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La nostra Associazione deve appoggiare e promuovere nuove forme di resistenza attiva, per rinnovare, a distanza di ottant'anni, i principi e i valori che animarono giovani donne e uomini quando si ribellarono al regime fascista, il quale dopo anni di soprusi e prevaricazioni, aveva infine portato l'Italia a un accumulo di macerie e lutti. Come avrete letto nella mail di convocazione, la nostra intenzione riguardo questo incontro, è quella di coinvolgere principalmente i comitati di sezione, ma anche semplici iscritti che hanno a cuore l'Anpi e i diversi territori in cui operiamo fattivamente. Infatti, abbiamo cercato di focalizzare l'incontro sugli ottant'anni dall'inizio della resistenza, ma soprattutto come combattere i neofascismi nelle sue diverse forme e dare nuovo impulso alla nostra Associazione su tutto il territorio provinciale.
Crediamo sia prezioso questo confronto tra le diverse realtà, il fare rete tra le sezioni che hanno già di fatto iniziato a collaborare tra loro, lo riteniamo un esercizio utile, ma occorre sicuramente fare di più. Ci siamo dati il criterio temporale del triennio 2023/25 per riuscire a mettere a terra progetti fattibili per la nostra Associazione. Mi piacerebbe partire con un cenno storico, uno di quelli che di fatto hanno dato vita alla grande Storia.
A Cuneo, dal balcone della sua casa, l’avvocato Duccio Galimberti disse “...la guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana, ma non si accorda a una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare sé stessa a spese degli italiani”. La guerra sarebbe sì proseguita, come aveva comunicato alla radio il maresciallo Badoglio, ma fino alla cacciata dell’ultimo invasore, dell’ultimo impostore. Quel giorno, sei settimane prima dell’8 settembre del 1943, con queste parole Duccio Galimberti poneva le basi della Resistenza.
Infatti, nell’afosa notte estiva del 25 luglio di una Roma semivuota, si tenne a Palazzo Venezia una riunione del Gran Consiglio del Fascismo in cui il massimo organo del partito “sfiduciò” Mussolini. Con il collasso politico-istituzionale si era arrivati all’atto finale della decomposizione del regime criminale di un “duce” che dal 1935 aveva trascinato gli italiani in un ciclo pressoché ininterrotto di guerre.
E con un balzo di ottant’anni veniamo ai giorni nostri, un periodo politicamente cupo, in cui c’è qualcuno che sistematicamente pigia con violenza sul pedale di un revisionismo studiato e strutturato. Un esempio per tutti: il portavoce della regione Lazio, tal Marcello De Angelis, ex terrorista nero dei NAR, nega la matrice neofascista della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna e arriva a mettere in discussione le dichiarazioni del Presidente della Repubblica Mattarella. Considerazioni incompatibili con il ruolo che ricopre, in una istituzione così importante. E questo avviene nel silenzio più o meno imbarazzato dei vertici dell’attuale governo, partendo dalla presidenza del Consiglio ad altre cariche istituzionali. Con molte probabilità la presidente del Consiglio non può e non vuole prendere le distanze dal neofascismo perché il partito da lei rappresentato ha nel proprio DNA questa matrice. E le dimissioni di De Angelis sono arrivate davvero oltre il tempo massimo, tardive oltre ogni ragionevolezza, dimostrando un'assenza totale di senso delle istituzioni. Ma se chi ricopre, pro tempore, incarichi di primissimo piano, scavalca in maniera così disinvolta una sentenza passata in giudicato che ha visto condannare in via definitiva neofascisti acclarati, significa che la nostra democrazia necessita di essere attenzionata e protetta in ogni sua forma.
Ricordo che i magistrati che hanno indagato sulla strage del 2 agosto 1980 hanno scoperto una fitta trama di intrighi, tradimenti delle istituzioni, connivenze tra forze oscure e vecchi gerarchi della repubblica sociale di Mussolini, estremisti di destra, servizi segreti, malavita organizzata. Percorsi sotterranei che oggi riflettono nuova luce sulle trame dello stragismo e sulle strategie politiche applicate all’Italia per limitarne la libertà e cancellare qualsiasi possibilità di opposizione e di proposte alternative da parte della sinistra.
È importante focalizzare che i giudici di Bologna hanno svelato le trame di una nuova storia, una storia nascosta. Una storia di tradimenti e di violenze ai danni della democrazia italiana. L’hanno scritta valutando il contesto in cui agirono autori e mandanti della strage del 2 agosto 1980, e analizzando cinquant’anni di tentativi di condizionamento delle libertà costituzionali. Tutto questo messo in atto da una “struttura occulta” cui concorsero nel dopoguerra una parte significativa degli apparati militari e di sicurezza dello Stato, protetti da esponenti delle forze di governo e appoggiati dagli oltranzisti statunitensi. Chi ne faceva parte affermava di voler di preservare l’Italia dal comunismo, secondo i principi della Guerra fredda.
Ma a questo scopo non si esitò a mobilitare e foraggiare, durante decenni, una schiera di ex gerarchi della repubblica sociale di Mussolini, aspiranti golpisti, freddi terroristi, di criminali mafiosi e camorristi, per i quali la guerra civile non è mai finita: essi furono scagliati contro gli italiani in centinaia di attentati. A partire da Portella della Ginestra, e poi a Piazza Fontana, a Brescia, al treno Italicus, alla stazione di Bologna.
Sia chiaro, stragi politiche, stragi di Stato. Perché ciascuna di esse fu progettata ed eseguita seguendo un’unica strategia eversiva, con la diretta complicità di pubblici ufficiali che, anziché difenderla, tradirono la Costituzione democratica votandosi al suo riassetto in senso autoritario. È una storia “politica e criminale” al tempo stesso; accuratamente occultata, le cui tracce sono state disperse con la sistematica distruzione degli archivi, la manomissione dei documenti, la programmatica falsificazione. Quando ragioniamo e discutiamo di neofascismo partiamo sempre da questo fardello che ci trasciniamo da decenni; ci servirà per analizzare e approfondire. ANPI in tutto questo, assieme alla parte sana della società civile e dell’opinione pubblica, dovrà impegnarsi maggiormente per soverchiare questa inerzia che impedisce di svelare ai più la storia recente italiana. Dobbiamo uscire da questo buco nero che trita ogni cosa e annebbia e annacqua ogni verità. E i motivi per cui è importante ai nostri giorni credere nell’antifascismo, come vedete, sono ancora profondi e molteplici.
Alzando lo sguardo e focalizzando i nostri giorni, non da oggi sia chiaro ma negli ultimi anni si è accentuata una spinta identitaria che si riconosce in una delle più belle e sentite tradizioni dell’antifascismo italiano, quella cioè di riunirsi ogni 25 luglio davanti a un piatto di pastasciutta, ricordando e celebrando quella che la famiglia Cervi offrì a tutto il paese, Campegine, per festeggiare la caduta di Mussolini. Come sempre succede, ma in questo caso è più evidente che mai, il 25 luglio 1943 la Storia si intreccia con le storie delle persone. Mussolini che dopo essere stato sfiduciato viene arrestato e imprigionato sul Gran Sasso.
Dopo oltre vent’anni cade il regime fascista, e re Vittorio Emanuele III nomina il maresciallo Pietro Badoglio capo del governo. Non appena appresa la notizia, un paese gioioso di poche migliaia di anime si riunisce davanti a un piatto di pasta. La famiglia Cervi era una famiglia contadina, gente semplice. Di storie di gente semplice ne abbiamo perse a migliaia, e anche quel gesto dell’aver offerto la pasta a tutto il paese avremmo potuto facilmente dimenticarlo. Invece oggi reiteriamo quel gesto e quella vicenda di un minuscolo paese di campagna per ricordare e celebrare la grande Storia. La pastasciutta antifascista è diventata una tradizione, e l’adesione di così tante e tanti a questo momento di convivialità è l’espressione di una coscienza condivisa da un intero Paese, non ci sono busti del duce o revisionismi che tengano. Quest’anno poi la celebrazione si è caricata di alcuni significati ulteriori. Sono passati ottant’anni da quel giorno, e tra pochi mesi saranno ottant’anni dalla fucilazione dei sette fratelli Cervi; ma il tempo passa inarrestabilmente, e non è poi tanto la cifra tonda dell’ottantesimo anniversario che ha reso la pastasciutta antifascista 2023 così sentita e speciale. La pastasciutta antifascista 2023 è stata così partecipata perché, a ottant’anni di distanza, il patrimonio culturale e valoriale della Resistenza è sotto assedio. Il tentativo di dare un colpo di spugna alla storia, con l'obiettivo di riscriverne un’altra, c’è sempre stato.
Oggi però con questa estrema destra al governo c’è chi lo rispolvera e impugna come strumento politico per demolire la memoria democratica. Così si spiegano, vien da pensare, le circa 300 pastasciutte organizzate in tutta Italia, le migliaia di volontari che si sono spesi e le decine di migliaia di partecipanti: il popolo non ci sta, e risponde numeroso ai tentativi di revisionismo. E anche nella nostra provincia questo evento ha avuto un successo notevole in termini di numeri e di entusiasmo. Allo stesso modo, lo scorso 25 aprile ha registrato una partecipazione straordinaria, che ha reso evidente quanto ancora il sentimento antifascista sia radicato nel popolo italiano. Fondamentale per l’organizzazione e la riuscita della pastasciutta è stata, ed è ogni anno, quella straordinaria comunità di persone che è l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, ed è importante non perdere di vista il sentimento che mosse in quei giorni la famiglia Cervi. L’Istituto Cervi, poi, ha due grandissimi meriti: ne è il promotore e ha sempre lavorato affinché la pastasciutta fosse una tradizione italiana, piuttosto che emiliana o addirittura reggiana. L’Italia è il Paese dei mille campanili, e quella della pastasciutta è una storia non solo sopravvissuta al tempo ma anche al rischio di divenire tradizione di un singolo Comune o di una sola Regione. Solitamente ogni Municipio che, come da Costituzione, si riconosce nell’antifascismo celebra gli anniversari degli eccidi e dei fatti che lo hanno direttamente coinvolto, la pastasciutta antifascista invece, pur muovendo le sue mosse ogni anno da Casa Cervi, è un patrimonio nazionale e sta divenendo europeo.
Questo aver superato i confini del proprio luogo geografico si deve certamente a quello che i sette fratelli Cervi rappresentano. Sarebbe bello infatti ricordare i fratelli Cervi solo per la pastasciutta che, indebitandosi fino al collo, offrirono al paese per celebrare la caduta del fascismo; li ricordiamo invece e forse soprattutto per la loro fucilazione, accorsa pochi mesi dopo, il 28 dicembre 1943, per mano fascista. È bene ricordarlo: non nazista ma fascista, come peraltro è stato per i nostri 7 martiri di piazza Garibaldi; fu una strage fascista non nazista. Ed è per questo che chiederemo all'amministrazione comunale di porre finalmente rimedio all'errore riportato sulla lapide che ricorda l'eccidio.
Sono stati stimati circa in 40.000 i partigiani Caduti nella guerra di Liberazione, i fratelli Cervi rappresentano tutti loro. L’ovvia e dolorosa impossibilità a ricordare nomi e volti di ogni Caduto ha inevitabilmente portato a creare simboli. Il lutto e la commemorazione per i fratelli Cervi sono il lutto e la commemorazione per tutti coloro che diedero la vita per conquistare una forma di società ancora mai vissuta, la democrazia. Allo stesso modo quando si commemorano e celebrano Don Minzoni, Gramsci, Matteotti, Gobetti, o i fratelli Rosselli non si onorano solo loro in quanto tali, ma la lotta antifascista tutta.
Ho volutamente citato la pastasciutta antifascista perché credo che questa dia la giusta dimensione per rimarcare l’orgoglio per la nostra comunità, quella antifascista e democratica, che è numerosa, entusiasta e coesa forse più di quanto immaginiamo. Siamo un patrimonio prezioso da non disperdere ma da spendere nella quotidianità. Come Anpi provinciale ci stiamo adoperando per radicarci su tutto il territorio della nostra provincia, compito arduo ma non per questo intendiamo sottrarci. Alcuni importanti risultati li abbiamo raggiunti. Sono tornate attive sezioni storiche come quelle di Felino e Lesignano, mentre nuove sezioni sono nate accompagnate da idee ed entusiasmo. Penso alle sezioni di Monchio-Palanzano, Tizzano Val Parma, Bore e Sissa-Trecasali. Altre realtà come Borgotaro e Montechiarugolo si stanno attrezzando per tornare ad essere protagoniste nei loro territori e tra ottobre e novembre prossimo andremo ai rispettivi congressi rifondativi. Mai come oggi, proprio a causa del tempo difficile in cui viviamo, l’antifascismo si presenta come un sistema di valori di particolare attualità, una speranza concreta di cambiamento, un argine democratico alla palude di tipo razzista, xenofobo, neofascista, presente nel nostro Paese. Come Anpi quindi su quale terreno è opportuno muoverci? Credo sia importante affrontare il presente, perché la sfida nata sulle montagne e nelle città dopo l’8 settembre 1943 e vinta il 25 aprile 1945, continua oggi, quando, più che mai, c’è bisogno di respirare trasparenza, legalità, liberazione.
Occorre battersi per una Pace degna di questo nome; per un lavoro sicuro e per salari equi; per l'ambiente che rappresenta la sfida in assoluto; per l'istruzione, per i diritti, per la democrazia! Ma per affrontare il presente con serietà occorre approfondire il passato, fare i conti con la storia, mettere a valore la memoria. E dunque tornare a riflettere – ed in primo luogo conoscere – non solo su quei mesi, ma anche sul tempo successivo, quello della proclamazione della Repubblica, e poi della Costituzione, e poi gli anni ‘50, ‘60 e quello dello stragismo nero e del brigatismo degli anni ‘70 e ‘80; i cosiddetti anni di piombo.
Parlare del presente e riflettere sul passato è la chiave – l’unica chiave scientifica – per immaginare il futuro. Ed immaginare il futuro oggi, quando siamo sommersi da una cultura delle immagini spesso vuota, dal declino di un sistema di valori umanistico e democratico, da un indebolimento inquietante di quell’insieme di relazioni, stili di vita, principi di convivenza che chiamiamo coesione sociale, vuol dire contribuire a ricostruire una speranza per tutti, in particolare per coloro ai quali sembra che questa speranza sia negata: le ragazze e i ragazzi del nostro Paese.
Per queste ragioni Anpi dovrà affrontare un ampio spettro di temi: quelli della società e delle idealità, della politica e della memoria, della storia delle persone e dei territori; ma anche quelli della cultura, nella sua accezione più ampia, come testimonianza del presente, portato del passato, presagio del futuro. Cultura, dunque, in tutti i sensi: quella colta e quella popolare, quella letteraria, musicale, scientifica, delle arti visive, dello spettacolo. Insomma, lo specchio magico dell’Italia, dell’Europa, del mondo di oggi. ANPI era, è e sarà partigiana: perché partigiana è la Repubblica democratica, partigiana è la Costituzione, partigiana è la democrazia faticosamente costruitasi nei decenni successivi. Perché partigiano vuol dire essere per la libertà e l’eguaglianza, per la solidarietà e la giustizia sociale, per la legalità e la cittadinanza, per il lavoro e per la pace.
Perché l’Anpi assieme alle partigiane e ai partigiani ci hanno consegnato la Costituzione e l’Italia fondata sul lavoro e l’Italia che ripudia la guerra. Perché partigiani – infine – sono tutti coloro che ci hanno consegnato, spesso al prezzo di inenarrabili sofferenze o al prezzo della vita, una nuova Italia.
Una grande possibilità che non si è ancora pienamente compiuta, che oggi sembra messa in ombra, per la quale vale la pena continuare a lottare, a testa alta, con la fronte rivolta verso il sole.