Nicola Maestri Presidente Comitato Provinciale Parma
Buongiorno a tutte e a tutti e grazie di essere qui, in questo luogo in cui sette antifascisti vennero uccisi per il loro desiderio di un Paese in cui vigessero Libertà e Giustizia Sociale. È ormai la quarta volta, grazie al ruolo che pro tempore ricopro, che mi trovo a condividere con voi la memoria dei Sette Martiri, eppure mai come oggi mi sento in difficoltà a parlarvi. A ottant’anni dalla Liberazione dal nazifascismo e dalla fine della Seconda guerra mondiale il mondo sembra essere precipitato in una spirale di violenza e caos senza precedenti: il dialogo sembra morto, Stati che si dicono democratici arrestano e deportano le persone, massacrano interi popoli, bombardano e distruggono. Parallelamente, a livello sociale, aumentano le disuguaglianze, le tensioni, la paura, cui le estreme destre di tutto il mondo contrappongono, con le loro urla, i loro slogan e, quando governano, i loro provvedimenti, un fantomatico ordine esaltando il ritorno dello Stato forte, della nazione sovrana. [...]
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Italia poi, quella patria che la Resistenza riscattò dopo oltre vent’anni di dittatura e di un conflitto senza precedenti, sembra sempre più lontana che mai, e spesso a partire da chi ricopre le cariche più alte, dagli ideali di chi si impegnò per la Libertà, la giustizia, la pace. Non ve lo nascondo: mi sento sfiduciato, oppresso da un senso di impotenza di fronte al rombo sempre più potente delle armi come di chi urla, di chi invoca la guerra e non esita servirsi della violenza per imporre una propria visione del mondo, per dominare, per soverchiare l’altro, calpestando diritti fondamentali: “Come vivere?” si chiede in una poesia la poetessa polacca premio Nobel Wisława Szymborska. E allora torno a quel 1 settembre di ottantuno anni fa, quando la violenza fascista troncò le vite dei Sette che oggi commemoriamo:
Giuseppe Barbieri
Vincenzo Ferrari
Gedeone Ferrarini
Afro Fanfoni
Eleuterio Massari
Ottavio Pattacini
Bruno Vescovi
Avevano età diverse ed erano impegnati attivamente nella lotta al nazifascismo. Erano, potremmo dire, tranne Bruno Vescovi che era un ragazzo, “padri di famiglia”, potevano restare indifferenti mentre intorno a loro infuriava la violenza. Potevano evitare il rischio. Eppure non lo fecero. Perché? Penso che una possibile risposta si celi nella parola Libertà: un concetto che per noi oggi può sembrare alquanto vago, considerato che in Libertà siamo vissuti e viviamo: “liberi di” è la nostra concezione usuale di Libertà. Piero Calamandrei lo ribadiva già nel gennaio 1955 quando diceva che «la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro
a voi giovani di non sentire mai». Già allora l’insigne giurista e padre costituente sentiva il pericolo dell’indifferenza, e specialmente nei giovani. Indifferenza rispetto alla vita politica e sociale, a quella partecipazione e a quella responsabilità a cui tutte e tutti siamo chiamati. In quel 1 settembre ebbero la meglio la violenza e il terrore. Perché solo con questi mezzi i nazifascisti potevano imporsi sulla popolazione. E quel comportamento non era un’eccezione: fin dalla loro fondazione il fascismo e poi il nazismo, che al primo si ispirava, si erano serviti della violenza. Prima fu violenza politica contro gli avversari, poi violenza eretta a sistema di potere, infine fu guerra, cioè violenza orientata dalla volontà di dominio assoluto, alimentata dal razzismo e dal nazionalismo. È questo che oggi stentiamo spesso a capire. È quella la radice, oggi più che mai feconda, del male. La brama di dominio declinata in tutte le sue forme:
verso le persone,
verso le risorse del pianeta,
verso le relazioni.
Una radice che germoglia nell’indifferenza e che ancora oggi si nutre degli stessi slogan, delle stesse fallacie logiche, delle stesse parole roboanti e all’apparenza amiche. Dentro e fuori da un’Europa che sembra aver smarrito altre parole: Libertà, uguaglianza, fratellanza, gli ideali di quella rivoluzione francese che per prima proclamò al mondo che ogni essere umano nasce libero e uguale. Ma come fare oggi, in un mondo tanto complesso? Come onorare degnamente la memoria dei Sette Martiri, e con loro di tutti coloro, uomini e donne, che ottant’anni fa scelsero la parte giusta? Come vincere l’indifferenza? Non pretendo di dare risposte semplici, ma vorrei solo condividere una traccia, un sentiero. Anzitutto quello che ci ha portato oggi qui, e cioè fare memoria di loro, ripeterne i nomi, per ribadire che noi ci siamo, insieme, con le nostre storie e le nostre vite; per dire che nessuna intelligenza artificiale potrà riscrivere la storia di una Città che sul suo gonfalone porta appuntata la medaglia d’oro al valor militare per meriti partigiani. Essere qui non è soltanto un gesto di pietà verso i Sette Martiri, è ripetere un rito civile di cui abbiamo oggi estremo bisogno, è ribadire che raccogliamo il testimone del loro impegno. In secondo luogo, e mi rivolgo in particolare ai più giovani, occorre studiare. Studiare la storia, conoscerla: quella della nostra città e quella, più ampia, del mondo che è stato. Non per sancire una superiorità, non per escludere, ma per essere consapevoli dei passi compiuti da chi scelse di rischiare, e di farlo non soltanto per sé ma per gli altri. Non avevano certezze, i Sette Martiri, ma coltivavano la fede, nei loro ideali e in quelli più ampi di pace, libertà e giustizia. Ci hanno tracciato quel sentiero che, se anche oggi appare poco battuto, tuttavia è presente e vivo. Ecco perché occorre anche conoscere e studiare il presente, con le sue contraddizioni, con le sue ombre, ma anche con i barlumi di luce che ancora brilla in mezzo a tanta oscurità: fatelo per voi, ragazze e ragazzi, ma fatelo anche per gli altri. Infine, occorre impegnarsi. Oggi più che mai. Impegnarsi a ricostruire, attraverso la storia, il filo della memoria che ci lega al passato; ma anche a costruire l’attenzione e la cura verso il presente. Non accettiamo l’apatia e l’indignazione fine a se stessa a cui ci spingono i media, e i social in particolare. Mai come oggi c’è bisogno di ragazzi e ragazze che si sentano cittadine e cittadini del mondo: c’è bisogno di loro, del loro Impegno, perché non è più il futuro a essere minacciato, è il nostro e il loro presente. La pace e la democrazia nate dal disastro di ottant’anni fa oggi sono a rischio come mai dalla fine del Secondo conflitto mondiale. E a chi oscenamente afferma che solo preparando la guerra si mantiene la pace dobbiamo rispondere un “no” senza se e senza ma; solo con la pace, con il disarmo degli arsenali e delle parole costruiremo la vera pace. «Si svuotino gli arsenali di guerra, si colmino i granai», affermava il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Il lavoro è enorme, ma abbiamo di fronte a noi l’esempio dei Sette Martiri. Ripartiamo dalle loro storie, ripartiamo dalla loro scelta.
Perché se oggi viviamo liberi e in Democrazia è anche merito di questi Martiri.
