggiore. Il protocollo d’intesa, infatti, riconosce ad ANPI il ruolo di: “Offrire alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado un sostegno alla formazione storica, dalla documentazione alla ricerca, per lo sviluppo di un modello di cittadinanza attiva”. Si prospetta, dunque, una attenzione specifica, perché il rapporto con la scuola è realizzato da chi non ha fatto la resistenza.

Dunque, l’impegno sancito dal Protocollo d’intesa è gravoso quanto stimolante. Ci consegna una responsabilità. La risposta a questa responsabilità è: lavorare per progetti. Lavorare per progetti da proporre alle Istituzioni scolastiche, diventa strategico nel consolidare il nostro ruolo. Progettare significa esplicitare chi siamo, cosa facciamo e come lo facciamo. In altre parole, ci mettiamo in gioco. L’ aspetto strategico del progetto è anche la miglior risposta a chi, ancora oggi, ritiene che ANPI non debba “andare a scuola”. Un progetto segue un percorso specifico: essere valutato e votato dagli insegnanti interessati, dunque, una volontà precisa. Chi attacca ANPI, non rispetta la libera volontà di scelta del corpo docente, sancita tra l’altro dall’articolo 33 della Costituzione repubblicana.

Da questo punto di vista, come ho avuto modo di constatare, i nostri territori progettano e realizzano una mole di iniziative e di attività che mettono in luce enormi capacità e competenze, offrendo un patrimonio culturale e di conoscenze importante e determinante. Attraverso i progetti possiamo finalizzare una lettura della storia non solo come conoscenza del passato – per altro necessaria – ma in particolare come metro di misura per leggere l’emergere di nuove e complesse tendenze razziste, nazionaliste ed autoritarie nella società contemporanea. Un impegno, dunque, a finalizzare progetti per rispondere al bisogno di promuovere la comprensione dei fatti e stimolare, attraverso metodologie specifiche, una coscienza critica, restituendo ai temi storici la loro valenza profonda e la loro capacità di fornire strumenti di lettura dell’oggi.

Il protocollo ha contribuito a stimolare diverse realtà territoriali, affinché si proponessero alle scuole, in particolare nelle zone in cui l’ingresso di ANPI in questi ambienti non era così scontato. In quelle realtà, invece, in cui le collaborazioni avevano già carattere di continuità, è stata l’occasione per sviluppare diversi approcci e modalità, per ampliare e intensificare i rapporti. Attraverso i progetti, l’associazione può mettere a disposizione la sua missione culturale con l’obiettivo di porsi come soggetto attivo che trova realizzazione nel mandato statutario in cui si afferma che “l’Associazione esercita attività aventi ad oggetto educazione, istruzione e formazione, nonché attività culturali di interesse sociale con finalità educativa”. La nostra Associazione sente, dunque, la responsabilità dell’impegno a cui è chiamata a rispondere. Lo sente per la sua storia, come Ente Morale, nella modernità come Associazione del Terzo Settore; lo sente come comunità di cittadini impegnati nella memoria attiva, cioè la parte viva della società. Attraverso il protocollo nazionale si sono realizzati accordi a livello provinciale che hanno definito nuove modalità di confronto e scambio con l’Istituzione scolastica e, soprattutto, l’opportunità di interessanti sviluppi innovativi e realizzativi.

A che punto siamo. Il 21 settembre scade il protocollo in essere. Il 3 novembre 2022 e il 23 febbraio 2023 abbiamo inviato al Ministro due lettere in cui chiedevamo un incontro al fine di formalizzare il comune impegno a “promuovere e sviluppare iniziative di collaborazione e di consultazione permanente al fine di realizzare attività programmatiche nelle scuole e per le scuole volte a divulgare i valori espressi nella Costituzione repubblicana e gli ideali di democrazia, libertà, solidarietà e pluralismo culturale”. Nessuna la risposta. Proprio ieri è stata inviata la terza lettera in cui chiediamo ancora un incontro. In questa terza richiesta proponiamo, a dimostrazione del nostro serio impegno, due modifiche al protocollo al fine di migliorarne un aspetto organizzativo e un aspetto contenutistico. Allegato alla lettera abbiamo predisposto un report delle iniziative realizzate dal 2014 ad oggi, in cui sono sanciti in modo sintetico i risultati ottenuti in tema di partecipazione e condivisione. Nel report, inoltre, è riportato lo schema di premiazione di uno dei concorsi nazionali realizzati, al quale ha partecipato il Presidente della Repubblica. Siamo in attesa, in tempi ragionevoli, di una risposta. In caso contrario, ci muoveremo per informare le Istituzioni: il Presidente della Repubblica, la Presidente del Consiglio. Ci muoveremo anche per coinvolgere l’associazionismo democratico per intraprendere iniziative di diffusione e sensibilizzazione. 

Gli strumenti a disposizione

In questi anni, da quando dal 2012 seguo la formazione, e dal 2014 il Protocollo d’Intesa, ho sempre cercato di rispondere alle richieste dei provinciali e delle sezioni attraverso percorsi di ascolto e di condivisione. Con questo atteggiamento, in linea con le trasformazioni delle offerte educative per la scuola, e in virtù del Protocollo d’intesa con il Ministero dell’Istruzione, ho realizzato diversi gli strumenti.

ProMemoria (https://promemoria.anpi.it/), nasce proprio dalle richieste di sezioni e Provinciali, in particolare dopo la realizzazione di diversi percorsi formativi. I temi storici hanno incontrato le maggiori richieste: dalla nascita del fascismo alla democrazia (19191948). Da qui la realizzazione della piattaforma multimediale che ha come intento:

- approfondire i temi trattati nei capitoli dei testi scolastici;

- proporre uno strumento accessibile a coloro che vogliono approcciare la storia

Dal sito potrete vedere lo staff composto di storici e gli esperti che hanno contribuito alla realizzazione del progetto: Luigi Ganapini, Isabella Insolvibile, Claudio Silingardi. Successivamente, anche in virtù del Protocollo d’Intesa col Ministero dell’Istruzione, ho lavorato per l’attivazione di una sezione “Didattica” di ProMemoria, da cui si attinge scorrendo l’home page. Questa sezione intende fornire agli iscritti ANPI, ai fini della progettazione scolastica, e ai docenti delle scuole secondarie, strumenti per approfondire tematiche sulla storia del fascismo. I percorsi proposti, che hanno come tema portante “Le violenze del fascismo” sono tutti costruiti su materiale documentario, cioè, presuppongono una didattica di tipo laboratoriale, con le studentesse e gli studenti attivi nella lettura e nell’interpretazione. Dal sito si possono scaricare questi materiali in forma di schede didattiche. Hanno contribuito alla realizzazione delle schede, esperti quali Rossella Ropa e Gianluca Gabrielli.

Dello stesso taglio e proposta didattica le cinque videolezioni, realizzate per l’anniversario della marcia su Roma, in particolare rivolte agli Istituti Superiori, da cui si attinge scorrendo la home page. Queste videolezioni vogliono contribuire, attraverso una dinamicità grafica e contenutistica, a suggerire letture efficaci su come il fascismo ha costruito il suo potere e lo ha mantenuto attraverso un vero e proprio apparato di violenza. Mimmo Franzinelli, Isabella Insolvibile, Giovanni De Luna e Giulia Albanese gli autorevoli e riconosciuti storici-docenti che hanno sviluppato le lezioni. Nell’ultima parte di ProMemoria, si trova la sezione ANPI CulturAttiva (https://promemoria.anpi.it/anpi-culturattiva/). In questa sezione, rivolta ai referenti formazione ANPI nei territori, si raccolgono le esperienze progettuali e laboratoriali realizzate dalle diverse territorialità dell’Associazione. Raccogliere e condividere questi materiali, contribuisce alla costruzione di un patrimonio formativo diffuso. Una formazione che, inserita nello specifico contesto della costruzione della cittadinanza, ritengo sia utile per fornire spunti, analisi e riflessioni. Un grande patrimonio di memorie, di idee e di progetti che, condivisi, possono essere elaborati e approfonditi, per continuare a percorrere la strada dell’impegno civico, tratto distintivo della nostra Associazione. Un vero e proprio “albo online” del patrimonio ANPI. Per questi motivi è necessario accedere attraverso una password specifica che verrà consegnata ai referenti formazione ANPI Provinciali.

ProMemoria è un progetto e una progettualità in sé e può avere diversi utilizzi dinamici anche per rispondere alle diversità di linguaggi che possono intercettare le giovani generazioni. Sia la parte storica, sia la parte didattica, sono fornite di ampie bibliografie e sitografie dedicate e specifiche. È in fase di studio l’inserimento di un percorso musicale, nella logica di ampliare l’offerta culturale di conoscenza del periodo storico trattato.

ProMemoria, infine, può avere due significati: quello storico, a favore della memoria, e quello umano, ricordare per non dimenticare. Storia e umano fanno la differenza: conoscere, capire e scegliere, sono l’antitesi di credere, obbedire e combattere. L’umano che vince sul disumano. Perché continuiamo ostinatamente a definire l’antifascismo come cultura plurale e unitaria di riferimento. Da diversi anni a questa parte ho sviluppato modelli formativi da proporre a insegnanti, enti e Associazioni. Sempre più spesso ci viene chiesto di svolgere il nostro ruolo di portatori di conoscenza su antifascismo, resistenza, Costituzione, contrasto al neofascismo, applicazione della Costrizione all'interno delle organizzazioni democratiche. Le sperimentazioni hanno prodotto buoni risultati con la conseguente produzione di materiali che possono essere messi a disposizione. Le interessanti esperienze realizzate - e altre sono in programma - a favore di insegnanti, sindacato, Unione degli Universitari e Rete Studenti Medi, conferma questa nostra naturale inclinazione. Svolgiamo questo ruolo con la consueta disponibilità e competenza con l’obiettivo di creare, anche proprio per le richieste che ci arrivano, unità e una base culturale e politica indispensabile ad un'azione efficace nella società. Ciò ci permette di costruire una rete di organizzazioni che poi si può muovere a livello cittadino o locale.

Sul sito nazionale ANPI, potrete trovare la specifica brochure “Proposte formative” 

(https://www.anpi.it/proposte-formative), che contiene obiettivi e contenuti di tutte queste proposte. Suddivisi in linee di colori specifici, si può prendere coscienza e conoscenza dell’evoluzione realizzata in questi anni. Opportunamente inseriti, come strumenti fondamentali, anche la “Galassia Nera” e “I libri di Bulow”. Il tutto per tenere insieme la complessità che, in questi anni, ha caratterizzato il lavoro sugli aspetti formativi.

Le urgenze

Non possiamo non fermarci anche sulla attualità, o su quella che diventerà attualità. Per definizione, la formazione risponde a bisogni. Le urgenze sono quelle che possiamo ascrivere alla “Democrazia Costituzionale”. Il tema dell’autonomia differenziata ci sollecita a governare argomenti che non sono di uso comune, per spiegare alla popolazione i rischi di una Italia pensata a pezzi o pezzettini e di come queste scelte incidono sul cittadino, nel concreto e nel quotidiano. Spiegare cosa significa che una Regione possa richiedere più poteri rispetto alle altre su tanti argomenti centrali per la vita dei cittadini, fra cui la sanità, la scuola, l’ambiente, l’energia, il commercio con l’estero, la ricerca scientifica. Dunque, spiegare cosa significa vivere in un Paese frammentato, con disuguaglianze sui diritti dei cittadini e sulle prestazioni dei servizi. Proporre, quindi, il nostro pensiero: un regionalismo solidale, non competitivo, rispettoso della natura una e indivisibile della Repubblica.

Il tema del Presidenzialismo. 

Ad oggi non è chiaro se il governo proponga l’elezione diretta del Presidente della Repubblica o del Capo del Governo. Anche in questo caso, si tratta di rendere avvicinabili alla popolazione temi complessi: lo scardinamento dell’equilibrio di poteri previsto dalla Costituzione, il rischio di un governo autoritario. Spiegare il valore di un Presidente della Repubblica che deve continuare ad essere una figura di garanzia che rappresenta tutti i cittadini e che, se fosse eletto direttamente rappresenterebbe solo una parte degli elettori. Si tratta di spiegare, ad una popolazione sempre più “astensionista” dall’esercizio del voto, che è necessario restituire al Parlamento la sua funzione rappresentativa e i suoi poteri e agli elettori il diritto di scegliere i parlamentari. 

Si tratta di intervenire a favore delle istituzioni, della loro funzionalità e del ruolo che spetta loro in una Repubblica democratica a base parlamentare. Siamo impegnati in un ruolo complicato, gravoso e inserito in tempi complessi: agire su una popolazione in larga parte delusa dalle istituzioni per rimettere al centro le istituzioni stesse, e il Parlamento. Per tutti questi motivi dobbiamo prepararci. Ad oggi abbiamo la disponibilità di due indiscussi esperti a partecipare ad iniziative ANPI: Massimo Villone per i temi dell’autonomia differenziata e Gaetano Azzariti per i temi del presidenzialismo.

Care compagne e cari compagni, care amiche e cari amici, nessuna conclusione, ma un invito, una consapevolezza, un impegno. Siamo una grande Associazione, una risorsa per la democrazia che trae la forza dalle nostre radici. Siamo nella storia e con la storia. Come fu nella lotta al fascismo, nella lotta di Liberazione, nella costituente e nel mantenimento della democrazia nel dopoguerra, siamo impegnati in un processo di trasformazione. In un presente che ci vede parte attiva della società, per affrontare i nuovi e importanti impegni che la storia ci propone. 

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Festa della Repubblica

2 giugno 2023

Nicola Maestri Presidente Comitato Provinciale ANPI Parma

Buongiorno
e buona Festa della Repubblica a tutte e tutti voi.

Sono passati settantasette anni da quando, con il voto nel referendum del 2 giugno 1946, gli italiani, scegliendo la Repubblica, cominciarono a costruire una nuova storia. Quel giorno gli Italiani furono chiamati a scegliere tra monarchia e repubblica attraverso un referendum. Lo stesso giorno si tennero anche le elezioni per nominare i deputati che avrebbero elaborato la nuova Costituzione. Erano le prime libere elezioni dopo più di vent’anni di dittatura fascista, le prime a suffragio universale, perché anche le donne avevano ottenuto il diritto di voto. La partecipazione fu grande e intensa. Il referendum espresse una chiara maggioranza a favore della Repubblica [...]

continua

[...]

Nel testo di Piero Calamandrei si legge che la Costituzione, approvata alla fine del 1947, non fu, come lo Statuto Albertino, una costituzione regia, ma fu una Costituzione popolare, deliberata da un’assemblea rappresentativa eletta dal popolo con metodo rigorosamente democratico.

Per Norberto Bobbio la democrazia moderna è fondata sul riconoscimento e la garanzia della libertà su tre aspetti fondamentali: la libertà civile, la libertà politica e la libertà sociale. Dietro la libertà civile c’è il riconoscimento dell’uomo come persona, da cui deriva una società giusta in cui non vi è posto per alcun abuso di potere, di fanatismo, di oppressione spirituale, di violenza fisica e morale. Dietro la libertà politica vi è l’uguaglianza fondamentale delle persone di fronte al potere politico, per cui non vi sono governanti e governati per destinazione, ma tutti possono essere, di volta in volta, governanti e governati.

Dietro la libertà sociale, vi è il principio che gli uomini contano non per quello che hanno, ma per quello che fanno, e il lavoro costituisce la dignità civile dell’uomo ed il contributo che ciascuno può dare secondo le proprie capacità allo sviluppo sociale.

Vi è però ancora un punto in cui lo spirito della Costituzione è stato continuamente violato: ed è la sopravvivenza del fascismo. Questo marchio d’infamia della storia italiana avrebbe dovuto da tempo essere cancellato. La sopravvivenza del fascismo, di cui abbiamo visto con orrore il volto ottuso e feroce, è contraria non soltanto allo spirito della Costituzione, che è nata dall’antifascismo militante, ma anche alla sua più concreta attuazione. Ciò significa che il nostro Paese non ha ancora fatto definitivamente i conti con il proprio passato e questo è piuttosto evidente.

Ma la Storia ci ha insegnato che quella nuova stagione fu preparata negli anni più bui, dalle donne e dagli uomini che avevano avuto il coraggio di resistere e di lottare. E che avevano iniziato, nello stesso tempo, a pensare a come dar forma all’Italia libera. Da dove ricominciare, per rimettere in piedi un Paese dilaniato, ferito, isolato agli occhi della comunità internazionale.

La giornata dedicata a festeggiare la Repubblica Italiana assume tanti significati diversi: il ricordo della lungimiranza dei nostri padri e delle nostre madri, dei nostri nonni, che ci hanno permesso di vivere in un Paese senza guerre; l'apertura al suffragio universale; la creazione di una democrazia. Poi però, ha segnato anche un nuovo inizio, con l'opera di ricostruzione materiale e morale del Paese. Con impegno e duro lavoro, donne e uomini hanno trasformato l'Italia nel Paese che tutti conosciamo.

La Repubblica da quel 2 giugno a oggi ha camminato tanto. Possiamo farne un bilancio. Possiamo e dobbiamo chiederci a che punto è il nostro cammino.

I più anziani tra i nostri concittadini ricordano bene da dove siamo partiti. Un Paese che era stato trascinato in guerra, ridotto in povertà, senza risorse, con tanti italiani che pativano la fame. Poi le grandi riforme ne hanno cambiato il profilo. La riforma agraria, i piani casa con l’edilizia popolare, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la realizzazione a tempi di record di grandi e decisive opere infrastrutturali, la riforma tributaria, gli interventi per il Mezzogiorno.

E poi la grande stagione delle riforme sociali.

Lo statuto dei lavoratori, le riforme della scuola, in particolare l’istituzione della scuola media unica e l’innalzamento dell’obbligo scolastico, il nuovo diritto di famiglia, l’istituzione, nel 1978, del Servizio sanitario nazionale, ad opera – va sottolineato – di una donna valorosa, la prima a diventare ministra, la staffetta partigiana Tina Anselmi.

Cos’è la Repubblica? Sono sicuramente i suoi principi fondativi. Le sue istituzioni. Le sue leggi, la sua organizzazione. Certo, è tutto questo.

Ma a me sta a cuore, oggi, porre l’accento su ciò che viene prima. Quel che precede il valore e il significato, pur fondamentale, degli ordinamenti. Parlo della vita delle donne e degli uomini di questo nostro Paese. Dei loro valori e dei loro sentimenti. Del loro impegno quotidiano. Della loro laboriosità. Del contributo, grande o piccolo, che ciascuno di loro ha dato a questi settantasette anni di storia comune.

La Repubblica è, prima di tutto, la storia degli italiani e della loro libertà. E’ la storia del lavoro, motore della trasformazione del nostro Paese. E’ la storia della Ricostruzione, delle fatiche, dei sacrifici, spesso delle sofferenze, di tanti che si trasferirono da Sud a Nord, dalle campagne alle città, animando uno straordinario periodo di sviluppo. E’ la storia del formarsi e del crescere di una comunità.

Esiste un brano di Francesco De Gregori in cui dice “la storia siamo noi”, “nessuno si senta escluso”.

Proviamo a leggere così questi settantasette anni di vita repubblicana: da una prospettiva diversa che ci consente di cogliere i profili di soggetti che spesso sono rimasti sullo sfondo. E che invece hanno riempito la scena, colmato vuoti, dato senso e tradotto in atti concreti

parole come dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà. Parole che altrimenti sarebbero rimaste astratte aspirazioni.

Le persone: donne, uomini, giovani che sono state al centro della nostra storia, con la loro voglia di esserci e di contare. Di partecipare. E lo abbiamo visto bene in questi giorni drammatici, lo abbiamo visto tra quelle centinaia, forse migliaia di ragazze e ragazzi che in maniera disinteressata e per amore del prossimo, sono partiti con i badili in spalla per portare aiuto ai nostri fratelli in Romagna, piegati dall'alluvione. Partecipazione civile, politica, sociale. La volontà di cambiare il mondo. Proprio oggi come allora, perché il mondo di prima aveva prodotto la guerra, l’ingiustizia, la fame, le distruzioni. Oggi oltre alle guerre ciò che deve più recarci angoscia è questo devastante cambiamento climatico. Forse siamo ancora in tempo, forse. L’Italia di quel tempo andato è stata ricostruita dalle macerie. La Costituzione ha indicato alla Repubblica la strada da percorrere.

Questa è l’idea fondante della Repubblica, di una Costituzione viva, che si invera ogni giorno nei comportamenti, nelle scelte, nell’assunzione di responsabilità dei suoi cittadini, a tutti i livelli e in qualunque ruolo.

Facciamone tesoro anche per i giorni e gli anni a venire.

Viva la nostra Costituzione, viva l'Italia, viva la Festa della Repubblica !



Repubblica 2 Giugno
02.06.1946

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i contenuti dei numeri

2 giugno 2023

Paolo Papotti Responsabile Nazionale Formazione ANPI

Non avevamo più una casa. Un popolo non può esistere se non ha una forma che indichi i limiti in cui i rapporti di ciascuno, delle istituzioni, segnano una potestà costituzionale, amministrativa e giuridica. Dove il popolo, cioè, possa sentirsi sicuro. È l’ora del voto, finalmente a suffragio veramente universale. È l’ora dei partiti, piccoli e grandi, rappresentati e rappresentanti. È l’alba della Repubblica. Voci eccezionali per un evento eccezionale, per tempi eccezionali. Ricostruire l’Italia dalle macerie morali e materiali lasciate dal fascismo. Dare nuove basi democratiche allo Stato italiano. 

Non solo parole legate ai numeri di una data.[...]

continua

[...]

Uno era il numero di prima. Un capo, un partito, un pensiero. Perché prima la matematica era una opinione… unica, appunto. Quell’uno che voleva essere tutto, che mette il meno dei numeri relativi ai risultati della storia, la cui somma è sempre zero per la dignità del popolo.

Centomila è il numero del sangue, che col suo collettivo RH positivo, in venti mesi ridisegna le condizioni per tornare alla dignità, dalle macerie dello zero negativo della dittatura. Perché senza il venticinque aprile millenovecento quarantacinque, non ci sarebbe stato il due giugno millenovecento quarantasei. 

Tutto perché ventotto milioni di italiani potessero indicare la forma dello stato. E poi numeri assoluti, percentuali, proporzioni che rappresentano le volontà di tutti. Un Parlamento che mette il segno positivo davanti la storia.

Cinquecento trentacinque uomini e ventuno donne sommano cinquecento cinquantasei genitori costituenti. 

Trecento settantacinque sedute assembleari, settantacinque i membri della commissione, diciotto il comitato di redazione, venti i mesi di lavoro. Un insieme complesso di insiemi che esprimono quattrocento cinquantatré sì e sessantadue no, in libertà che ha sempre il segno più e, da qual momento il segno per… tutti.

Numeri che non chiedono fredde dimostrazioni scientifiche, ma appassionate lucidità umane: uno sta a dittatura, come cinquecento cinquantasei sta a democrazia. Da tre quarti di secolo due, sei, millenovecento quarantasei è un oggi da settantasette anni.


Non solo parole legate ai numeri di una data, ma impegni. Come tutte le eredità, ha bisogno di continuare ad esistere sulle gambe di chi ne ha giovato. Ma soprattutto nella testa, per essere ragionata con lucidità, e nel cuore perché emani passione. Meritiamolo.


Repubblica
02.06.1946

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Quel sacerdote che non poteva obbedire

paolo papotti

Il 6 marzo 1965 don Lorenzo Milani pubblicava la lettera sull’obiezione di coscienza, un j’accuse contro il servizio militare obbligatorio, il fascismo, un’idea violenta di patria e tutte le guerre. Unica eccezione, la lotta di Liberazione. [...]

don milani a barbiana
Don Milani
continua

[Il termine laico non si riferisce solo ed esclusivamente al mondo delle professioni religiose. In senso politico e sociale denota la rivendicazione, da parte di un individuo o di una entità collettiva, dell’autonomia decisionale rispetto a ogni condizionamento ideologico, morale o religioso altrui. La laicità rifiuta, pertanto, qualunque forma (palese od occulta) di imposizione dogmatica e la pretesa di determinare le proprie scelte morali ed etiche al di fuori di una critica o un dibattito.


Non si confonda laico con ateo. Tale confusione è generata dalla superficialità, dalla volontà di dare spiegazioni alla pancia anziché al cervello, di fare in modo, dunque, di lasciare il distratto interlocutore nell’ignoranza. Diversi e tanti, purtroppo, gli esempi. In modo particolare una parte della politica degli ultimi anni ha proposto rosari, elenchi di santi o preghiere in tv contribuendo – oltre ad un abuso-sopruso improprio e di mercimonio della fede a scopi propagandistici – a una mistificazione che, oltre a sancire la presunta “giusta umanità” di chi professa la sua fede in pubblico, fa suonare laico come anticlericale o ateo, generandone disprezzo.


In politica, nella cultura, nelle fedi, ci sono esempi di persone che hanno inteso il termine laico come scelta secondo coscienza, accettando e affrontando le conseguenze. Nel libro di Lorenzo Tibaldo, Il pensiero resistente. L’obbedienza non è (sempre) una virtù, ho già tratteggiato il significato di uomini e donne che hanno mantenuto alta, fino alla morte, la loro autonomia di pensiero, la loro laicità rispetto a condizionamenti, pur appartenendo saldamente a un ideale. Il sottotitolo, con una “licenza” rispetto alla frase originale di don Lorenzo Milani, suggerisce la figura di un sacerdote che visse, e morì, con una concezione alta della propria dignità di uomo e di sacerdote.


Negli anni della sua attività, non venne certamente digerito dai conservatori e dalle destre perché considerato “cattocomunista”, fu “incompreso”, mal visto negli ambienti cattolici, che preferirono “allontanarlo”, inviso alle istituzioni a cui quali si permetteva di dare indicazioni, venne distrattamente ascoltato dai progressisti perché li superava a sinistra.


Se una persona non va bene a nessuno, è sicuramente in difetto… oppure c’è dell’altro?


Don Lorenzo Milani non è un prete convenzionale. È un sacerdote che sceglie la cultura e l’educazione universale, laiche, per tutti. Nell’ottobre 1947 è cappellano a San Donato a Calenzano, Comune operaio in provincia di Firenze. In quel contesto nasce la Scuola Popolare, dove don Milani vuole che nessuno si senta escluso a priori.


Capisce che chi non ha la possibilità di leggere un giornale o un contratto di lavoro non è in grado di difendersi dallo sfruttamento, né di elaborare un pensiero critico. Si rende conto che senza istruzione l’orizzonte della vita umana si riduce alla conquista di un piatto di minestra da consumare velocemente la sera, per poi andare a letto e ricominciare a piegare la schiena il giorno dopo. In quelle condizioni, anche l’ascolto dei testi sacri durante le messe rischia di diventare un rito di cui non si comprende il significato. A contatto con la povertà e con lo sfruttamento – elaborando le opportunità in cui è cresciuto e la miseria materiale e intellettuale in cui versa il popolo che gli è stato affidato – matura una profonda coscienza sociale e prende posizione pubblicamente. Cominciano le incomprensioni con la gerarchia ecclesiale, che vede in quelle idee un pericolo e non un invito accorato al ritorno al Vangelo.


Don Milani viene mandato in una pieve sul monte dei Giovi in Mugello. Barbiana nel dicembre 1947 è una povera canonica, qualche cipresso, un piccolo cimitero, poche famiglie in case sparse. A Barbiana si sale da una mulattiera, non c’è acqua corrente, né gas, né luce, vi vivono pastori e contadini che faticosamente strappano dal bosco e dalla terra i frutti per vivere. Il religioso capisce subito che i figli di quel popolo sparso, se il pomeriggio vanno a lavorare nei campi o devono badare agli animali, sono destinati a uscire prematuramente dalla scuola di Stato. Senza saper né leggere né scrivere; defraudati, se non nella forma nella sostanza, del loro diritto all’istruzione. Scartati già da piccoli, costretti a delegare in tutto, incapaci di aver voce come persone, come cittadini, e anche come cristiani.


Don Milani a Barbiana

La scuola di Barbiana comincia con un doposcuola, prestissimo diventa avviamento professionale e, nel 1963, corso di recupero per la media unificata. Nella scuola di Barbiana tutto è occasione di apprendimento. Don Milani accoglie i diseredati, quelli senza un’alternativa. L’esperienza educativa di Barbiana sviluppa anche un modello avanzato di autonomia, arrivando persino a mandare i ragazzi da soli all’estero a studiare le lingue.


Gli scritti di don Lorenzo Milani sono espliciti quanto difficili da digerire in quegli anni. Esperienze pastorali, del 1958, è la sintesi dell’esperienza vissuta dal sacerdote. Una riflessione sociologica e razionale sulle condizioni delle comunità in cui opera, sul ruolo del parroco in contesti di povertà materiale e intellettuale. L’esprimersi in modo diretto, infastidisce molti. Poco dopo la pubblicazione, il libro viene ritirato dal Sant’Uffizio.


Con Lettera ad una professoressa del 1967, poco prima della morte, propone una provocatoria disamina sulla scuola pubblica dell’obbligo di quegli anni, incapace di colmare, secondo Costituzione, gli svantaggi iniziali di chi nasce in una casa povera di cultura e di economia. Diverrà uno dei testi di riferimento del movimento studentesco sessantottino.


Poco meno di due anni prima, il 6 marzo 1965, don Milani aveva diffuso un suo scritto in difesa dell’obiezione di coscienza alle Forze Armate. Era una sorta di risposta alla pubblicazione di un documento con cui i cappellani militari della Toscana dichiaravano di considerare “un insulto alla patria e ai suoi caduti la cosiddetta obiezione di coscienza che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà”. Don Milani, con una lunga lettera pubblicata su Rinascita il settimanale del Partito comunista, sostiene la difesa dell’obiezione di coscienza contro l’obbedienza cieca. In modo perentorio e definitivo sostiene che l’obbedienza non è più una virtù.


Con linguaggio schietto e diretto, con precisione e puntualità, subito preannuncia tono e argomenti, rivolgendosi direttamente ai cappellani militari: “Da tempo avrei voluto invitare uno di voi a parlare coi miei ragazzi della vostra vita. Una vita che i ragazzi ed io non capiamo. […] Non posso fare a meno di farvi quelle domande pubblicamente. Primo, perché avete insultato dei cittadini che noi e molti altri ammiriamo. Secondo, perché avete usato, con estrema leggerezza e senza chiarirne la portata, vocaboli che sono più grandi di voi”.


Già da questo incipit, si denota il suo modo di essere: non parla solo per sé, ma anche per quelli che rappresenta e coi quali, sicuramente, si è confrontato, cioè i giovani. In merito a una possibile risposta che i sacerdoti avrebbero potuto inviargli, don Milani scrive: “l’opinione pubblica è oggi più matura che in altri tempi […]. Paroloni sentimentali o volgari insulti agli obiettori o a me non sono argomenti”.


Don Lorenzo Milani dunque si muove d’anticipo: usare l’insulto come argomento è uno stratagemma per nascondere poche e superficiali argomentazioni.


Poi entra nel merito della parola Patria, argomentando: “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dico che, nel vostro senso io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri” […]. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto”.


A questo punto don Milani scaglia, con umana passione, fermezza valoriale e salda appartenenza la sua arringa a favore dell’obiezione di coscienza. “Certo ammetterete che la parola Patria è stata usata male molte volte.  Spesso essa non è che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, quando scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben più alti di lei. Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. È troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa. Mi riferirò piuttosto alla Costituzione”.


Parte dal significato degli articoli 11 e 52 della Costituzione, metro di misura per giudicare le guerre dall’Unità d’Italia al secondo conflitto mondiale e soprattutto concentrandosi sul significato di difesa della patria quando si invade un altro Paese, inserendo, nell’analisi, il ruolo dei sacerdoti nei confronti dell’esercito. “Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati”. Per rafforzare il suo pensiero elenca “il risultato delle azioni per la “Patria”: bombardamenti, uccisione di civili, rappresaglie nei villaggi inermi, le esecuzioni sommarie, l’uso di armi batteriologiche, chimiche, la tortura, i processi sommari, la repressione di manifestazioni popolari.


Il tono della lettera aumenta parallelamente al contenuto che sviluppa. Difesa della Patria e il ruolo dei sacerdoti nei confronti dell’esercito esprimono accenti sempre più umanamente accesi e coerentemente efficaci, mai offensivi ma certamente schietti.


1922, marcia su Roma. I roghi degli squadristi

“Era nel 1922 che bisognava difendere la Patria aggredita”. Inizia così, puntuale, precisa e spietata, la disamina della dittatura fascista. “Ma l’esercito non la difese. Stette a rispettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti l’avessero educato a guidarsi con la Coscienza, invece che con l’Obbedienza cieca, pronta, assoluta quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo (50.000.000 di morti). Così la Patria andò in mano a un pugno di criminali che violò ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo”.


Non risparmia l’ignominia della guerra in Spagna: “Nel 1936 cinquantamila soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova infame aggressione: andare volontari ad aggredire l’infelice popolo spagnolo. Erano corsi in aiuto di un generale traditore della sua Patria, ribelle al suo legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll’aiuto italiano e al prezzo di un milione e mezzo di morti riuscì ad ottenere quello che volevano i ricchi: blocco dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato, dei partiti, d’ogni libertà civile e religiosa” […]. “Avete detto ai vostri soldati cosa devono fare se gli capita un generale tipo Franco? Gli avete detto che agli ufficiali disobbedienti al popolo loro non si deve obbedire?”.


1941, Truppe italiane ad Atene

Il secondo conflitto mondiale è l’occasione per una disamina politica sui sistemi di governo del tempo. “I soldati italiani aggredirono uno dopo l’altra altre Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania, Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia). Era una guerra che aveva per l’Italia due fronti. L’uno contro il sistema democratico. L’altro contro il sistema socialista. Erano e sono per ora i due sistemi politici più nobili che l’umanità si sia data”. Con lucidità tratta la dignità umana sia da religioso, sia da laico e continua: “l’uno (sistema democratico, ndr), rappresenta il più alto tentativo dell’umanità di dare, anche su questa terra, libertà e dignità umana ai poveri. L’altro (il sistema socialista, ndr), il più alto tentativo dell’umanità di dare, anche su questa terra, giustizia e eguaglianza ai poveri. Non vi affannate a rispondere accusando l’uno o l’altro sistema dei loro vistosi difetti. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto cosa c’era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che oppressori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione di ogni valore morale, di ogni libertà se non per i ricchi e per i malvagi. Negazione d’ogni giustizia e d’ogni religione. Propaganda dell’odio e sterminio d’innocenti. Fra gli altri lo sterminio degli Ebrei. Cosa c’entrava la Patria con tutto questo?” Quindi si rivolge ai sacerdoti che restando fermi sull’obbedienza, “fecero un male immenso proprio alla Patria e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche alla Chiesa”.


Una brigata partigiana

Conclude l’analisi sulle guerre, sollevando un’eccezione: la lotta di Liberazione dal nazifascismo: “Ma in questi cento anni di storia italiana c’è stata anche una guerra ‘giusta’ (se guerra giusta esiste). L’unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana. Da un lato c’erano dei civili, dall’altra dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall’altra soldati che avevano obiettato”.


La lettera si avvia alla fine. “Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i nostri soldati. Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dell’obbedienza militare. Quell’obbedienza militare che voi cappellani esaltate senza nemmeno un distinguo che vi riallacci alla parola di San Pietro: si deve obbedire agli uomini o a Dio?”.


L’ultimo messaggio è rivolto ai giovani, esortando i sacerdoti a professare la verità: “ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l’errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima”.


La visione laica di don Lorenzo Milani e la sua concretezza abbracciano una idea universale di democrazia, indipendentemente dalle singole appartenenze, che raccoglie le esperienze umane, sociali, storiche e culturali che caratterizzano l’umanesimo, riferimento universale per i valori di democrazia e libertà.


Una risposta arriva. Don Milani è denunciato da “un gruppo di ex combattenti”; viene processato per apologia di reato e assolto in primo grado il 15 febbraio 1966. Muore prima della sentenza di appello del 28 ottobre 1967, che dichiara il reato estinto per morte del reo. Ingiusto, in tutti i sensi, umano e giuridico.


Don Milani e alcuni dei suoi ragazzi

Qualche riflessione finale. Don Milani coi suoi scritti turba le coscienze di tutti e non solo a chi si rivolge direttamente. Produrre riflessione critica è il suo intento. Quando questi elementi precorrono i tempi, le parole diventano profetiche tanto quanto non comprese. Davanti a don Milani, che non a caso usa la formula della lettera, c’è sempre un uomo a cui riferirsi. Una persona in carne ed ossa, un qui ed ora a cui rivolgersi. La forza delle parole di don Milani è quella di ragionare nel concreto, per arrivare ai principi. Ciò basta per considerarlo una esperienza, un esempio di vita vissuta, concreta. Di quelle esperienze che, dietro le parole, praticano il lavoro quotidiano senza pensare al bagliore delle luci della ribalta. Don Milani non aveva bisogno di diventare altro, per essere credibile; non aveva bisogno di altri luoghi per professare la sua fede e le sue idee; non aveva bisogno di agganciarsi ad altre appartenenze per essere creduto; non aveva bisogno di solidarietà altre e interessate, per essere compreso; non aveva bisogno di apparire né per tornaconto suo, né per opportunità altre e di altri.


Non è un azzardo, dunque, associare il pensiero del sacerdote don Lorenzo Milani ad un pensiero laico. Il termine laico, dunque, assume caratteristica di forza della ragione che non è mitigare o mortificare le proprie idee, anzi, averne una consapevolezza tale da renderle universali. Quella forza della ragione che è appartenenza chiara, esplicita ed esplicitata e, in virtù di questo, combatte perché i valori insiti in quella appartenenza, vengano davvero realizzati.


Un atteggiamento laico è, in questo senso, non dover limitare la propria libertà secondo gli ammaestramenti dell’autorità di qualsiasi credo. Perché le convinzioni sono talmente profonde, da non temere di essere libero.


A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi: a chi appartiene oggi il pensiero di don Milani? Domanda sbagliata. Le esperienze sono utili per definizione, soprattutto quando sono tangibili e rimangono esempi universali, per tutti. Non perdiamo altro tempo.


Dopo cinquant’anni, il 20 giugno 2017, Francesco è il primo papa della storia a pregare sulla tomba del sacerdote. “Un bravo prete da cui prendere esempio”, le parole pronunciate quel giorno da Bergoglio. Ci voleva Francesco per capire Lorenzo.


Bibliografia

articolo di Elisa Chiari su Famiglia Cristiana del 25 giugno 2017
“L’obbedienza non è più una virtù”, don Giuseppe Milani, 1965
“Don Lorenzo Milani. Riflessioni e testimonianze”, Gruppo ex allievi don Milani, 1997
“Tra parola e conflitto. La comunicazione in Don Lorenzo Milani”, Mauro Bortone, 2008.

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