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XXVAprile – Comunicato Stampa

In occasione dell'ottantesimo anniversario della Liberazione, il Comitato Provinciale ANPI di Parma, oggi più che mai, vuole ribadire che il 25 Aprile, data fondativa della Repubblica Italiana, è la festa di tutti gli antifascisti, patrimonio condiviso, che appartiene a ogni cittadina e cittadino che crede nei valori della Libertà, della Giustizia, della Solidarietà. In questo solco le piazze del 25 Aprile appartengono a tutti i democratici. Sono lo spazio della memoria condivisa, dell'unità e dell’impegno civile. Sono il luogo dove poter riaffermare con convinzione il valore della PACE, contro ogni guerra, contro ogni fascismo. Piazze di riflessione, di impegno. Non possono né devono essere teatro di provocazioni o strumentalizzazioni che offendono la storia, la dignità e i valori della Resistenza. "Avanti, Amici"

NOTIZIONE APPELLO 25 aprile

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XXVAprile 2025 – 80 anni fa

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NOTIZIONE APPELLO 25 aprile

25 aprile di ottant’anni fa. 

In quella data simbolica fummo liberi e liberati. 

Liberi, finalmente, dopo vent’anni di dittatura fascista. 

Liberati dal tallone di ferro nazista e dai complici fascisti di Hitler. Dal gigantesco massacro della seconda guerra mondiale con decine di milioni di morti e con le sue macerie materiali e morali. Dall’inaudito carico di violenza e distruzione, di deportazione e sterminio prodotti dal fascismo e dal nazismo.

Ottant’anni dopo viviamo un tempo sconcertante e sconvolgente, di ritorno della guerra, e in particolare della guerra ai civili, dei nazionalismi, dei fascismi e dei razzismi, di attacco alla democrazia, di impoverimento dei popoli. 

Mai come oggi la memoria del 25 aprile ci dà la forza morale e civile per resistere e per rilanciare i principi costituzionali della Repubblica democratica fondata sul lavoro, della sovranità popolare, del ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

Mai come oggi siamo in prima fila per un’Italia, un’Europa, un mondo di libertà, eguaglianza, solidarietà, lavoro, pace, dignità della persona. È tempo di resistere, di affermare la più ampia unità per un’altra Italia, un’altra Europa, un altro mondo.

Mai come oggi ricordiamo con affetto e riconoscenza coloro che hanno combattuto e che hanno sacrificato la vita in quello straordinario evento storico chiamato Resistenza: antifasciste, antifascisti, partigiane, partigiani, staffette, lavoratrici, lavoratori, deportate, deportati, internati, militari, forze dell’ordine, religiose e religiosi. Da loro continuiamo e continueremo a prendere esempio.

Mai come oggi consegniamo alle nuove generazioni l’orizzonte di futuro che aveva negli occhi il popolo della Resistenza in quell’aprile 1945. Di nuovo, è tempo di resistenza, una resistenza consapevole, pacifica, collettiva. Di nuovo ci riconosciamo in un cammino di liberazione da percorrere insieme.


25 aprile 2025: mai come oggi, eccoci in tutte le piazze del nostro bellissimo Paese, per una grande festa popolare che inneggia alla pace, alla democrazia solidale, al lavoro!

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XXVAprile 2025

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Manifesto ufficiale 80° anniversario della LIberazione

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ANPI Monchio Palanzano – Piazza Maddalena Madureri

Inaugurazione di piazza Maddalena Madureri a Vairo il 20 aprile 2024

Pubblichiamo la relazione di ANPI Monchio Palanzano utilizzata a motivazione per l'intitolazione della piazza

Maddalena Madureri, appartenente a una numerosa famiglia contadina di Vairo, svolse attività partigiana in qualità di staffetta all'interno di una brigata garibaldina, la 47^, e collaborò come informatrice con la missione alleata inglese. Tali attività sono state riconosciute dalla Croce al merito di guerra in seguito ad attività partigiana, conferita il 18 ottobre 1950 (immagine 1) e dalla benemerenza conferita dal generale Alexander 1939-1945 (immagine 2). Lo scrittore e pittore Ubaldo Bertoli, partigiano “Gino” all'interno della 47^ brigata Garibaldi, l'ha omaggiata di un ritratto, conservato nell'abitazione della nipote Maria Pia Sgonichi (immagine 3). La richiesta di intitolazione di una piazza a Maddalena Madureri è legata al suo essere figura emblematica a) del cruciale ruolo femminile nella Resistenza e nella lotta partigiana b) del fondamentale apporto della popolazione locale alla lotta di Liberazione, in termini di conoscenza del territorio, supporto logistico-organizzativo, cura e sostegno [...]

continua

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Come si evince dalle fonti orali (interviste a cura della scrivente in occasione del progetto “La valigia della Resistenza” alla nipote Maria Pia Sgonichi, alla vicina di casa Nadia Pini, al figlio del falegname di Vairo Enzo Capacchi) e da quelle scritte (M.Villa-M.Rinaldi, Dal Ventasso al Fuso; U.Bertoli, La Quarantasettesima; G.Riccò, Il comandante Juan), Maddalena Madureri fu attiva nella lotta di Liberazione dapprima con un ruolo di cura e supporto ai gruppi di soldati sbandati  dopo l'8 settembre 1943, divenuti poi partigiani; quindi come collaboratrice di ufficiali inglesi della RAF, fuggiti dal campo di prigionia di Fontanellato, a partire dal mese di novembre '43; come staffetta all'interno del Distaccamento Zinelli, comandato da Gianni di Mattei “Juan”, poi inquadrato, assieme al Don Pasquino, al Nadotti e al Cavestro, nella 47^ Brigata Garibaldi (30 luglio 1944) e infine, dal dicembre 1944, come informatrice del maggiore Holland, in qualità di infiltrata a Collagna (RE), nell'albergo Posta, dove era alloggiato un grosso contingente della Wehrmacht. 

Nata nel 1908, in una numerosa famiglia contadina (era la prima di sei figli), quando decise di prendere parte alla Resistenza non era più una ragazzina – aveva circa 35 anni – e, cosa singolare per l'epoca, non era sposata. Enzo Capacchi, che allora aveva undici anni, ha riferito in merito: “Avrà avuto più di trent'anni, era attempata. Non so perché non era sposata, non era brutta ma 'gh piazeva cmanda' [le piaceva comandare]! Era piena di coraggio. Maddalena l'era una libra [era una libera]! Una ch' la 's cavava 'l mosch dal naz [una che si toglieva le mosche dal naso]”. 

Così, questa donna “attempata”, non certo una ragazzina ma una donna matura, a cui piaceva “comandare” e non essere sottomessa – né a un uomo, né alla retorica del regime fascista – per essere semplicemente una persona libera – potremmo definirla una femminista di fatto – , pur non avendo una formazione né culturale né politica, scelse con cognizione di causa da che parte stare. 

Probabilmente fu proprio il contesto la sua “scuola”: la subalternità vissuta in quanto donna, in quanto contadina povera e in quanto montanara residente in un piccolo paese di montagna la spinse a desiderare un'emancipazione a tutto campo e a fare ciò che sapeva fare meglio da quando era nata: rimboccarsi le maniche e arrangiarsi, facendo affidamento esclusivamente sulla propria forza e sulla propria intelligenza. Dopo la scuola elementare non aveva proseguito gli studi, come succedeva allora, specie nelle famiglie numerose e prive di mezzi, e in modo particolare quando si trattava di bambine. E da ragazza, sempre seguendo una prassi diffusa per tutta la prima metà del Novecento nelle zone montane, lasciò il paese per trasferirsi in città: “andar per serva” si diceva. Maddalena non fece eccezione: andò come domestica a Milano, a casa di una famiglia benestante, a sbrigare quelle faccende che aveva imparato a svolgere precocemente a casa propria, in qualità di figlia maggiore, investita, da subito, di un ruolo di responsabilità genitoriale nei confronti dei fratelli più piccoli. Di questa esperienza la giovane Maddalena, dotata di un'intelligenza vivace, curiosa e aperta alle novità, fece tesoro: si può presumere che sia stata per lei un'occasione di ampliare i propri orizzonti e rafforzare la sua indole indipendente e anticonformista. Non sappiamo se la permanenza in città sia stata formativa anche dal punto di vista culturale o politico, quel che è certo è che Maddalena, riuscendo a mettere da parte qualcosa, fu la prima a portare a Vairo una radio, la radio “Marelli”. E forse anche la radio contribuì alla maturazione di una embrionale coscienza politica, proprio negli anni dell'ascesa del fascismo, anche se probabilmente l'antifascismo di Maddalena, condiviso all'interno della famiglia, fu più legato a un'istintiva avversione allo status quo, alla miseria e alla subalternità della propria condizione sociale.

Il modello di riferimento, secondo la nipote Maria Pia, non poteva che essere sua madre Marianna: “Di mio nonno non ho molti ricordi, era sempre via per lavoro, anche all'estero. Gli uomini, in linea di massima, a quell'epoca erano tutti via, chi era a casa era perché aveva degli impedimenti. Mia nonna, nonostante il suo analfabetismo, era abituata a rimboccarsi le maniche, nel bene e nel male e ad andare avanti”.  

Per andare avanti e cambiare il proprio destino Maddalena Madureri mise a disposizione del Distaccamento, comandato da Gianni di Mattei, la propria abitazione - un “casone” l'ha definito la nipote - a due piani: il primo ospitava la scuola del paese e il secondo la numerosa famiglia Madureri. L'edificio era collocato in una posizione strategica nell'abitato di Vairo Superiore, una posizione sopraelevata che consentiva di controllare l'arrivo dei tedeschi e quindi di segnalarne la presenza facendo suonare le campane. 

Per questo – ha ricordato la nipote – la famiglia fu minacciata e allora la nonna Marianna “usò” lei, piccola e bionda, “la tedesca”, per distrarli e confonderli, tirando fuori anche caramelle, cioccolato, zucchero, sorrisi e un fare da finta tonta, che fu strategia comune utilizzata da tante donne partigiane, che compirono imprese cruciali, anche grazie alla loro sottovalutazione da parte del nemico. Una scena apparentemente poco importante, quasi folcloristica, e invece significativa, che dà conto di come il supporto, la protezione, la cura, in sintesi, dei partigiani da parte della popolazione locale sia stata vitale e salvifica per tante formazioni, che in montagna non erano esattamente di casa e, diversamente, non avrebbero saputo come muoversi e dove rifugiarsi.

Nel caso di Maddalena Madureri è riduttivo, però, parlare solo di ruolo di cura perché le fotografie, particolarmente significativa quella con la pistola – conservata nel Museo della Resistenza di Sasso e donata, con dedica, alla vicina di casa Nadia Pini – e le testimonianze sia orali che scritte restituiscono di lei l'immagine di una autentica partigiana combattente: vestiva da uomo, con braghe larghe, una giubba militare, un fazzoletto al collo (come quello che compare nel ritratto di Bertoli), scarponi militari troppo grandi per i suoi piedi e portava una pistola con caricatore nella cintola dei pantaloni. Sul fatto di saperla usare, le testimonianze orali non hanno dato informazioni certe, mentre Gianni Riccò, nel libro Il comandante Juan, le fa dire: “Sono di Vairo, è da alcuni giorni che cerco la banda di cui tutta la montagna parla. Vengo da una famiglia antifascista, ho esperienza nella guerriglia, so sparare come un uomo e cavalcare anche meglio; spiccico qualche parola in tedesco, conosco bene la zona e ho lavorato per la missione inglese già dal novembre 1943”. 

Che sapesse realmente sparare o che si limitasse a girare con disinvoltura con una pistola è poco rilevante, quello che più conta è che con le armi aveva sicuramente dimestichezza perché spesso circolava nelle valli dell'Enza e del Cedra con borse piene, di documenti, ordini, cibo, medicine o armi, appunto, da distribuire ai compagni partigiani. La sua conoscenza del territorio e le sue indicazioni erano preziose ed erano servite ad evitare alle formazioni partigiane agguati e rappresaglie; la sua calma e il suo sangue freddo le avevano più volte salvato la vita, come quella volta che, durante il rastrellamento tedesco dell'estate del '44, un drappello di soldati nazisti, accompagnati da uomini della brigata nera, giunse a Vairo per cercarla e, nel centro del paese, si imbatté proprio in lei, che ebbe la prontezza di dire di aver visto Maddalena pochi minuti prima fuggire verso il bosco. Enzo Capacchi, rievocando l'episodio, ha ricordato: “Lei è andata su, l’andava cme ‘na levra [andava come una lepre]. Lei faceva la staffetta. Dopo forse cinquant’anni, le ho detto: «Dove ti sei fermata?». «Me n’ho gnan vist la strada, em son anda’ a loga’ drent a un cazlar a Nevian [Io non ho neanche visto la strada, mi sono andata a nascondere in un casolare a Neviano]».”

La sua prontezza la salvò anche quella volta che, dopo essere scesa a Parma a piedi per fare rifornimento di medicinali, arrivata a Cascinapiano con lo zaino pieno, venne affiancata da una camionetta di tedeschi: in un primo momento pensò che fosse la fine e poi invece – come ha ricordato Nadia Pini –  ebbe l'idea di fermarli e di chiedere un passaggio: “È salita, si è tolta lo zaino, gliel'ha passato e loro hanno caricato lo zaino senza neanche controllare. Che coraggio e che prontezza di riflessi!”.

Gianni di Mattei, nome di battaglia “Juan”, comandante del distaccamento Zinelli della 47^ brigata Garibaldi, era giunto in montagna dopo essere fuggito, durante un bombardamento aereo, dal carcere di Parma – dove era detenuto per omicidio a scopo di rapina. 

“Juan”, figura affascinante e controversa, processato e condannato dai suoi stessi compagni nell'ottobre del '44 per abbandono della posizione e sobillazione contro il Comando di brigata, ebbe sicuramente un ruolo importante nella vita di Maddalena, che, secondo quanto emerge dalle fonti, non solo lo amò, ma compì un'impresa che si arricchì nella fantasia dei montanari e diventò subito leggenda: il disseppellimento del cadavere del suo uomo e il suo trasporto in un luogo sconosciuto dove la salma ricevette la benedizione e fu dunque ristabilito l'ordine della pietà. 

Questo gesto che fa di Maddalena una novella Antigone, collocandola in una dimensione mitica e sottraendola alla sua dimensione storica, è probabilmente all'origine della damnatio memoriae che ha investito in qualche misura la partigiana Maddalena Madureri, ridotta al ruolo ancillare della staffetta di Juan e destinata a condividerne la sorte anche post mortem. 

Riportare invece Maddalena Madureri nella sua dimensione storica significa ridarle luce come figura autonoma. E l'autonomia, assieme alla forza e alla determinazione, è la caratteristica della sua personalità che emerge inequivocabilmente da ogni fonte. Intitolarle una piazza nella “sua” Vairo appare oggi come un atto dovuto, un modo di restituire il giusto onore a lei e, insieme a lei, a tutte le donne e a tutti i montanari che hanno avuto un ruolo determinante nel rendere questo Paese libero e democratico. 


inaugurazione 20 aprile 2024

Silvia Franzini (assessora del comune di Palanzano),
Ermes Boraschi (sindaco di Palanzano),
Irene Sandei (presidente ANPI Monchio e Palanzano),
Maria Pia Sgonichi (nipote di Maddalena Madureri),
Giulia Cioci (ricercatrice ISREC)

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Comitato Provinciale 12.04.2025

Relazione introduttiva di Nicola Maestri Presidente Comitato Provinciale ANPI Parma

Credo sia utile mettere a fuoco i tre grandi temi sul tavolo in questo periodo. Il primo è quello della pace e della guerra; il secondo è quello della democrazia; il terzo è quello del ruolo dell’Unione Europea nel terremoto che stiamo vivendo. Su queste tre questioni ruotano le tantissime novità degli ultimi giorni e su queste questioni dobbiamo riflettere, approfondire, decidere che fare.
Credo che dobbiamo precisare, quantomeno al nostro interno, la posizione dell’ANPI su alcuni temi che ruotano attorno a queste questioni.
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Noi auspichiamo che le trattative per la tregua – e ci auguriamo per la pace, nonostante le crescenti perplessità– vadano a buon fine nonostante la tenaglia dei due imperialismi, le evidenti forzature da parte di Trump, la condiscendenza di Putin a tali forzature, l’apparente messa in secondo piano di Zelensky. Per quanto deprecabili possano essere le forme con cui si stanno svolgendo le trattative, a me pare che il peacekeeping dei cosiddetti volenterosi, l’ombrello nucleare francese, l’ansia dell’incremento delle spedizioni di armi in Ucraina e delle sanzioni alla Russia, lo stesso piano Rearm Europe, sostituito velocemente con Prontezza 2030, per fortuna parzialmente messo in discussione persino dal Consiglio europeo, vanno nella direzione contraria non solo alla trattativa di pace, ma anche a qualsiasi de-escalation. Si continua su una linea drammaticamente fallimentare. Non solo: accenno allo sconcertante silenzio dell’Unione e dell’Italia sulla ripresa del massacro a Gaza che sta creando una nuova ondata di indignazione nel Paese e sicuramente in tutti noi. Noi rileviamo in modo sufficientemente definito la dimensione di due imperialismi, diversi per molti aspetti, ma per certi versi di analoga natura; l’imperialismo dell’America di Trump, caratterizzato da una visione proprietaria del mondo e da uno sfondo pseudo-ideologico che richiama in parte importante le teorie dell’anarco- capitalismo, cioè della distruzione tendenziale di ogni aspetto dello stato sociale e della sua sostituzione integrale con il libero mercato, oltre che della riduzione dello Stato a una politica di potenza sia all’interno che su scala internazionale, con l’abbandono degli elementi fondamentali dello stato di diritto; da ciò una visione della pace in Ucraina che abbia anche come corollario immediato gli interessi economici degli Stati Uniti e l’appropriazione delle materie prime; l’imperialismo della Russia di Putin che si muove secondo la logica dello spirito grande russo, con una visione assoluta della difesa dei confini e con una loro possibile espansione, anche in questo caso con una appropriazione delle materie prime. Entrambi questi imperialismi sono in conflitto con l’Unione Europea per varie ragioni, fra cui la forma di governo democratico dei Paesi dell’Unione. Qui l’Unione paga il prezzo di tre anni di politica sbagliata rispetto alla guerra in Ucraina, una politica che ha continuamente allontanato l’orizzonte di un possibile negoziato, lasciando campo libero a terze forze per candidarsi a mediatori del conflitto, col paradossale esito che il grande mediatore, quantomeno ad oggi, sembra proprio il Paese che più degli altri si è speso per l’acuirsi della guerra, e cioè gli Stati Uniti. Noi dobbiamo difendere la natura della democrazia rappresentativa e partecipata come si è costruita nel dopoguerra in Europa occidentale e come l’abbiamo promossa in Italia attraverso la Costituzione, di cui rintracciamo i segni nella elaborazione delle forze e delle personalità antifasciste durante il ventennio e nelle idealità della Resistenza; in sostanza ciò che abbiamo definito democrazia liberale più democrazia sociale e Stato di diritto. Assieme, dobbiamo avere la distinta consapevolezza del declino delle forme democratiche negli ultimi decenni in Europa, in particolare dall’avvio della prima grande crisi quella dei mutui subprime, con la progressiva marginalizzazione di decine di milioni di elettori sacrificati sul mantra della governabilità, fino ad arrivare ad una sorta di democrazia decidente ed escludente col progressivo tramonto del conflitto sociale come sale delle vita democratica, con l’abnorme crescita del disincanto e perciò dell’astensionismo elettorale fino all’ossimoro di una sorta di democrazia oligarchica. Noi dobbiamo contrastare in modo sempre più fermo la politica dell’estrema destra italiana e delle forze analoghe in tutta l’Unione Europea, perché unite dalla progressiva negazione dello Stato di diritto, dall’attacco all’autonomia della magistratura, non più dalla marginalizzazione ma dalla criminalizzazione del conflitto sociale, da una sempre più evidente propensione autoritaria, da una profonda vocazione antieuropeista, come confermato dall’attacco vile della Presidente del consiglio al cuore dell’idea di Europa, cioè il Manifesto di Ventotene. La domanda che dobbiamo porci è quella che si chiede se all’interno della cosiddetta opinione pubblica esistano ancora gli anticorpi per combattere queste derive neofasciste. Se osserviamo la manifestazione indetta sostanzialmente da Anpi e Cgil, a cui hanno aderito altre associazioni e partiti progressisti a Parma lo scorso 1 marzo per contrastare la calata nella nostra città di gruppi musicali dichiaratamente fascisti, la risposta è sì, Parma e la sua provincia hanno ancora un forte radicamento ai valori democratici e antifascisti. È stato un bagno di folla per certi versi inaspettato, perché in tutta sincerità ci aspettavamo sì tanta gente motivata ma non certo cinquemila persone. D’altra parte la preoccupazione è alta per il periodo storico che stiamo vivendo. Ci troviamo quindi a dover rispondere ancora una volta, sotto le pressioni incessanti, a provvedimenti discriminatori e retoriche xenofobe a servizio dei potenti mentre si dichiarano amici del popolo, questa è una deriva in cui si crea la legittimità degli squadrismi, dell’ambiguità istituzionale, della minimizzazione, "dell’altrismo" e dell’indifferenza, verso cui è doveroso ricostituire una linea storica che rispetti i suoi eroi e che difenda le vittime dell’oggi e del domani. Nel pieno di queste complesse vicende è avvenuta la convocazione della manifestazione di Michele Serra, che, per essere esatti, è stata lanciata a causa e dopo i ripetuti attacchi alle forme di governo democratico in Europa e all’Unione Europea in generale e quindici giorni prima della proposta del ReArm Europe. La questione che abbiamo davanti, al di là dei dettagli, è se sia stato giusto o meno partecipare alla manifestazione. Nostri compagni erano in Piazza del Popolo perché era evidente, anche per la presenza di Cgil, Acli e Sant’Egidio, che la manifestazione avrebbe rappresentato diverse anime e diverse sensibilità. Non si configurava, in sostanza, come una piazza per la guerra e comunque sia non si capiva perché bisognasse regalare la piazza per l’Europa, per dirla con un paradosso, alla parte più bellicista degli europeisti. Ma dietro questa scelta c’è un pensiero che ci terrei a chiarire: nella situazione di grande confusione che regna oggi nel nostro Paese e davanti a un progressivo riflusso del movimento pacifista in Italia, a fronte dell’inesistenza di fatto di movimenti analoghi in quasi tutta Europa, noi dobbiamo essere presenti in tutte le piazze portando nelle forme più opportune il nostro messaggio e la nostra visione dell’Unione Europea. Oggi non è il momento di arroccarci, di chiuderci pensando che il rapporto con gli altri possa creare un contagio; è invece il momento in cui pensare al rapporto con gli altri come una risorsa che serve agli altri e serve a noi, per dirla con uno slogan: noi dobbiamo stare col popolo nelle varie forme con cui questo si manifesta. Concludo questi vari passaggi con l’imminente impegno che è di fronte a noi, ovvero il prossimo 25 Aprile, giorno in cui saranno trascorsi da quella data ottant’anni dalla fine della lotta di Liberazione e dalla riconquista della libertà. Dovrà essere un giorno speciale, unico, una grande Festa popolare e nazionale in ricordo di tutte e tutti coloro che in tanti casi hanno sacrificato la loro vita, la propria giovinezza per un paese finalmente libero e liberato. Partigiane, partigiani, staffette, donne, lavoratori, deportati, internati, militari, forze dell’ordine, sacerdoti, antifasciste, antifascisti, intere famiglie. La Costituzione del 1948 è stato il frutto di questa lotta, un dettato civile che riguardava e riguarda tutti: libertà, uguaglianza, solidarietà, lavoro, pace, dignità della persona, in una piena democrazia fondata sul pluralismo. Prepariamoci quindi a dare il nostro meglio, con passione, dedizione, collaborazione e coraggio. È probabile che alla manifestazione quest’anno sia presente con i propri vessilli, la Brigata Ebraica, esorto tutti i nostri iscritti, i nostri dirigenti a soffocare sul nascere ogni prevaricazione e di mettersi a difesa di qualsiasi tentativo di aggressione, anche verbale. Noi siamo l’Anpi, siamo un’ Istituzione e come tali dobbiamo comportarci.


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