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Vizzola 21.03.2021

Il 21 marzo 1945 a Vizzola vennero fucilati tre giovani partigiani: Ras di 28 anni, Andrei e Milan di 16 anni.

Questa mattina a Vizzola di Fornovo di Taro si è svolta la commemorazione dell’eccidio da parte dell’Amministrazione Comunale in collaborazione con ANPI Fornovo di Taro, ANPI Collecchio e IC Malerba, con il DS Giacomo Vescovini, e in particolare le classi della Primaria di Riccò che come ogni anno ha preparato un percorso di canti, grazie al Maestro Zarba, e letture.



Commemorazione ufficiale

Sig.ra Carmen Motta

Presidente Istituto Storico della Resistenza e della Età Contemporanea Parma

prima parte del testo. [...]

Tre i giovani partigiani che il primo giorno di primavera, il 21 marzo del 1945, furono fucilati davanti al cimitero di Vizzola, proprio qui dove siamo noi oggi, e fatto scempio dei loro corpi. La più terribile azione di umiliazione che si possa compiere su corpi inermi.

Chi erano questi giovani?

Giuseppe Azzolini, nome di battaglia Andrei, 17 anni partigiano dal primo ottobre 1944 al giorno della sua esecuzione, nato a santa maria del piano, calzolaio come il padre.

Ferdinando Bremi , nome di battaglia Milan, 16 anni partigiano dal 27 ottobre 1944 al giorno della sua esecuzione,nato a santa maria del piano.

Andrea Bianchi, nome di battaglia Ras, 28 anni, partigiano dopo l’8 settembre 1943 fino al giorno della sua esecuzione, di Altopascio, paese in provincia di Lucca, sposato, padre di una bimba, Alberta, bracciante.

Di Bremi si sa che fu ospitato da una famiglia di Parma composta da una signora anziana, una giovane con un bimbo piccolo ma la figlia Alberta che non ha conosciuto suo padre, non è riuscita a scoprirne l’identità.

La loro storia riassunta brevemente.[...]

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[...]

Catturati durante un rastrellamento il 14 marzo 1945 a Castrignano di Langhirano dai bersaglieri della divisione ”Mameli” in una operazione antiguerriglia, vengono consegnati ai bersaglieri della divisione “Italia”, che ne pretendono la consegna, e trasportati a Sala Baganza nella sede della Guardia nazionale repubblicana cioè la milizia della Repubblica fascista di Salò. Il 21 marzo i famigliari li poterono incontrare fugacemente e furono rassicurati da chi li aveva in consegna che sarebbero stati rilasciati. Giuseppe, che aveva sul volto i segni della violenza subita dai militari, chiese alla sorella se anche lei fosse stata arrestata e, quasi a volerle consegnare il messaggio che nessuno doveva tradire, le confidò di non aver parlato. I famigliari furono vigliaccamente illusi sulla salvezza dei loro congiunti la cui sorte era già stata decisa perché subito dopo la loro partenza i giovani furono caricati su un camion, condotti a Riccò e poi a piedi, attraverso i campi, al cimitero di Vizzola dove furono trucidati. Ci furono abitanti del paese che da lontano assistettero alla tragedia. Vinta la paura si avvicinarono a quei poveri corpi straziati e ne raccolsero i resti per comporli all’interno della cappella del cimitero. Gesto coraggioso di pietà umana, perché a quei tempi anche la pietà poteva comportare un serio rischio personale. Lo stesso giorno i corpi di Giuseppe e Ferdinando furono trasportati al loro paese natale, la salma di Andrea restò nel cimitero di Vizzola. Finita la guerra furono celebrati due processi ma i responsabili dell’eccidio furono scagionati. Giustizia negata ai famigliari, nessun responsabile che pagò per il crimine commesso fra i comandi fascisti. Per inquadrare meglio questa storia : quale era la situazione militare di allora? Come erano dislocate le forze che si fronteggiavano prima della sconfitta degli eserciti nazifascisti? Mussolini, pur ormai consapevole che la sconfitta era inevitabile, venne nel gennaio 1945 a Ozzano Taro ad incontrare la divisione dei bersaglieri “Italia”, alleata ancora con i tedeschi, per rinforzare l’attività di antiguerriglia partigiana nel territorio tra le valli del Taro e del Ceno, dove la resistenza era più organizzata e numerosa, e quelli delle valli del Parma e dell’Enza, con l’obiettivo strategico di difendere la cosiddetta “linea gotica” che delimitava il confine dell’appennino tosco-emiliano, a sud del quale erano schierati gli alleati anglo-americani in attesa di poter avanzare e liberare il nord Italia unitamente alla resistenza partigiana. I nazifascisti sapevano che crollata quella linea del fronte tutto era perduto. Per questo l’inverno del ‘44/’45 fu il periodo degli eccidi di partigiani, renitenti alla leva, militari che avevano rifiutato di aderire alla repubblica fascista di Salò,e fu il periodo delle rappresaglie più dure anche nei confronti di inermi civili come risposta alle azioni partigiane . Rappresaglie, rastrellamenti, per impedire ai partigiani di assumere il controllo delle principali vie di comunicazione del parmense: passo della Cisa e linea ferroviaria Parma-La Spezia. 155 furono le persone uccise, partigiani, civili, militari, da fascisti e tedeschi. Questi i fatti che ci riportano al ricordo di oggi qui a Vizzola, ma perché lo rinnoviamo ogni anno? Per farne memoria viva e non dimenticare, perché più ci si allontana dagli avvenimenti più questi sembrano distanti dal presente, sfumati nei loro contorni, e soprattutto perché il tempo affievolisce il ricordo delle persone che di quei fatti furono i protagonisti. Ce lo insegna la storia che succede questo, e la storia se non è viva, se viene raccontata unicamente come passato, se non è nutrita di gesti concreti come la nostra presenza oggi, non potrà più aiutare a comprendere il passato unico modo per comprendere il presente e quale futuro vogliamo. Le brevi vite di Giuseppe, Ferdinando,Andrea parlano ancora a noi non come “miti” ma come “esempi” vivi di coraggio, coerenza, passione,lealtà, gratuità del loro straordinario impegno per gli ideali e i valori che volevano fossero di tutti e per tutti. E allora chiediamoci: noi al loro posto cosa avremmo fatto in quei terribili anni di guerra devastante , dopo 20 anni di dittatura del regime fascista e di fronte alla occupazione della Germania nazista del nostro paese? Loro hanno scelto da che parte stare a rischio della vita e dell’esistenza delle loro famiglie per restituire libertà, democrazia, diritti, dignità e pace all’Italia. Non si sono piegati all’indifferenza, hanno affrontato la paura, hanno posto il “noi” davanti all’”io”, hanno donato il bene più prezioso che avevano, la vita. Cosa avranno pensato negli ultimi istanti prima della morte di fronte al plotone di esecuzione di italiani come loro, due ragazzi di 16 e 17 anni e un giovane uomo padre di 28 anni? Accettare la morte è sempre difficilissimo ma ci vuole coraggio, molto coraggio affrontarla come loro sono stati costretti a subirla e ferocemente umiliati perfino dopo la morte. Noi cosa avremmo scelto se fossimo stati al loro posto? Ecco a cosa serve la storia, non solo a conoscere ma a interrogarci nel e sul nostro presente, a chiederci perché tutto questo è avvenuto? Perché queste vite così preziose, come ogni vita, sono state annientate da una furia umana così cieca e violenta? Una risposta c’è ed è sempre la storia che risponde: perché allora fascisti e nazisti, avevano una visione totalitaria, nazionalista, razzista, escludente, discriminatoria dell’umanità; vedevano solo “nemici” e non avversari, concetto molto diverso dal primo, delle loro ideologie, semplicemente da eliminare con qualunque mezzo. Questi convincimenti ideologici hanno generato e generano sempre male ovunque siano stati applicati. E chiediamoci anche oggi accade ancora? Purtroppo si, in tante parti del mondo, a noi non lontane, non in modo uguale al passato perché la storia non è mai uguale a se stessa ma sicuramente tende a ripetersi. Dobbiamo essere consapevoli, molto consapevoli, di questo e comprendere che la speranza del benessere pacifico di tutti, non è un principio astratto ma il frutto delle nostre azioni. La democrazia conquistata quasi 80 anni fa, a così caro prezzo è un bene prezioso ma fragile, da salvaguardare con molta attenzione così come i diritti individuali e collettivi possono non essere per sempre. La disumanizzazione che caratterizzo quei tempi è sempre un rischio in agguato, alto, che bisogna combattere democraticamente ma scongiurare perché rende ciechi, sordi, insensibili a tutto. Fra poco celebreremo la festa della Liberazione, il 25.aprile, in quella ricorrenza ci sono le fondamenta della nostra Costituzione, conosciamola davvero, facciamola nostra, è il faro che potrà sempre guidarci nel presente e ad immaginare, memori del passato, il nostro futuro. Sempre ad occhi aperti sul mondo con fiducia e immensamente grati a Giuseppe, Ferdinando, Andrea, che lo hanno fatto tanti anni fa per noi, per tutti. E con noi carissimi partigiani ci sarete sempre e per sempre, è un impegno solenne che insieme vi dobbiamo, lo dobbiamo a voi ai vostri cari all’Italia democratica.

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Ponte di Lugagnano

Commemorazione 19.11.2023 Discorso di Nicola Maestri Presidente Comitato Provinciale Anpi Parma

Ringrazio voi tutti per la vostra significativa partecipazione e tutte le autorità per la loro presenza al 79esimo anniversario dalla barbara uccisione per mano nazista di cinque partigiani che rappresentavano di fatto il comando della 47° brigata Garibaldi [...]

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[...]

Le vittime sono il comandante Ivan (Aldo Zucchellini - Medaglia d'argento al Valor Militare), il Capo di Stato Maggiore Raffaello (Remo Cohen - Medaglia d'argento al Valor Militare), il vice commissario Franci (Brunetto Ferrari - Medaglia d'argento al Valor Mìlitare), la staffetta Tita (Ave Melioli di Bibbiano) e Celso (Giorgio Lambertini), l'autista della Brigata. Su questa tragica, vile e sanguinosa vicenda potrei rimandarvi alle parole descritte magistralmente da quella penna sopraffina che è Mario Rinaldi, o ai quadri di Ubaldo Bertoli, nello specifico penso a "Nazisti in rastrellamento". Però oggi con voi vorrei analizzare quello che ha rappresentato per la nostra storia la Resistenza armata e civile messa in atto da questi giovani e cari ragazzi.

La Resistenza fu una somma di atti di coraggio, di generosità, di imprese ardimentose, di impegno tenace, di dedizione agli ideali in cui ciascuno credeva. Non mancò certo la zavorra: quelli che vennero in montagna solo nei momenti facili, quelli che vennero per spirito di avventura, quelli che, avendo un'arma in mano, si lasciarono contaminare dal gusto del dominio su altri. Con le sue luci e le sue ombre la Resistenza fu portatrice di una carica innovatrice tesa a gettare le basi di una società più libera e più giusta. Nonostante i contrasti e i conflitti, la comune partecipazione alla Resistenza aprì la strada al confronto e all'incontro di culture diverse nell'elaborazione della Costituzione. Questi nostri ragazzi possono davvero essere definiti "ribelli per amore": amore della libertà; amore della patria italiana tradita dal fascismo che l'aveva trascinata in una guerra ingiusta e ingiustificata; amore della democrazia che andava restituita e ricostruita; amore della pace tanto attesa da quel popolo italiano che aveva sofferto lutti e dolori nei cinque anni di guerra.

A centinaia, a migliaia, uomini e donne, giovani e meno giovani, militari e civili, decisero di prendere le armi per liberare l'Italia dal regime nazifascista.

Fu grazie alla Resistenza se l'Italia potè dissociare le sue responsabilità da quelle del fascismo, acquisendo il diritto di essere riammessa nel consesso dei popoli liberi.

Nella liberazione furono sicuramente determinanti ed assolutamente necessari gli eserciti alleati americani ed inglesi che dalla Sicilia risalirono la penisola combattendo e sacrificando tante vite di giovani americani inglesi e dei paesi alleati.

Ma grazie ai partigiani potemmo dimostrare di aver dato un cospicuo contributo di lotta, di sacrificio e di sangue alla conquista della libertà e della democrazia.

Se la Resistenza non ci fosse stata si sarebbe potuto giustamente affermare che vent'anni di dittatura avevano abituato gli italiani a plaudire e a servire passivamente il più forte del momento.

Fu dunque, prima di tutto, un'esigenza di dignità civile e nazionale che spinse all'azione di fronte all'occupazione tedesca.

Nello stesso tempo la resistenza significò il ripudio definitivo dell'esperienza fascista: l'opposizione di pochi che, durante il ventennio, avevano affrontato esilio, carcere e confino, divenne con la Resistenza fenomeno di massa.

Ma soprattutto la resistenza ebbe il carattere di rivolta morale: contro il nazismo, contro il fascismo e contro tutto ciò che essi avevano rappresentato in Europa: negazione della libertà, oppressione degli altri popoli, culto della violenza, spirito di sopraffazione.

Onoriamo Aldo, Remo, Brunetto, Ave e Giorgio che, assieme ai tanti, tantissimi altri scelsero di mettere a rischio la propria vita per donare all'Italia libertà e democrazia, nella consapevolezza di essere debitori del loro coraggio e del loro sacrificio. Non dobbiamo dimenticarlo mai e dobbiamo fare in modo che non lo dimentichino nemmeno i nostri giovani, i nostri ragazzi, quelli che stanno costruendo o costruiranno l'Italia di domani.


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Una Via per “Ilio”

caltatnisetta

A Caltanisetta il 12 settembre 2023 è avvenuta l'intitolazione di via Luigi Cortese a Caltanissetta.
 

La lettera del presidente Comitato Provinciale di Parma
Nicola Maestri

 

Carissimi tutti e tutte.

Il 9 settembre del 1943, Gino Cortese partecipò, a Villa Braga, alla prima riunione costitutiva della Resistenza che sancì l’inizio della lotta armata al fascismo. [...]

continua

[...]

Se pensiamo che all’età di 23 anni, senza conoscenza del territorio, fu incaricato di organizzare la resistenza in Val d’Enza, ci rendiamo conto della statura morale e dello spirito indomito dell'uomo.

Non per nulla in breve tempo, Gino Cortese divenne il Commissario “Ilio”, commissario politico della 47a Brigata Garibaldi (la Brigata dalla “testa calda” secondo una felice definizione dell’ANPI) e poi della Divisione Ottavio Ricci.  Con sprezzo del pericolo, Cortese assistette e sostenne i compagni, fu ferito, fu catturato e fu condannato a morte.

Il bombardamento del carcere di Parma ad opera degli Alleati rappresentò la sua insperata salvezza.

Il 25 aprile del 1945 alla testa della brigata Garibaldi, Gino Cortese liberò Parma.


Per il nostro territorio "Ilio" rappresenta un caposaldo del mondo resistenziale.


Siamo felici e orgogliosi per la scelta che il Comune di Caltanissetta ha voluto compiere.

Lo meritano Ilio e la sua storia; lo merita la sua famiglia; lo merita il caro figlio Enrico che abbiamo la fortuna di aver conosciuto; lo merita la sua città che lo ha visto crescere, andarsene e tornare.

Lo merita la memoria di Luigi Cortese, Partigiano "Ilio", un uomo che ha speso la sua vita battendosi per un mondo libero ed equo e si è prodigato per un mondo migliore.

 

Siamo con voi con il cuore e con la mente.

 

Un abbraccio forte e fraterno.

Nicola Maestri


Presidente Provinciale ANPI Parma

e tutto il Comitato

Caro Nicola, 

in calce alcune foto dell'intitolazione di via Luigi Cortese a Caltanissetta. 

La tua lettera ha commosso tutti, la famiglia Cortese e noi ti siamo molto grati per esserci stato vicino in questo giorno così importante.

A leggerla la compagna della sezione "Gino Cortese" di Caltanissetta Fabiola Cammarata.


Un grande abbraccio a te e a tutti i compagni dell' A.N.P.I. Parma ????


Claudia, ANPI Caltanisetta

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Assemblea comitati di sezione

9 settembre

Relazione Introduttiva del presidente Comitato Provinciale Nicola Maestri

Benvenuti a tutte e tutti voi ! Grazie per essere così numerosi a questa chiamata che, come segreteria provinciale, abbiamo voluto fortemente per fare il punto sul nostro cammino. Il momento storico non è dei più rosei, la situazione politica ha subito un'involuzione piuttosto accentuata negli ultimi mesi dove, inesorabilmente, si stanno riducendo gli spazi che riguardano i diritti e la libertà di opinione. La destra estrema al governo del Paese, anziché combattere nuove e vecchie insopportabili intolleranze, le cavalca penosamente rivolgendosi spesso benevolmente verso chi impersona gli istinti più cupi e retrivi.[...]

continua

[...]

La nostra Associazione deve appoggiare e promuovere nuove forme di resistenza attiva, per rinnovare, a distanza di ottant'anni, i principi e i valori che animarono giovani donne e uomini quando si ribellarono al regime fascista, il quale dopo anni di soprusi e prevaricazioni, aveva infine portato l'Italia a un accumulo di macerie e lutti. Come avrete letto nella mail di convocazione, la nostra intenzione riguardo questo incontro, è quella di coinvolgere principalmente i comitati di sezione, ma anche semplici iscritti che hanno a cuore l'Anpi e i diversi territori in cui operiamo fattivamente. Infatti, abbiamo cercato di focalizzare l'incontro sugli ottant'anni dall'inizio della resistenza, ma soprattutto come combattere i neofascismi nelle sue diverse forme e dare nuovo impulso alla nostra Associazione su tutto il territorio provinciale. Crediamo sia prezioso questo confronto tra le diverse realtà, il fare rete tra le sezioni che hanno già di fatto iniziato a collaborare tra loro, lo riteniamo un esercizio utile, ma occorre sicuramente fare di più. Ci siamo dati il criterio temporale del triennio 2023/25 per riuscire a mettere a terra progetti fattibili per la nostra Associazione. Mi piacerebbe partire con un cenno storico, uno di quelli che di fatto hanno dato vita alla grande Storia.

A Cuneo, dal balcone della sua casa, l’avvocato Duccio Galimberti disse “...la guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana, ma non si accorda a una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare sé stessa a spese degli italiani”. La guerra sarebbe sì proseguita, come aveva comunicato alla radio il maresciallo Badoglio, ma fino alla cacciata dell’ultimo invasore, dell’ultimo impostore. Quel giorno, sei settimane prima dell’8 settembre del 1943, con queste parole Duccio Galimberti poneva le basi della Resistenza.

Infatti, nell’afosa notte estiva del 25 luglio di una Roma semivuota, si tenne a Palazzo Venezia una riunione del Gran Consiglio del Fascismo in cui il massimo organo del partito “sfiduciò” Mussolini. Con il collasso politico-istituzionale si era arrivati all’atto finale della decomposizione del regime criminale di un “duce” che dal 1935 aveva trascinato gli italiani in un ciclo pressoché ininterrotto di guerre.

E con un balzo di ottant’anni veniamo ai giorni nostri, un periodo politicamente cupo, in cui c’è qualcuno che sistematicamente pigia con violenza sul pedale di un revisionismo studiato e strutturato. Un esempio per tutti: il portavoce della regione Lazio, tal Marcello De Angelis, ex terrorista nero dei NAR, nega la matrice neofascista della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna e arriva a mettere in discussione le dichiarazioni del Presidente della Repubblica Mattarella. Considerazioni incompatibili con il ruolo che ricopre, in una istituzione così importante. E questo avviene nel silenzio più o meno imbarazzato dei vertici dell’attuale governo, partendo dalla presidenza del Consiglio ad altre cariche istituzionali. Con molte probabilità la presidente del Consiglio non può e non vuole prendere le distanze dal neofascismo perché il partito da lei rappresentato ha nel proprio DNA questa matrice. E le dimissioni di De Angelis sono arrivate davvero oltre il tempo massimo, tardive oltre ogni ragionevolezza, dimostrando un'assenza totale di senso delle istituzioni. Ma se chi ricopre, pro tempore, incarichi di primissimo piano, scavalca in maniera così disinvolta una sentenza passata in giudicato che ha visto condannare in via definitiva neofascisti acclarati, significa che la nostra democrazia necessita di essere attenzionata e protetta in ogni sua forma.

Ricordo che i magistrati che hanno indagato sulla strage del 2 agosto 1980 hanno scoperto una fitta trama di intrighi, tradimenti delle istituzioni, connivenze tra forze oscure e vecchi gerarchi della repubblica sociale di Mussolini, estremisti di destra, servizi segreti, malavita organizzata. Percorsi sotterranei che oggi riflettono nuova luce sulle trame dello stragismo e sulle strategie politiche applicate all’Italia per limitarne la libertà e cancellare qualsiasi possibilità di opposizione e di proposte alternative da parte della sinistra.

È importante focalizzare che i giudici di Bologna hanno svelato le trame di una nuova storia, una storia nascosta. Una storia di tradimenti e di violenze ai danni della democrazia italiana. L’hanno scritta valutando il contesto in cui agirono autori e mandanti della strage del 2 agosto 1980, e analizzando cinquant’anni di tentativi di condizionamento delle libertà costituzionali. Tutto questo messo in atto da una “struttura occulta” cui concorsero nel dopoguerra una parte significativa degli apparati militari e di sicurezza dello Stato, protetti da esponenti delle forze di governo e appoggiati dagli oltranzisti statunitensi. Chi ne faceva parte affermava di voler di preservare l’Italia dal comunismo, secondo i principi della Guerra fredda.

Ma a questo scopo non si esitò a mobilitare e foraggiare, durante decenni, una schiera di ex gerarchi della repubblica sociale di Mussolini, aspiranti golpisti, freddi terroristi, di criminali mafiosi e camorristi, per i quali la guerra civile non è mai finita: essi furono scagliati contro gli italiani in centinaia di attentati. A partire da Portella della Ginestra, e poi a Piazza Fontana, a Brescia, al treno Italicus, alla stazione di Bologna.

Sia chiaro, stragi politiche, stragi di Stato. Perché ciascuna di esse fu progettata ed eseguita seguendo un’unica strategia eversiva, con la diretta complicità di pubblici ufficiali che, anziché difenderla, tradirono la Costituzione democratica votandosi al suo riassetto in senso autoritario. È una storia “politica e criminale” al tempo stesso; accuratamente occultata, le cui tracce sono state disperse con la sistematica distruzione degli archivi, la manomissione dei documenti, la programmatica falsificazione. Quando ragioniamo e discutiamo di neofascismo partiamo sempre da questo fardello che ci trasciniamo da decenni; ci servirà per analizzare e approfondire. ANPI in tutto questo, assieme alla parte sana della società civile e dell’opinione pubblica, dovrà impegnarsi maggiormente per soverchiare questa inerzia che impedisce di svelare ai più la storia recente italiana. Dobbiamo uscire da questo buco nero che trita ogni cosa e annebbia e annacqua ogni verità. E i motivi per cui è importante ai nostri giorni credere nell’antifascismo, come vedete, sono ancora profondi e molteplici.

Alzando lo sguardo e focalizzando i nostri giorni, non da oggi sia chiaro ma negli ultimi anni si è accentuata una spinta identitaria che si riconosce in una delle più belle e sentite tradizioni dell’antifascismo italiano, quella cioè di riunirsi ogni 25 luglio davanti a un piatto di pastasciutta, ricordando e celebrando quella che la famiglia Cervi offrì a tutto il paese, Campegine, per festeggiare la caduta di Mussolini. Come sempre succede, ma in questo caso è più evidente che mai, il 25 luglio 1943 la Storia si intreccia con le storie delle persone. Mussolini che dopo essere stato sfiduciato viene arrestato e imprigionato sul Gran Sasso.

Dopo oltre vent’anni cade il regime fascista, e re Vittorio Emanuele III nomina il maresciallo Pietro Badoglio capo del governo. Non appena appresa la notizia, un paese gioioso di poche migliaia di anime si riunisce davanti a un piatto di pasta. La famiglia Cervi era una famiglia contadina, gente semplice. Di storie di gente semplice ne abbiamo perse a migliaia, e anche quel gesto dell’aver offerto la pasta a tutto il paese avremmo potuto facilmente dimenticarlo. Invece oggi reiteriamo quel gesto e quella vicenda di un minuscolo paese di campagna per ricordare e celebrare la grande Storia. La pastasciutta antifascista è diventata una tradizione, e l’adesione di così tante e tanti a questo momento di convivialità è l’espressione di una coscienza condivisa da un intero Paese, non ci sono busti del duce o revisionismi che tengano. Quest’anno poi la celebrazione si è caricata di alcuni significati ulteriori. Sono passati ottant’anni da quel giorno, e tra pochi mesi saranno ottant’anni dalla fucilazione dei sette fratelli Cervi; ma il tempo passa inarrestabilmente, e non è poi tanto la cifra tonda dell’ottantesimo anniversario che ha reso la pastasciutta antifascista 2023 così sentita e speciale. La pastasciutta antifascista 2023 è stata così  partecipata perché, a ottant’anni di distanza, il patrimonio culturale e valoriale della Resistenza è sotto assedio. Il tentativo di dare un colpo di spugna alla storia, con l'obiettivo di riscriverne un’altra, c’è sempre stato. Oggi però con questa estrema destra al governo c’è chi lo rispolvera e impugna come strumento politico per demolire la memoria democratica. Così si spiegano, vien da pensare, le circa 300 pastasciutte organizzate in tutta Italia, le migliaia di volontari che si sono spesi e le decine di migliaia di partecipanti: il popolo non ci sta, e risponde numeroso ai tentativi di revisionismo. E anche nella nostra provincia questo evento ha avuto un successo notevole in termini di numeri e di entusiasmo. Allo stesso modo, lo scorso 25 aprile ha registrato una partecipazione straordinaria, che ha reso evidente quanto ancora il sentimento antifascista sia radicato nel popolo italiano. Fondamentale per l’organizzazione e la riuscita della pastasciutta è stata, ed è ogni anno, quella straordinaria comunità di persone che è l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, ed è importante non perdere di vista il sentimento che mosse in quei giorni la famiglia Cervi. L’Istituto Cervi, poi, ha due grandissimi meriti: ne è il promotore e ha sempre lavorato affinché la pastasciutta fosse una tradizione italiana, piuttosto che emiliana o addirittura reggiana. L’Italia è il Paese dei mille campanili, e quella della pastasciutta è una storia non solo sopravvissuta al tempo ma anche al rischio di divenire tradizione di un singolo Comune o di una sola Regione. Solitamente ogni Municipio che, come da Costituzione, si riconosce nell’antifascismo celebra gli anniversari degli eccidi e dei fatti che lo hanno direttamente coinvolto, la pastasciutta antifascista invece, pur muovendo le sue mosse ogni anno da Casa Cervi, è un patrimonio nazionale e sta divenendo europeo. Questo aver superato i confini del proprio luogo geografico si deve certamente a quello che i sette fratelli Cervi rappresentano. Sarebbe bello infatti ricordare i fratelli Cervi solo per la pastasciutta che, indebitandosi fino al collo, offrirono al paese per celebrare la caduta del fascismo; li ricordiamo invece e forse soprattutto per la loro fucilazione, accorsa pochi mesi dopo, il 28 dicembre 1943, per mano fascista. È bene ricordarlo: non nazista ma fascista, come peraltro è stato per i nostri 7 martiri di piazza Garibaldi; fu una strage fascista non nazista. Ed è per questo che chiederemo all'amministrazione comunale di porre finalmente rimedio all'errore riportato sulla lapide che ricorda l'eccidio.

Sono stati stimati circa in 40.000 i partigiani Caduti nella guerra di Liberazione, i fratelli Cervi rappresentano tutti loro. L’ovvia e dolorosa impossibilità a ricordare nomi e volti di ogni Caduto ha inevitabilmente portato a creare simboli. Il lutto e la commemorazione per i fratelli Cervi sono il lutto e la commemorazione per tutti coloro che diedero la vita per conquistare una forma di società ancora mai vissuta, la democrazia. Allo stesso modo quando si commemorano e celebrano Don Minzoni, Gramsci, Matteotti, Gobetti, o i fratelli Rosselli non si onorano solo loro in quanto tali, ma la lotta antifascista tutta. Ho volutamente citato la pastasciutta antifascista perché credo che questa dia la giusta dimensione per rimarcare l’orgoglio per la nostra comunità, quella antifascista e democratica, che è numerosa, entusiasta e coesa forse più di quanto immaginiamo. Siamo un patrimonio prezioso da non disperdere ma da spendere nella quotidianità. Come Anpi provinciale ci stiamo adoperando per radicarci su tutto il territorio della nostra provincia, compito arduo ma non per questo intendiamo sottrarci. Alcuni importanti risultati li abbiamo raggiunti. Sono tornate attive sezioni storiche come quelle di Felino e Lesignano, mentre nuove sezioni sono nate accompagnate da idee ed entusiasmo. Penso alle sezioni di Monchio-Palanzano, Tizzano Val Parma, Bore e Sissa-Trecasali. Altre realtà come Borgotaro e Montechiarugolo si stanno attrezzando per tornare ad essere protagoniste nei loro territori e tra ottobre e novembre prossimo andremo ai rispettivi congressi rifondativi. Mai come oggi, proprio a causa del tempo difficile in cui viviamo, l’antifascismo si presenta come un sistema di valori di particolare attualità, una speranza concreta di cambiamento, un argine democratico alla palude di tipo razzista, xenofobo, neofascista, presente nel nostro Paese. Come Anpi quindi su quale terreno è opportuno muoverci? Credo sia importante affrontare il presente, perché la sfida nata sulle montagne e nelle città dopo l’8 settembre 1943 e vinta il 25 aprile 1945, continua oggi, quando, più che mai, c’è bisogno di respirare trasparenza, legalità, liberazione. Occorre battersi per una Pace degna di questo nome; per un lavoro sicuro e per salari equi; per l'ambiente che rappresenta la sfida in assoluto; per l'istruzione, per i diritti, per la democrazia! Ma per affrontare il presente con serietà occorre approfondire il passato, fare i conti con la storia, mettere a valore la memoria. E dunque tornare a riflettere – ed in primo luogo conoscere – non solo su quei mesi, ma anche sul tempo successivo, quello della proclamazione della Repubblica, e poi della Costituzione, e poi gli anni ‘50, ‘60 e quello dello stragismo nero e del brigatismo degli anni ‘70 e ‘80; i cosiddetti anni di piombo. 

Parlare del presente e riflettere sul passato è la chiave – l’unica chiave scientifica – per immaginare il futuro. Ed immaginare il futuro oggi, quando siamo sommersi da una cultura delle immagini spesso vuota, dal declino di un sistema di valori umanistico e democratico, da un indebolimento inquietante di quell’insieme di relazioni, stili di vita, principi di convivenza che chiamiamo coesione sociale, vuol dire contribuire a ricostruire una speranza per tutti, in particolare per coloro ai quali sembra che questa speranza sia negata: le ragazze e i ragazzi del nostro Paese. 

Per queste ragioni Anpi dovrà affrontare un ampio spettro di temi: quelli della società e delle idealità, della politica e della memoria, della storia delle persone e dei territori; ma anche quelli della cultura, nella sua accezione più ampia, come testimonianza del presente, portato del passato, presagio del futuro. Cultura, dunque, in tutti i sensi: quella colta e quella popolare, quella letteraria, musicale, scientifica, delle arti visive, dello spettacolo. Insomma, lo specchio magico dell’Italia, dell’Europa, del mondo di oggi. ANPI era, è e sarà partigiana: perché partigiana è la Repubblica democratica, partigiana è la Costituzione, partigiana è la democrazia faticosamente costruitasi nei decenni successivi. Perché partigiano vuol dire essere per la libertà e l’eguaglianza, per la solidarietà e la giustizia sociale, per la legalità e la cittadinanza, per il lavoro e per la pace. Perché l’Anpi assieme alle partigiane e ai partigiani ci hanno consegnato la Costituzione e l’Italia fondata sul lavoro e l’Italia che ripudia la guerra. Perché partigiani – infine – sono tutti coloro che ci hanno consegnato, spesso al prezzo di inenarrabili sofferenze o al prezzo della vita, una nuova Italia. Una grande possibilità che non si è ancora pienamente compiuta, che oggi sembra messa in ombra, per la quale vale la pena continuare a lottare, a testa alta, con la fronte rivolta verso il sole.


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solidarietà ANPI Sarzana

L’Anpi di Parma fa appello alla Sindaca di Sarzana e alla Giunta comunale affinché si adoperino con urgenza per cercare una soluzione alla grave situazione venutasi a creare in relazione allo “sfratto” dalla propria sede dell’Anpi di Sarzana. [...]

continua

[...]

Non è accettabile che in una delle città italiane simbolo della lotta antifascista l’Associazione dei partigiani, tradizionalmente attiva nel far conoscere ed approfondire le tematiche su cui si fonda la nostra democrazia, si trovi a dover sospendere il proprio programma culturale e a non sapere dove spostare il proprio patrimonio documentario.

Per questo siamo solidali con le amiche e gli amici dell’Anpi di Sarzana e con i cittadini tutti che domani parteciperanno al presidio organizzato in piazza Luni per chiedere all’amministrazione comunale una soluzione temporanea che permetta il trasloco dell’archivio, dei mobili e dei materiali attualmente in sede.

Nella speranza che questo sia stato solo un incidente di percorso e che ci sia una reale volontà di affrontare il problema in modo positivo, noi dell’Anpi di Parma contiamo molto su uno sviluppo rapido della situazione, in modo da avere la certezza che i valori dell’antifascismo e della Resistenza – su cui si basa la Costituzione italiana - siano ancora al centro delle politiche comunali, al centro di ogni agire democratico delle nostre Istituzioni.

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