Comitato Provinciale

23 marzo 2024
relazione politica di Nicola Maestri
Presidente Comitato Provinciale ANPI

Da anni (oramai) leggo quasi quotidianamente i tanti commenti ai post che mi capita di condividere sui social e altri mezzi di comunicazione. Alcune presenze sono divenute per me un appuntamento fisso e il dialogo che si è generato si avvicina nello spirito a una comunità dove ci si ritrova. È quello che poi mi capita in maniera analoga quando incontro voi, compagne e compagni di ideali che nelle sezioni territoriali vi impegnate con passione e dedizione. Parto da questo concetto perché credo occorra prendere atto che anche questo è un canale di informazione importante, non l'unico ovviamente, non fraintendetemi, ma da non sottovalutare. Sono sempre meno purtroppo i luoghi fisici dove è importante e fondamentale confrontarsi e dibattere. [...]

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Per alcuni siamo considerati vetusti e nostalgici, ma il confronto e l'incontro sono veramente il sale della democrazia, che invece vogliono oggi giorno imporci

etichettando in modo sprezzante come superfluo se non peggio. In un mondo che inequivocabilmente vira verso orizzonti cupi noi di ANPI tenacemente intendiamo navigare in direzione ostinata e contraria, come direbbe il poeta.

Questa premessa per dire che sono colpito e allarmato dal clima che si va alimentando. Proviamo a fare mente locale e pensiamo a questo senso diffuso di intolleranza verso l’altro, a episodi che vanno oltre la distanza o il dissenso da una posizione che non si condivide.


Quanto pesa su tutto questo la guerra?

Cioè le due guerre che si consumano nel cuore d’Europa e in qu ella striscia di terra dove dopo trentamila morti (la metà bambini e minori) ancora migliaia di camion con beni di prima necessità restano bloccati al valico di Rafah?

Sono convinto che pesi tanto.


Le immagini e testimonianze di quelle tragedie e di un dolore senza sbocco (apparente) esasperano gli animi e ostruiscono i sentieri dell’ascolto. Rimbalzo come tutti da un reportage alle ricostruzioni storiche.

Se guardo all’Ucraina mi rendo conto che in due anni ho letto libri e analisi che per tutta una vita avevo largamente ignorato.

Ascolto voci che rimpallano le cause, e retrodatano le colpe. La guerra è iniziata dieci anni fa in Crimea e si è protratta nel Donbass.

Certo. È così.


Da lì un primo bivio, tra chi finisce col giustificare l’invasione russa (se non in forma esplicita marcando la complessità del processo storico) e chi, pure scorgendo quella medesima complessità, antepone il diritto sovrano a ogni altro pregresso.


A Gaza questo dualismo emerge con maggiore forza (e conseguente polemica). Se attacchi la strategia omicida di Netanyahu senza citare l’orrenda strage di Hamas del 7 ottobre rientri nel perimetro dell’antisemitismo (per lo meno inconsapevole). Se muovi da quel 7 ottobre c’è chi aggredisce la logica indicando nei trentamila morti e prima ancora nel mezzo milione di coloni e prima ancora nella mancata osservanza di tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite sullo Stato palestinese l’origine dell’escalation di odio e distruzione.


E il punto qual è? Che ciascuna di queste affermazioni risponde al vero.


Ma dietro parabole così strazianti (neonati che muoiono di stenti, donne stuprate, corpi devastati e rubricati come danni collaterali) non può non esserci il tentativo (almeno l’intenzione) di arginare il male e proporsi uno schema mentale diverso.

Altre epoche e protagonisti lo hanno fatto.
Un nome, Nelson Mandela, ma certamente non solo lui.

Oggi di fronte allo strazio sembra invece antistorico invocare due popoli per due Stati. Analisti acuti rimuovono quel traguardo come improponibile.

Altre voci, talvolta anche le più impensabili, declinano verso posizioni marginali o estreme e tutto concorre a comprimere speranze che in altri momenti si erano pure imposte. Un lento proseguire dove distinguere tra Israele e la sciagura di chi oggi lo governa o tra i terroristi di Hamas e il popolo palestinese si fa sempre più esercizio retorico quando dovrebbe essere l’alfabeto che non si arrende alla guerra.

Alle guerre.

Alcuni giorni fa a Roma la Cgil, l'ANPI e altre associazioni hanno promosso una grande manifestazione.

La volontà è una e semplice: far cessare le armi, fermare le bombe, soccorrere la gente stremata di Gaza, liberare gli ostaggi ancora prigionieri, e riaprire, allargare, lo spiraglio di una conferenza internazionale con una forza militare su quel campo di macerie in vista di una lenta ricostruzione.

Provare ancora, nonostante l’orrore di questi mesi (e anni) a non chiudere il libro della storia dovrebbe essere un dovere morale.

Ma se l’intolleranza s’impone quella speranza si annulla. E dopo rimane solo l’onda dell’odio a concimare cinismo e violenza.

Non può e non deve essere.

Mi sembra inoltre doveroso un passaggio sul premierato. Purtroppo se non interverranno fatti nuovi e significativi capaci di condizionare un sentimento prevalente nel paese noi questa volta corriamo il rischio serissimo di perdere il referendum.


Io penso che questa sia la ragione prima e fondamentale che deve spingerci a impostare la nostra opposizione alla proposta di premierato in una chiave che non ci schiacci sulla linea di un conservatorismo mai come adesso pericoloso perché poco efficace.

Quindi, sul piano del metodo, dico bene elaborare una serie di proposte capaci di delineare un progetto allo stesso tempo innovativo e alternativo alla riforma incostituzionale della destra.

Nello specifico la tesi di un presidenzialismo sgangherato nel quale saremmo già pienamente immersi e che trova nella vita dei partiti, in parte nel potere solitario di sindaci e governatori, ma soprattutto nel decisionismo di Palazzo Chigi con un abuso quotidiano di decreti e fiducie, la forma della sua espressione.

Non mi convince la lettura della loro proposta come una distrazione di massa dai fallimenti dell’azione di governo: Giorgia Meloni nel discorso della prima fiducia rivendicò quanto era scritto nel programma elettorale di Fratelli d’Italia (l’elezione diretta del presidente della Repubblica).


Continuo a credere che per loro questa riforma rappresenti il vero passaggio decisivo non solo di questa legislatura: accreditarsi come nuovi padri e madri di una costituzione rivista nel punto nodale della forma di governo e che archivia, questa volta definitivamente, la lunga stagione della discriminante antifascista.

Allora la domanda è quanto dobbiamo investire in termini polemici sullo scontro frontale rispetto a questo snodo?

Io penso che non possiamo ignorarlo perché è uno di quegli argomenti che se gestito con accortezza parla alla sensibilità di un pezzo importante del paese (non voglio dire un pezzo maggioritario, ma certamente un pezzo che nel momento del bisogno è disposto a uscire di casa e andare a votare contro una riforma che voglia aggredire alcuni dei pilastri costitutivi dello spirito costituente).

È chiaro che ci sono altri aspetti fondamentali a partire dal capitolo decisivo della legge elettorale (ogni sistema presidenziale che si accompagni al proporzionale alimenta una proliferazione dei partiti con la conseguenza di aumentare instabilità e conflitti, cioè esattamente l’opposto dei propositi annunciati).

Infine, a volo di uccello, una questione che riguarda la nostra Associazione.

In questi giorni, io, come immagino tanti di voi, ho appreso delle dimissioni di Roberto Cenati dalla carica di Presidente provinciale di ANPI Milano. Me ne guardo bene dal voler entrare in questioni che non conosco direttamente. Ma se ci definiamo un'associazione democratica, dobbiamo accettare e dibattere anche con chi ha sensibilità differenti, anche con chi ha posizioni minoritarie. Diversamente non potremo definirci un'associazione pluralista e democratica.

Guardate, so che sul termine “genocidio” ci sono diversi studi su quando sia opportuno definirli tali o meno. Questa definizione non esisteva prima del 1944. Si tratta di un termine molto specifico, che indica crimini violenti commessi contro determinati gruppi di individui con l’intento di distruggerli.

I Diritti Umani, così come stabilito nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazione Unite del 1948, riguardano i diritti fondamentali degli individui.


Se vogliamo trarre una lezione da questa vicenda, qualora ce ne fosse ancora bisogno, è che è necessario perseguire con determinazione a partire dal linguaggio, dal modo di porsi, e nella quotidianità, l'utilizzo prezioso del breviario della tolleranza, dell'inclusione, della solidarietà.

Senza dimenticare mai che ANPI è la casa di tutti gli antifascisti, non un piccolo partito. Non una congrega di carbonari. Siamo Ente Morale, non mi stancherò mai di 
ripeterlo, siamo parte integrante delle Istituzioni e come tali dobbiamo comportarci. Senza seguire le onde emozionali del momento.

Le Partigiane e i Partigiani, attraverso lo Statuto scritto di loro pugno, ci hanno autorizzati a proseguire sul solco da loro tracciato, di questo facciamone tesoro in ogni momento del quotidiano e nelle nostre strategie politiche.


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