Archivio della categoria: resistenza

Ricordando Mariano Lupo

Intervento ANPI Provinciale di Parma

52° anniversario dell’omicidio di Mariano Lupo (1972-2024)

Parma, 25 agosto 2024 Stefano Cresci

Carissimi amici, carissimi compagni,
permetteteci di iniziare con alcuni saluti e ringraziamenti. Intanto al Sindaco di Parma, Michele Guerra. La città è decorata con la medaglia d’oro per lo straordinario apporto durante la guerra di Liberazione. È molto significativa la sua presenza qui, oggi. Alle organizzazioni, movimenti e le associazioni antifasciste, ai rappresentanti e agli attivisti dei partiti e dei sindacati intervenuti, e a tutti voi per aver scelto di esserci e condividere questa raccolta e significativa commemorazione.
Lasciamo per ultimi, ma non certamente per importanza, i famigliari di Mariano.[...]

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[...]

Credo sia importante oggi, in occasione dell’anniversario della sua morte, partire invece dalla vita di Mariano Lupo. 

Mario e la sua famiglia arrivarono nella seconda metà degli anni Sessanta, quando pressante era la richiesta di lavoratori per iniziare le opere edilizie della nuova città, negli anni del boom delle costruzioni, dei piani di edilizia economica residenziale e delle trasformazioni urbane.

I desideri di Mario erano quelli di un ragazzo diciannovenne che, partito da un piccolo paese dell’entroterra siciliano, arrivava in una città del nord per cercare condizioni di  vita migliori per sé e la sua famiglia e, in senso lato, costruire una società più giusta e umana. Queste idee erano condivise da tanti operai, disoccupati, studenti e, anche dagli stessi partigiani, che si trovavano insieme per praticare obiettivi di solidarietà, difesa e ampliamento dei diritti. Nell’estate del 1972 l’Italia era un Paese in piena trasformazione, attraversato da un esteso risveglio sociale, dalla presa delle piazze di migliaia di giovani. Mariano era uno di quei giovani. 

In quei tempi di grandi trasformazioni, subentrava poi un ulteriore problema molto grave: il neofascismo in quegli anni vedeva Parma, città simbolo dell’antifascismo grazie ai fatti successi 50 anni prima con le Barricate e, successivamente, con la Lotta di Resistenza, un bersaglio da colpire. 

Vi era l’idea di fomentare la paura e l’insicurezza nell’opinione pubblica – attraverso bombe in banche, piazze e treni – per favorire una svolta antidemocratica, per reprimere quella partecipazione politica e disgregare quella ancor giovane democrazia. Dentro questo nefasto disegno fu lasciato ampio spazio ai gruppi neofascisti aventi la violenza come elemento centrale del loro agire politico, a latere del Movimento sociale italiano ma da esso, in alcuni casi non controllabili o spesso tollerati, che si muovevano con aggressioni, pestaggi e piccoli attentati.

In questo quadro si colloca il fatto tragico che ricordiamo oggi.

"Mario, operaio immigrato comunista, ucciso dall’odio e dalla violenza dei fascisti”: con queste parole la targa posta sul luogo dell’omicidio, racconta ciò che accadde a Mariano "Mario" Lupo.

La sera del 25 agosto 1972, all’ingresso del Cinema “Roma” a Parma, venne aggredito, accoltellato e ucciso da un gruppo di neofascisti. L’omicidio era volontario e la matrice era inequivocabilmente inseribile nella violenza politica neofascista, come decretò la sentenza in via definitiva.

La città restò attonita ma reagì con vigore e gli stessi funerali furono un’enorme risposta democratica e antifascista. In Piazza Picelli, nel cuore del quartiere popolare dell’Oltretorrente, Giacomo Ferrari - il vecchio sindaco comunista e comandate partigiano “Arta”- tenne l’orazione funebre davanti alle bandiere a lutto di tutti i partiti, ai gonfaloni delle associazioni democratiche e dei comuni, agli striscioni del movimento di fronte a una folla impressionante per la nostra città. 

Anche nel 1973, l’Avvocato Primo Savani – partigiano e politico molto conosciuto - allora presidente dell’ANPI commemorò in un comizio “la figura del giovane Lupo”. 

L’assassinio di Lupo si inseriva in una lunga scia di omicidi di militanti dei movimenti in Italia ed è il culmine delle aggressioni promosse nella nostra città. In questo senso, giustamente, all’epoca, si disse che la morte di Lupo era  in qualche modo “annunciata”: tra il 1968 e il 1972, le minacce, gli agguati, le violenze e le esplosioni di matrice neofascista ebbero una notevole ascesa.

Il processo d’appello si concluse il 15 giugno 1976, ad Ancona, con un inasprimento delle pene per i colpevoli, già riconosciuti colpevoli in primo grado. Secondo i giudici, l’aggressione era stata “decisa, preordinata ed attuata da una sola parte contro l’altra che si limitò, peraltro con scarsissima efficacia, a difendersi”. Nella sentenza definitiva si legge ancora: “Non possono dunque esservi dubbi sul fatto che, i giovani missini, quella sera, avevano in animo di fare qualcosa e si erano preparati in tal senso”. 

In quel fatto tragico si ritrovano molti dei protagonisti di quella fase storica: un piccolo gruppo di picchiatori della destra radicale, armati di coltelli, già conosciuti alla Questura per le loro azioni squadriste; un giovanissimo operaio, immigrato dal Sud in cerca di riscatto, attivista della sinistra rivoluzionaria di Lotta continua che sognava, insieme ad altri giovani, un mondo diverso; una città, distintasi per il suo antifascismo, che vide nella morte di quel giovane il perpetuarsi del sacrificio di altri suoi figli nella Lotta di Resistenza.

Anni inquieti, pieni di sangue dove le battaglie politiche venivano combattute purtroppo anche con la violenza, ma la Repubblica aveva “tenuto” e, grazie a quella società in fermento, alla stagione di rivendicazioni dei diritti operata da quei tanti giovani, e ai rappresentanti politici di indubbia qualità, provenienti ancora in larga parte dalla Resistenza, si era concretizzata una grande stagione di conquista dei diritti civili e sociali.

In un decennio si approveranno varie leggi fondamentali come lo Statuto dei lavoratori, nel maggio del 1970, e a dicembre dello stesso anno, la legge Baslini-Fortuna, che introduce il divorzio nell’ordinamento giuridico italiano. Nel 1975, con la riforma del diritto di famiglia, viene riconosciuta la parità di diritti all’interno nella coppia.

Ancora nel maggio del 1978, la Legge Basaglia, che disponendo la chiusura dei manicomi ha segnato una svolta nel mondo dell'assistenza ai pazienti psichiatrici, una cesura col passato e sulla strada della dignità. Nello stesso mese, il 22 maggio, viene approvata la Legge 194, che depenalizza e disciplina le modalità di accesso all'aborto.

La memoria di Mariano Lupo si è persa per un lungo periodo già dalla fine degli anni Settanta per ragioni storiche e politiche, per almeno venti anni, ma da qualche anno si è deciso di riportare Mariano Lupo e quel periodo storico all’attenzione della città di Parma.

La nostra storia è un patrimonio da non disperdere proprio per la nostra gente.

Crediamo essenziale fare memoria perché molto spesso, anche in forme diverse, la storia si ripete e la consapevolezza di ciò che è stato, è l’unico vero antidoto per difendere la nostra democrazia e contrastare pericolose derive di odio, di violenza e prevaricazione, di razzismi e discriminazioni, lottando per la realizzazione concreta della nostra Costituzione e di un Paese con minori disuguaglianze socioeconomiche e una rinnovata giustizia sociale. 

Per far ciò è certamente necessario far comprendere ai nostri concittadini, in particolare ai più giovani per varie ragioni comprensibilmente delusi, che l’impegno politico è la più alta forma di servizio alla Comunità. La politica, quindi, può e deve divenire lo strumento democratico fondamentale per creare una società diversa, a patto che si costruiscano le fondamenta necessarie: consapevolezza, conoscenza storica e capacità critica di valutazione dei contesti.  

Questi sono gli obiettivi prioritari da perseguire in un quadro politico nazionale e internazionale incapace di rispondere alle enormi sfide che sono dinnanzi a noi, che non ha saputo neppure evitare il ritorno della guerra in Europa e altri conflitti altrettanto sanguinosi che funestano questo mondo. La nostra fallimentare società neo-consumistica dominata dalla grande finanza e da piccoli, grandi o grandissimi centri di potere, che si nutrono delle divisioni sociali e alimentano le disuguaglianze, sta provocando guerre e miserie in un dejà-vu intollerabile.

L’idea di società competitiva che produce scarti, soprattutto umani, povertà dilagante e alimenta la violenza tra gli strati più poveri della popolazione non può rappresentare il futuro di questo Paese e del mondo. 

Voglio esser chiaro oggi. Esiste grande preoccupazione per la proliferazione di organizzazioni neofasciste e neonaziste che dovrebbero essere immediatamente sciolte in base alla Legge, ma ancor più preoccupano tentativi sempre più evidenti di negazione, equiparazione o edulcorazioni della nostra storia recente e le riforme costituzionali tese a distruggere la Carta costituzionale in profondità, nella sua essenza vera, operate da forze politiche che non fanno mistero di rifarsi ad una destra reazionaria, già conosciuta tragicamente in questo Paese.

Le responsabilità che ci attendono sono molte, l’obiettivo è difficile da raggiungere ma non possiamo sottrarci a questa responsabilità. Dobbiamo riprendere dalla nostra storia e dai valori della Repubblica e riportare all’impegno tante persone deluse e indifferenti.

Mariano sarebbe stato ancora qui con noi a lottare quotidianamente per un lavoro che sia dignitoso e rappresenti un modo per riscattarsi socialmente, contro le discriminazioni vergognose di genere e i razzismi, per l’accesso all’istruzione e a un potenziamento del Sistema culturale veramente inclusivo, per la preservazione dell’ambiente e la difesa di una Sanità pubblica universalistica. In altre parole, un Paese più umano e giusto dove le persone siano veramente al centro del dibattito pubblico. 

Credo che, come molti giovani inascoltati anche oggi, si impegnerebbe ancora e per questo Mario, così veniva chiamato dagli amici, vive con noi nell’impegno di tanti giovani e meno giovani che cercano di costruire un mondo migliore in cui vivere. Il nostro.

Ciao Mariano.

Ora e sempre (più) Resistenza.


Mariano Lupo 52°anniversario

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Vizzola 21.03.2021

Il 21 marzo 1945 a Vizzola vennero fucilati tre giovani partigiani: Ras di 28 anni, Andrei e Milan di 16 anni.

Questa mattina a Vizzola di Fornovo di Taro si è svolta la commemorazione dell’eccidio da parte dell’Amministrazione Comunale in collaborazione con ANPI Fornovo di Taro, ANPI Collecchio e IC Malerba, con il DS Giacomo Vescovini, e in particolare le classi della Primaria di Riccò che come ogni anno ha preparato un percorso di canti, grazie al Maestro Zarba, e letture.



Commemorazione ufficiale

Sig.ra Carmen Motta

Presidente Istituto Storico della Resistenza e della Età Contemporanea Parma

prima parte del testo. [...]

Tre i giovani partigiani che il primo giorno di primavera, il 21 marzo del 1945, furono fucilati davanti al cimitero di Vizzola, proprio qui dove siamo noi oggi, e fatto scempio dei loro corpi. La più terribile azione di umiliazione che si possa compiere su corpi inermi.

Chi erano questi giovani?

Giuseppe Azzolini, nome di battaglia Andrei, 17 anni partigiano dal primo ottobre 1944 al giorno della sua esecuzione, nato a santa maria del piano, calzolaio come il padre.

Ferdinando Bremi , nome di battaglia Milan, 16 anni partigiano dal 27 ottobre 1944 al giorno della sua esecuzione,nato a santa maria del piano.

Andrea Bianchi, nome di battaglia Ras, 28 anni, partigiano dopo l’8 settembre 1943 fino al giorno della sua esecuzione, di Altopascio, paese in provincia di Lucca, sposato, padre di una bimba, Alberta, bracciante.

Di Bremi si sa che fu ospitato da una famiglia di Parma composta da una signora anziana, una giovane con un bimbo piccolo ma la figlia Alberta che non ha conosciuto suo padre, non è riuscita a scoprirne l’identità.

La loro storia riassunta brevemente.[...]

continua

[...]

Catturati durante un rastrellamento il 14 marzo 1945 a Castrignano di Langhirano dai bersaglieri della divisione ”Mameli” in una operazione antiguerriglia, vengono consegnati ai bersaglieri della divisione “Italia”, che ne pretendono la consegna, e trasportati a Sala Baganza nella sede della Guardia nazionale repubblicana cioè la milizia della Repubblica fascista di Salò. Il 21 marzo i famigliari li poterono incontrare fugacemente e furono rassicurati da chi li aveva in consegna che sarebbero stati rilasciati. Giuseppe, che aveva sul volto i segni della violenza subita dai militari, chiese alla sorella se anche lei fosse stata arrestata e, quasi a volerle consegnare il messaggio che nessuno doveva tradire, le confidò di non aver parlato. I famigliari furono vigliaccamente illusi sulla salvezza dei loro congiunti la cui sorte era già stata decisa perché subito dopo la loro partenza i giovani furono caricati su un camion, condotti a Riccò e poi a piedi, attraverso i campi, al cimitero di Vizzola dove furono trucidati. Ci furono abitanti del paese che da lontano assistettero alla tragedia. Vinta la paura si avvicinarono a quei poveri corpi straziati e ne raccolsero i resti per comporli all’interno della cappella del cimitero. Gesto coraggioso di pietà umana, perché a quei tempi anche la pietà poteva comportare un serio rischio personale. Lo stesso giorno i corpi di Giuseppe e Ferdinando furono trasportati al loro paese natale, la salma di Andrea restò nel cimitero di Vizzola. Finita la guerra furono celebrati due processi ma i responsabili dell’eccidio furono scagionati. Giustizia negata ai famigliari, nessun responsabile che pagò per il crimine commesso fra i comandi fascisti. Per inquadrare meglio questa storia : quale era la situazione militare di allora? Come erano dislocate le forze che si fronteggiavano prima della sconfitta degli eserciti nazifascisti? Mussolini, pur ormai consapevole che la sconfitta era inevitabile, venne nel gennaio 1945 a Ozzano Taro ad incontrare la divisione dei bersaglieri “Italia”, alleata ancora con i tedeschi, per rinforzare l’attività di antiguerriglia partigiana nel territorio tra le valli del Taro e del Ceno, dove la resistenza era più organizzata e numerosa, e quelli delle valli del Parma e dell’Enza, con l’obiettivo strategico di difendere la cosiddetta “linea gotica” che delimitava il confine dell’appennino tosco-emiliano, a sud del quale erano schierati gli alleati anglo-americani in attesa di poter avanzare e liberare il nord Italia unitamente alla resistenza partigiana. I nazifascisti sapevano che crollata quella linea del fronte tutto era perduto. Per questo l’inverno del ‘44/’45 fu il periodo degli eccidi di partigiani, renitenti alla leva, militari che avevano rifiutato di aderire alla repubblica fascista di Salò,e fu il periodo delle rappresaglie più dure anche nei confronti di inermi civili come risposta alle azioni partigiane . Rappresaglie, rastrellamenti, per impedire ai partigiani di assumere il controllo delle principali vie di comunicazione del parmense: passo della Cisa e linea ferroviaria Parma-La Spezia. 155 furono le persone uccise, partigiani, civili, militari, da fascisti e tedeschi. Questi i fatti che ci riportano al ricordo di oggi qui a Vizzola, ma perché lo rinnoviamo ogni anno? Per farne memoria viva e non dimenticare, perché più ci si allontana dagli avvenimenti più questi sembrano distanti dal presente, sfumati nei loro contorni, e soprattutto perché il tempo affievolisce il ricordo delle persone che di quei fatti furono i protagonisti. Ce lo insegna la storia che succede questo, e la storia se non è viva, se viene raccontata unicamente come passato, se non è nutrita di gesti concreti come la nostra presenza oggi, non potrà più aiutare a comprendere il passato unico modo per comprendere il presente e quale futuro vogliamo. Le brevi vite di Giuseppe, Ferdinando,Andrea parlano ancora a noi non come “miti” ma come “esempi” vivi di coraggio, coerenza, passione,lealtà, gratuità del loro straordinario impegno per gli ideali e i valori che volevano fossero di tutti e per tutti. E allora chiediamoci: noi al loro posto cosa avremmo fatto in quei terribili anni di guerra devastante , dopo 20 anni di dittatura del regime fascista e di fronte alla occupazione della Germania nazista del nostro paese? Loro hanno scelto da che parte stare a rischio della vita e dell’esistenza delle loro famiglie per restituire libertà, democrazia, diritti, dignità e pace all’Italia. Non si sono piegati all’indifferenza, hanno affrontato la paura, hanno posto il “noi” davanti all’”io”, hanno donato il bene più prezioso che avevano, la vita. Cosa avranno pensato negli ultimi istanti prima della morte di fronte al plotone di esecuzione di italiani come loro, due ragazzi di 16 e 17 anni e un giovane uomo padre di 28 anni? Accettare la morte è sempre difficilissimo ma ci vuole coraggio, molto coraggio affrontarla come loro sono stati costretti a subirla e ferocemente umiliati perfino dopo la morte. Noi cosa avremmo scelto se fossimo stati al loro posto? Ecco a cosa serve la storia, non solo a conoscere ma a interrogarci nel e sul nostro presente, a chiederci perché tutto questo è avvenuto? Perché queste vite così preziose, come ogni vita, sono state annientate da una furia umana così cieca e violenta? Una risposta c’è ed è sempre la storia che risponde: perché allora fascisti e nazisti, avevano una visione totalitaria, nazionalista, razzista, escludente, discriminatoria dell’umanità; vedevano solo “nemici” e non avversari, concetto molto diverso dal primo, delle loro ideologie, semplicemente da eliminare con qualunque mezzo. Questi convincimenti ideologici hanno generato e generano sempre male ovunque siano stati applicati. E chiediamoci anche oggi accade ancora? Purtroppo si, in tante parti del mondo, a noi non lontane, non in modo uguale al passato perché la storia non è mai uguale a se stessa ma sicuramente tende a ripetersi. Dobbiamo essere consapevoli, molto consapevoli, di questo e comprendere che la speranza del benessere pacifico di tutti, non è un principio astratto ma il frutto delle nostre azioni. La democrazia conquistata quasi 80 anni fa, a così caro prezzo è un bene prezioso ma fragile, da salvaguardare con molta attenzione così come i diritti individuali e collettivi possono non essere per sempre. La disumanizzazione che caratterizzo quei tempi è sempre un rischio in agguato, alto, che bisogna combattere democraticamente ma scongiurare perché rende ciechi, sordi, insensibili a tutto. Fra poco celebreremo la festa della Liberazione, il 25.aprile, in quella ricorrenza ci sono le fondamenta della nostra Costituzione, conosciamola davvero, facciamola nostra, è il faro che potrà sempre guidarci nel presente e ad immaginare, memori del passato, il nostro futuro. Sempre ad occhi aperti sul mondo con fiducia e immensamente grati a Giuseppe, Ferdinando, Andrea, che lo hanno fatto tanti anni fa per noi, per tutti. E con noi carissimi partigiani ci sarete sempre e per sempre, è un impegno solenne che insieme vi dobbiamo, lo dobbiamo a voi ai vostri cari all’Italia democratica.

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Ponte di Lugagnano

Commemorazione 19.11.2023 Discorso di Nicola Maestri Presidente Comitato Provinciale Anpi Parma

Ringrazio voi tutti per la vostra significativa partecipazione e tutte le autorità per la loro presenza al 79esimo anniversario dalla barbara uccisione per mano nazista di cinque partigiani che rappresentavano di fatto il comando della 47° brigata Garibaldi [...]

continua

[...]

Le vittime sono il comandante Ivan (Aldo Zucchellini - Medaglia d'argento al Valor Militare), il Capo di Stato Maggiore Raffaello (Remo Cohen - Medaglia d'argento al Valor Militare), il vice commissario Franci (Brunetto Ferrari - Medaglia d'argento al Valor Mìlitare), la staffetta Tita (Ave Melioli di Bibbiano) e Celso (Giorgio Lambertini), l'autista della Brigata. Su questa tragica, vile e sanguinosa vicenda potrei rimandarvi alle parole descritte magistralmente da quella penna sopraffina che è Mario Rinaldi, o ai quadri di Ubaldo Bertoli, nello specifico penso a "Nazisti in rastrellamento". Però oggi con voi vorrei analizzare quello che ha rappresentato per la nostra storia la Resistenza armata e civile messa in atto da questi giovani e cari ragazzi.

La Resistenza fu una somma di atti di coraggio, di generosità, di imprese ardimentose, di impegno tenace, di dedizione agli ideali in cui ciascuno credeva. Non mancò certo la zavorra: quelli che vennero in montagna solo nei momenti facili, quelli che vennero per spirito di avventura, quelli che, avendo un'arma in mano, si lasciarono contaminare dal gusto del dominio su altri. Con le sue luci e le sue ombre la Resistenza fu portatrice di una carica innovatrice tesa a gettare le basi di una società più libera e più giusta. Nonostante i contrasti e i conflitti, la comune partecipazione alla Resistenza aprì la strada al confronto e all'incontro di culture diverse nell'elaborazione della Costituzione. Questi nostri ragazzi possono davvero essere definiti "ribelli per amore": amore della libertà; amore della patria italiana tradita dal fascismo che l'aveva trascinata in una guerra ingiusta e ingiustificata; amore della democrazia che andava restituita e ricostruita; amore della pace tanto attesa da quel popolo italiano che aveva sofferto lutti e dolori nei cinque anni di guerra.

A centinaia, a migliaia, uomini e donne, giovani e meno giovani, militari e civili, decisero di prendere le armi per liberare l'Italia dal regime nazifascista.

Fu grazie alla Resistenza se l'Italia potè dissociare le sue responsabilità da quelle del fascismo, acquisendo il diritto di essere riammessa nel consesso dei popoli liberi.

Nella liberazione furono sicuramente determinanti ed assolutamente necessari gli eserciti alleati americani ed inglesi che dalla Sicilia risalirono la penisola combattendo e sacrificando tante vite di giovani americani inglesi e dei paesi alleati.

Ma grazie ai partigiani potemmo dimostrare di aver dato un cospicuo contributo di lotta, di sacrificio e di sangue alla conquista della libertà e della democrazia.

Se la Resistenza non ci fosse stata si sarebbe potuto giustamente affermare che vent'anni di dittatura avevano abituato gli italiani a plaudire e a servire passivamente il più forte del momento.

Fu dunque, prima di tutto, un'esigenza di dignità civile e nazionale che spinse all'azione di fronte all'occupazione tedesca.

Nello stesso tempo la resistenza significò il ripudio definitivo dell'esperienza fascista: l'opposizione di pochi che, durante il ventennio, avevano affrontato esilio, carcere e confino, divenne con la Resistenza fenomeno di massa.

Ma soprattutto la resistenza ebbe il carattere di rivolta morale: contro il nazismo, contro il fascismo e contro tutto ciò che essi avevano rappresentato in Europa: negazione della libertà, oppressione degli altri popoli, culto della violenza, spirito di sopraffazione.

Onoriamo Aldo, Remo, Brunetto, Ave e Giorgio che, assieme ai tanti, tantissimi altri scelsero di mettere a rischio la propria vita per donare all'Italia libertà e democrazia, nella consapevolezza di essere debitori del loro coraggio e del loro sacrificio. Non dobbiamo dimenticarlo mai e dobbiamo fare in modo che non lo dimentichino nemmeno i nostri giovani, i nostri ragazzi, quelli che stanno costruendo o costruiranno l'Italia di domani.


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La Via Maestra Clone – La Pace Prima di tutto

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Una Via per “Ilio”

caltatnisetta

A Caltanisetta il 12 settembre 2023 è avvenuta l'intitolazione di via Luigi Cortese a Caltanissetta.
 

La lettera del presidente Comitato Provinciale di Parma
Nicola Maestri

 

Carissimi tutti e tutte.

Il 9 settembre del 1943, Gino Cortese partecipò, a Villa Braga, alla prima riunione costitutiva della Resistenza che sancì l’inizio della lotta armata al fascismo. [...]

continua

[...]

Se pensiamo che all’età di 23 anni, senza conoscenza del territorio, fu incaricato di organizzare la resistenza in Val d’Enza, ci rendiamo conto della statura morale e dello spirito indomito dell'uomo.

Non per nulla in breve tempo, Gino Cortese divenne il Commissario “Ilio”, commissario politico della 47a Brigata Garibaldi (la Brigata dalla “testa calda” secondo una felice definizione dell’ANPI) e poi della Divisione Ottavio Ricci.  Con sprezzo del pericolo, Cortese assistette e sostenne i compagni, fu ferito, fu catturato e fu condannato a morte.

Il bombardamento del carcere di Parma ad opera degli Alleati rappresentò la sua insperata salvezza.

Il 25 aprile del 1945 alla testa della brigata Garibaldi, Gino Cortese liberò Parma.


Per il nostro territorio "Ilio" rappresenta un caposaldo del mondo resistenziale.


Siamo felici e orgogliosi per la scelta che il Comune di Caltanissetta ha voluto compiere.

Lo meritano Ilio e la sua storia; lo merita la sua famiglia; lo merita il caro figlio Enrico che abbiamo la fortuna di aver conosciuto; lo merita la sua città che lo ha visto crescere, andarsene e tornare.

Lo merita la memoria di Luigi Cortese, Partigiano "Ilio", un uomo che ha speso la sua vita battendosi per un mondo libero ed equo e si è prodigato per un mondo migliore.

 

Siamo con voi con il cuore e con la mente.

 

Un abbraccio forte e fraterno.

Nicola Maestri


Presidente Provinciale ANPI Parma

e tutto il Comitato

Caro Nicola, 

in calce alcune foto dell'intitolazione di via Luigi Cortese a Caltanissetta. 

La tua lettera ha commosso tutti, la famiglia Cortese e noi ti siamo molto grati per esserci stato vicino in questo giorno così importante.

A leggerla la compagna della sezione "Gino Cortese" di Caltanissetta Fabiola Cammarata.


Un grande abbraccio a te e a tutti i compagni dell' A.N.P.I. Parma ????


Claudia, ANPI Caltanisetta

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