01.09.2025 – I 7 Martiri

Nicola Maestri Presidente Comitato Provinciale Parma

Buongiorno a tutte e a tutti e grazie di essere qui, in questo luogo in cui sette antifascisti vennero uccisi per il loro desiderio di un Paese in cui vigessero Libertà e Giustizia Sociale. È ormai la quarta volta, grazie al ruolo che pro tempore ricopro, che mi trovo a condividere con voi la memoria dei Sette Martiri, eppure mai come oggi mi sento in difficoltà a parlarvi. A ottant’anni dalla Liberazione dal nazifascismo e dalla fine della Seconda guerra mondiale il mondo sembra essere precipitato in una spirale di violenza e caos senza precedenti: il dialogo sembra morto, Stati che si dicono democratici arrestano e deportano le persone, massacrano interi popoli, bombardano e distruggono. Parallelamente, a livello sociale, aumentano le disuguaglianze, le tensioni, la paura, cui le estreme destre di tutto il mondo contrappongono, con le loro urla, i loro slogan e, quando governano, i loro provvedimenti, un fantomatico ordine esaltando il ritorno dello Stato forte, della nazione sovrana. [...]

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Italia poi, quella patria che la Resistenza riscattò dopo oltre vent’anni di dittatura e di un conflitto senza precedenti, sembra sempre più lontana che mai, e spesso a partire da chi ricopre le cariche più alte, dagli ideali di chi si impegnò per la Libertà, la giustizia, la pace. Non ve lo nascondo: mi sento sfiduciato, oppresso da un senso di impotenza di fronte al rombo sempre più potente delle armi come di chi urla, di chi invoca la guerra e non esita servirsi della violenza per imporre una propria visione del mondo, per dominare, per soverchiare l’altro, calpestando diritti fondamentali: “Come vivere?” si chiede in una poesia la poetessa polacca premio Nobel Wisława Szymborska. E allora torno a quel 1 settembre di ottantuno anni fa, quando la violenza fascista troncò le vite dei Sette che oggi commemoriamo:

Giuseppe Barbieri

Vincenzo Ferrari

Gedeone Ferrarini

Afro Fanfoni

Eleuterio Massari

Ottavio Pattacini

Bruno Vescovi

Avevano età diverse ed erano impegnati attivamente nella lotta al nazifascismo. Erano, potremmo dire, tranne Bruno Vescovi che era un ragazzo, “padri di famiglia”, potevano restare indifferenti mentre intorno a loro infuriava la violenza. Potevano evitare il rischio. Eppure non lo fecero. Perché? Penso che una possibile risposta si celi nella parola Libertà: un concetto che per noi oggi può sembrare alquanto vago, considerato che in Libertà siamo vissuti e viviamo: “liberi di” è la nostra concezione usuale di Libertà. Piero Calamandrei lo ribadiva già nel gennaio 1955 quando diceva che «la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro

a voi giovani di non sentire mai». Già allora l’insigne giurista e padre costituente sentiva il pericolo dell’indifferenza, e specialmente nei giovani. Indifferenza rispetto alla vita politica e sociale, a quella partecipazione e a quella responsabilità a cui tutte e tutti siamo chiamati. In quel 1 settembre ebbero la meglio la violenza e il terrore. Perché solo con questi mezzi i nazifascisti potevano imporsi sulla popolazione. E quel comportamento non era un’eccezione: fin dalla loro fondazione il fascismo e poi il nazismo, che al primo si ispirava, si erano serviti della violenza. Prima fu violenza politica contro gli avversari, poi violenza eretta a sistema di potere, infine fu guerra, cioè violenza orientata dalla volontà di dominio assoluto, alimentata dal razzismo e dal nazionalismo. È questo che oggi stentiamo spesso a capire. È quella la radice, oggi più che mai feconda, del male. La brama di dominio declinata in tutte le sue forme:


verso le persone,

verso le risorse del pianeta,

verso le relazioni.

Una radice che germoglia nell’indifferenza e che ancora oggi si nutre degli stessi slogan, delle stesse fallacie logiche, delle stesse parole roboanti e all’apparenza amiche. Dentro e fuori da un’Europa che sembra aver smarrito altre parole: Libertà, uguaglianza, fratellanza, gli ideali di quella rivoluzione francese che per prima proclamò al mondo che ogni essere umano nasce libero e uguale. Ma come fare oggi, in un mondo tanto complesso? Come onorare degnamente la memoria dei Sette Martiri, e con loro di tutti coloro, uomini e donne, che ottant’anni fa scelsero la parte giusta? Come vincere l’indifferenza? Non pretendo di dare risposte semplici, ma vorrei solo condividere una traccia, un sentiero. Anzitutto quello che ci ha portato oggi qui, e cioè fare memoria di loro, ripeterne i nomi, per ribadire che noi ci siamo, insieme, con le nostre storie e le nostre vite; per dire che nessuna intelligenza artificiale potrà riscrivere la storia di una Città che sul suo gonfalone porta appuntata la medaglia d’oro al valor militare per meriti partigiani. Essere qui non è soltanto un gesto di pietà verso i Sette Martiri, è ripetere un rito civile di cui abbiamo oggi estremo bisogno, è ribadire che raccogliamo il testimone del loro impegno. In secondo luogo, e mi rivolgo in particolare ai più giovani, occorre studiare. Studiare la storia, conoscerla: quella della nostra città e quella, più ampia, del mondo che è stato. Non per sancire una superiorità, non per escludere, ma per essere consapevoli dei passi compiuti da chi scelse di rischiare, e di farlo non soltanto per sé ma per gli altri. Non avevano certezze, i Sette Martiri, ma coltivavano la fede, nei loro ideali e in quelli più ampi di pace, libertà e giustizia. Ci hanno tracciato quel sentiero che, se anche oggi appare poco battuto, tuttavia è presente e vivo. Ecco perché occorre anche conoscere e studiare il presente, con le sue contraddizioni, con le sue ombre, ma anche con i barlumi di luce che ancora brilla in mezzo a tanta oscurità: fatelo per voi, ragazze e ragazzi, ma fatelo anche per gli altri. Infine, occorre impegnarsi. Oggi più che mai. Impegnarsi a ricostruire, attraverso la storia, il filo della memoria che ci lega al passato; ma anche a costruire l’attenzione e la cura verso il presente. Non accettiamo l’apatia e l’indignazione fine a se stessa a cui ci spingono i media, e i social in particolare. Mai come oggi c’è bisogno di ragazzi e ragazze che si sentano cittadine e cittadini del mondo: c’è bisogno di loro, del loro Impegno, perché non è più il futuro a essere minacciato, è il nostro e il loro presente. La pace e la democrazia nate dal disastro di ottant’anni fa oggi sono a rischio come mai dalla fine del Secondo conflitto mondiale. E a chi oscenamente afferma che solo preparando la guerra si mantiene la pace dobbiamo rispondere un “no” senza se e senza ma; solo con la pace, con il disarmo degli arsenali e delle parole costruiremo la vera pace. «Si svuotino gli arsenali di guerra, si colmino i granai», affermava il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Il lavoro è enorme, ma abbiamo di fronte a noi l’esempio dei Sette Martiri. Ripartiamo dalle loro storie, ripartiamo dalla loro scelta.

Perché se oggi viviamo liberi e in Democrazia è anche merito di questi Martiri.

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25.08.2025 Mariano Lupo

Nicola Maestri Presidente Comitato Provinciale Parma

Buonasera e benvenuti a questa importante ricorrenza che investe la nostra città e tutta la sua comunità. Vi porto i sinceri saluti della segreteria e del comitato provinciale di ANPI. Ringrazio di cuore i familiari di Mario Lupo, le autorità e tutti voi per la presenza. Sono trascorsi 53 anni dalla sera di quel 25 agosto del 1972, giorno in cui nei pressi del cinema Roma una dozzina di fascisti aggredirono a sangue tre giovani ragazzi di Lotta Continua. Tra questi Mariano Lupo, per tutti Mario, che venne raggiunto da un fendente al cuore che si rivelò fatale. Anche a Parma, l’attività squadrista dei neofascisti si inseriva dentro questa strategia del terrore al punto che l’omicidio del giovane Lupo venne compiuto dopo una vera e propria escalation, montata tra il ‘68 e il ‘72, di violenze e intimidazioni di matrice neofascista. [...]

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A chi oggi sostiene che, ricordare e celebrare eventi storici accaduti così lontano nel tempo non serve a nulla e non incida nel vivere quotidiano, é buon esercizio rammentare loro che conoscere in maniera approfondita il nostro passato, é fondamentale affinché certe tragedie non abbiano a ripetersi. Le sciagure quotidiane a cui dobbiamo assistere, e mi riferisco ovviamente alle guerre che imperversano senza fine così come i massacri sistematici messi in atto sulla popolazione civile, ma anche a una politica governativa che è a dir poco meschina, forte con i deboli e vacua con gli arroganti, sono convinto invece siano figlie proprio di questa ignoranza e approssimazione. L’unica via che possa portarci a una vera emancipazione è la strada della conoscenza, che troppo spesso vediamo posizionata ai margini della discussione politica. Le cronache di quei giorni riportano in tutta la loro drammaticità quella che fu un’esecuzione e a poco servirono gli squallidi depistaggi che volevano relegare questo grave fatto di sangue, in un omicidio tra balordi o peggio ancora per motivi passionali. Quello di Mario Lupo fu un assassinio politico, messo in atto da fascisti strettamente legati al MSI. E la città di Parma e le sue genti lo percepirono fin da subito, nonostante il questore dell’epoca sostenesse il contrario, tanto che cinquantamila persone parteciparono ai funerali di Mario in un silenzio spettrale carico di dolore e rispetto verso questo giovane uomo vilmente ucciso. Giacomo Ferrari tenne l’orazione funebre davanti a una città attonita: «Si pianga il morto - disse l'ex sindaco partigiano - ma quanto è successo valga di monito per dare ai nostri figli un domani migliore e sereno e perché gli anziani oggi possano chiudere gli occhi senza imprecare al passato». Anche per questo, aggiungiamo oggi, la memoria di Lupo non può essere affidata solo a una lapide lungo l'indifferenza del traffico. Quella di Mario possiamo considerarla oggi, a distanza di 53 anni, fu una grande battaglia di resistenza all’avanzata del noefascismo per la quale Lupo è stato considerato un partigiano. E a questo proposito vorrei riprendere le parole della sorella minore di Mario, Miranda, rilasciate in occasione del cinquantesimo a precisa domanda: "Sì, e se dal punto di vista umano, familiare e personale avremmo preferito averlo con noi a lungo, nel tempo, piuttosto che Mario fosse destinato a diventare un simbolo, con gli anni, tentando di rielaborare faticosamente il lutto, ci è stato chiaro che lui ha vissuto testimoniando con ogni azione ciò in cui credeva. È giusto, quindi, che finalmente venga raccontato il suo volto di giovane ucciso perché impegnato nel difendere valori che ancora oggi ci chiedono di essere difesi. Ricordando che è stato ucciso un ragazzo che avrebbe potuto avere tutta la vita davanti a sé". E per chi oggi esprime concetti superficiali e inconsistenti, come quelli di una generica riconciliazione, offrendo la possibilità, come ha fatto il quotidiano cittadino, di disquisire senza contraddittorio alcuno, al responsabile materiale di questo omicidio, senza avere nessun fondamento e soprattutto l’onestà intellettuale di ricostruire le vicende di quei tragici anni in modo serio e obiettivo, è bene rammentare a questi smemorati che quello di Mario Lupo, come sancito da tre gradi di giudizio in tribunale, al di là di interpretazioni fuorvianti, offensive e ingiuste che pure furono avanzate, fu un omicidio politico. Lo ripeto, fu un omicidio politico. D’altra parte è un gioco che va avanti da decenni, pensate alla stagione dello stragismo nero in Italia. Oggi, sentenze passate in giudicato confermano la natura e matrice fascista di quelle stragi, esecutori materiali e mandanti, depistaggi orditi da pezzi dello Stato in un legame che non si è mai veramente spezzato con settori del ceto politico della destra di governo. L’amarezza più grande è assistere ai balletti vergognosi di figure di primo piano che si aggrappano sugli specchi pur di non dichiararsi antifascisti. Noi invece antifascisti li siamo e dimostrando di essere qui oggi, ancora una volta, testimoniamo l’importanza della memoria, che è ciò che rimane in fondo alle nostre coscienze. Mario è qui con noi, Mario vive ogni giorno nei nostri cuori, nel nostro modo di interpretare democraticamente le nostre vite. Il suo ricordo è vivo, la memoria non morirà mai.


lupo25

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Sanzioni USA contro Francesca Albanese

Gianfranco Pagliarulo Presidente nazionale ANPI

Le sanzioni USA contro Francesca Albanese, relatrice speciale ONU sulla Palestina, sono semplicemente un’infamia, in flagrante violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale, e si motivano di fatto perché Albanese ha rivelato che tante compagnie private americane sostengono direttamente o indirettamente l’esercito israeliano traendo profitto dai massacri e dall’occupazione dei territori palestinesi. Con questi provvedimenti ricattatori gli Stati Uniti si isolano sempre di più dal resto del mondo, accompagnati da un gruppo di Paesi occidentali oramai succubi della sindrome di Stoccolma nei confronti di Trump, che si comporta come il padrone del mondo. Francesca Albanese è da tempo bersaglio di una campagna diffamatoria anche con insulti, accuse e pesantissime minacce per la sua attività di testimone di verità. Mentre nel mondo si moltiplicano le manifestazioni di stima e i riconoscimenti nei suoi confronti, il governo italiano si distingue per il suo silenzio. Non una parola né un’azione a difesa di una cittadina italiana che fa il suo dovere fino in fondo e che per questo rappresenta in modo illustre il nostro Paese alle Nazioni Unite. Altro che difesa dell’italianità! Francamente, c’è da vergognarsi.


Pagliarulo Albanese

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#antidoto – 25 giugno

l'antidoto



Parma,25 giugno 2025, ore 17, Galleria San Ludovico, 38 gradi all'ombra.

Esposta la locandina che pubblicizza l'evento che si terrà alle ore 21 intitolato: "Contro il vento della dittatura, la rivolta della cultura", le volontarie e i volontari dell'Anpi cittadina e della provincia, che hanno dato vita alla Compagnia di Teatro Civile l'Antidoto, si preparano a riaprire e rileggere la Costituzione insieme alla cittadinanza.

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Come portatori di lampade che illuminano il sentiero per se' stessi e gli altri, sveleranno gli attacchi a cui sono sottoposte quotidianamente libertà, uguaglianza e giustizia, perni sui quali si fondano gli articoli della Carta Costituzionale.

L'antidoto proposto è la conoscenza dell'attualità e della Storia in modo critico e rigoroso allo scopo di Resistere allo smantellamento dello stato di diritto.

Il miglior modo per mantenere viva la Resistenza ,memoria del sacrificio delle partigiane e dei partigiani ,passa attraverso la salvaguardia dei valori alla base della Costituzione.

Utilizzando diverse modalità espressive, canti, poesie e prosa, i testi presentati a volte divertono, in qualche caso stupiscono, persino commuovono, ma comunque non lasciano indifferenti i coraggiosi presenti.

Viene letta anche la poesia ,scritta dall'artista inglese Harry Gallagher, dedicata alla fornaia di Ascoli Piceno ,identificata dalla polizia per aver esposto davanti al proprio negozio il lenzuolo con la scritta : 25 aprile buono come il pane bello come l'antifascismo.

Il profumo del pane antifascista è arrivato in Inghilterra insieme al giornalista e storico, dell'Anpi di Londra, Alfio Bernabei. In un tempo segnato da indifferenza e pseudoinformazione la Costituzione,drammatizzata e attualizzata nei suoi contenuti, prende vita in scena coinvolgendo, richiamando alla partecipazione e offrendosi come

Spettacolo finito, ore 22.45, fuori ci sono ancora 38 gradi.

locandina Antidoto 25 giugno 2025

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30 Giugno 2025 – Le parole di ANPI Provinciale

discorso di Nicola Maestri Presidente Comitato Provinciale ANPI Parma

Nel porgervi il saluto convinto di ANPI provinciale Parma ci tengo a sottolineare che la nostra Associazione è ostinatamente presente in tutte le piazze e in ogni luogo dove ci si batta per la giustizia, per la libertà, per i diritti, contro ogni forma di violenza e prevaricazione, come purtroppo avviene anche ora e ancora a Gaza da parte del governo criminale di Netanyahu o in Ucraina da parte della Russia imperialista di Putin, ma anche negli Stati Uniti, con il crescente e ormai palese autoritarismo e come purtroppo in tante altre parti del mondo, dall’ indo-Pacifico all’Africa al Sudamerica, senza escludere e dimenticare ciò che sta avvenendo in casa nostra.

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Nel secolo breve, l’umanità si è inginocchiata davanti al baratro due volte. Due guerre mondiali, cento milioni di morti, la Shoah, le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, il terrore dell’equilibrio nucleare che ha gelato il mondo per decenni. Tutto questo, ci avevano detto, non sarebbe mai più dovuto accadere. Ma a ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, l’Europa torna a marciare al passo della guerra, con il passo pesante e cieco del riarmo. I Paesi della Nato, Italia inclusa, hanno deciso di portare la spesa militare fino al 5% del Pil entro il 2035. Un salto mai visto, una corsa che non porta alla pace, ma al suo contrario.

Le cifre parlano chiaro: si tratta di decine e decine di miliardi sottratti ogni anno non al superfluo, ma al necessario. A sanità, assistenza, scuola, università, ambiente, cooperazione allo sviluppo. Ogni euro investito nelle armi è un euro negato alla costruzione di futuro. Perché – lo sappiamo bene – i bilanci non sono elastici all’infinito. Ci è stato ripetuto fino allo sfinimento che le risorse sono limitate, che “non ci sono i soldi”, per gli asili nido, per gli ospedali, per i giovani ricercatori, per i disabili, per la casa. Ma all’improvviso, con la narrazione della minaccia alle porte, le regole sono saltate. Il vincolo di bilancio si allarga solo per armarsi o per fare leggi liberticide come il decreto sicurezza.

Non possiamo tacere di fronte a questa scelta che tradisce lo spirito dell’Europa nata dalla riconciliazione, che piega i paesi dell’Unione – che della Nato è la parte politicamente debole, è evidente – a logiche militari imposte da fuori. La subalternità all’alleato statunitense – oggi guidato da un Donald Trump senza scrupoli di nuovo alla Casa Bianca – è manifesta e pericolosa. L’Europa, pur nella sua fragilità, ha una responsabilità storica: essere laboratorio di pace, non retrovia logistica di nuovi conflitti globali.

Dietro l’apparente razionalità dei numeri, delle percentuali, delle “minacce da contrastare”, si nasconde una visione tragicamente miope: quella che crede che l’unico modo di evitare la guerra sia prepararsi a farla. Una logica fallita, smentita dalla storia e dalla realtà. Le guerre nascono non solo dalla forza, ma dall’ingiustizia. E la vera sicurezza nasce dalla giustizia sociale, dall’istruzione, dal lavoro, dalla coesione. Non dai carri armati.

Non si tratta di ignorare i pericoli del mondo. Si tratta di scegliere da che parte stare. Se dalla parte della paura o della speranza, dalla parte della logica del nemico o della cultura del dialogo. Se dalla parte della morte o della vita.

Da tempo questo popolo in cammino ha scelto da che parte stare, ovvero dalla parte della vita, della speranza e della ricerca incessante di un mondo migliore.

Rimane l’abbraccio e la speranza che le follie delle guerre si possano fermare.

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