Archivi del mese: Ottobre 2025

“Non vogliamo i fascisti nella nostra città”

Nicola Maestri

Presidente Comitato Provinciale ANPI Parma

“Abbiamo assistito inorriditi alle canzoni fasciste cantate a squarciagola nella sede parmigiana di Fratelli d’Italia e Gioventù Nazionale. Questo episodio svela, qualora ce ne fosse ancora bisogno, una drammatica verità di cui erano evidenti i segnali: la destra italiana non ha mai chiuso i conti con il Ventennio. È allarmante e desolante assistere a questi episodi intolleranti che si prendono gioco della Costituzione e della storia della nostra Repubblica.

Tutto ciò avviene nel cuore della nostra città, medaglia d’oro alla Resistenza, che per mano fascista ha dovuto subire lutti e torture infinite verso i suoi migliori figli. Non saranno sufficienti, posto che arrivino, le solite vacue giustificazioni sulle promesse di rapida pulizia; non si estirpa un male da ciò che lo genera. Non basta più la tiepida condanna apparentemente istituzionale, di istituzioni che questi rigurgiti vogliono piegare, in modo più o meno palese, e in ogni livello, ai propri interessi e all’odio. Non è un caso, non è un incidente, sono sintomi manifesti di una tendenza più ampia, cui riconoscere e a cui opporsi è necessario. Non c’è più un distacco netto tra la politica che ha attraversato questa Costituzione Repubblicana e il mondo di ispirazione e metodo fascista.

Questo accade non casualmente nella sede del partito di maggioranza al governo, nel partito della Presidente del Consiglio, nel partito del Presidente del Senato, non accade casualmente nella città che più di ogni altra ha respinto il fascismo, in una città in cui si cerca di riattivare, proprio a partire da tale partito, odio e paura per raggiungere sempre gli stessi fini, per far consegnare parte della sovranità in cambio di vuota e effimera protezione. Accade nella città che ancora una volta, prima di ogni altra, li ha riconosciuti e vi si opporrà. 

Non vogliamo i fascisti nella nostra città!”

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Assemblea dei presidenti di sezione – Approvazione Bilancio 25.10.2025

Relazione politica

Nicola Maestri Presidente Comitato Provinciale ANPI Parma

Buongiorno a tutte e tutti e vi ringrazio per la vostra presenza. 

Nelle prerogative al presidente spetta l’indirizzo politico per cui vorrei provare a ragionare con voi sul groviglio di nodi che stanno ingarbugliando la micro politica nazionale e la macro politica su scala mondiale.

Cercherò di essere il più chiaro possibile perché se è sacrosanto ricordare che la nostra Associazione sia apartitica, é altrettanto certo che non siamo avulsi dalla politica, e occorre invece che ce ne occupiamo pienamente. Senza citarne le parole vi invito a ricordare a questo proposito la figura e la grandezza della lezione che ci ha lasciato in eredità Giacomo Ulivi sull’impegno politico che ogni individuo dovrebbe assumersi, a maggior ragione nel contesto storico attuale.

Come sappiamo in Italia in questi giorni e nei prossimi mesi andranno a delinearsi nuove giunte e nuovi presidenti di regione.

Ritengo importante e doveroso fare tutto il possibile per un voto che aiuti e spinga l’alternativa nel Paese. [...]

continua

[...]

Avere costruito un centrosinistra largo ovunque è un risultato prezioso, come importante in questi due anni è stato il recupero di una credibilità nelle battaglie su salario, sanità, scuola: campi che anche governi a guida di centrosinistra non avevano saputo rappresentare e comprendere. Ribadisco ancora una volta che ANPI non entra nelle dinamiche dei vari partiti ma va da sé che la politica inclusiva a cui noi aspiriamo non è sicuramente rivolta verso l’attuale compagine governativa che su varie tematiche sta rappresentando le pulsioni più retrive, razziste e classiste come nessun governo prima aveva messo in campo. 

Sono del parere che se vogliamo recuperare autorevolezza dentro mondi delusi da scelte che hanno indebolito la democrazia dobbiamo accelerare un’alternativa che non sia solo una somma di sigle, ma coinvolga parti di società disposte a costruire assieme un’idea dell’Italia dove sentano di avere spazio e una quota di potere nel senso della decisione. Credo che la nostra Associazione, pur rimanendo fedele alle proprie prerogative di autonomia e indipendenza dai partiti, debba però svolgere il ruolo di catalizzatore e veicolare messaggi positivi e costruttivi di collaborazione verso chi dimostri di tenere alla nostra Carta Costituzionale e verso coloro  che preservino  la libertà di espressione in ogni sua forma. 

Lo dico perché fuori da qui il mondo è scosso da eventi che chiedono anche a noi una riflessione alta e penso che dovremo farlo con tutta la sincerità necessaria.

Il punto è che stanno cambiando equilibri di potere, storiche alleanze internazionali, si accentuano povertà, ineguaglianze, che portano milioni di persone a ribellarsi o ad arrendersi.

La più potente democrazia del pianeta è ostaggio di una plutocrazia volgare e violenta.

Sullo sfondo un protezionismo di dazi e ricatti, a conferma che “dove non passano le merci, prima o poi passano le armi”.

Perché di questo stiamo parlando: di una economia di guerra che coincide con due conflitti devastanti in una stagione dove vecchi e recenti imperi lottano per la loro egemonia su scala globale.

Personalmente credo che regni un'euforia esagerata, per alcuni versi tuttavia giustificata, sul negoziato tra Israele e Hamas per terminare il massacro nella Striscia di Gaza. Che non si spari, date le circostanze, è già un enorme risultato. Quanto alle magnifiche sorti della trattativa, solo il tempo dirà.  A cominciare proprio dal testo dell'accordo in venti punti per il quale il presidente americano Trump avrebbe preteso in via preventiva il Nobel. Il linguaggio utilizzato è talmente generico da permettere qualsiasi interpretazione. Infatti a minor intensità e con poco eco sulla stampa, ma le uccisioni indiscriminate proseguono e l’occupazione è nei fatti. 

Diamo per scontato che almeno la fase uno si concluda felicemente con lo scambio degli ostaggi israeliani (vivi e ora i morti che ancora mancano) e i prigionieri palestinesi, anche se non è così e le cronache ce lo raccontano. Già la lista segnala una possibile criticità futura, a causa di un'assenza. Manca il nome di Marwan Barghouti, il quale non è soltanto il più famoso degli ergastolani, ma anche, secondo tutti i sondaggi, l'eventuale vincitore a mani basse in un'elezione per il presidente palestinese. Lo voterebbero i suoi connazionali di qualunque tendenza. Persino molti pro-Hamas, lui che è profondamente un laico. Israele ha lamentato spesso di non aver un interlocutore credibile e rappresentativo con cui trattare dall'altra parte. Lo avrebbe. Obiezione: è un terrorista condannato a cinque ergastoli. Contro-obiezione: non era forse un terrorista Begin, ex primo ministro di Israele e premio Nobel per la Pace, organizzatore di vari attentati tra cui quello al King David hotel in cui morirono 91 persone tra militari britannici e civili palestinesi? E con il "terrorista" Arafat non furono forse firmati gli accordi di Oslo? 

Tenere in cattività Barghouti è l'evidente cartina di tornasole dell'indisponibilità di Netanyahu a considerare qualunque futura mediazione con la controparte. Ovvero, uno Stato palestinese non solo non è alle viste, ma nemmeno, nelle intenzioni di Israele, in un'agenda futura. 

Purtroppo la possibilità di una ripresa delle ostilità, quindi della ripresa del massacro, non è affatto remota.

Lo stesso omicidio di Charlie Kirk segna una svolta nel mandato di Trump col saldarsi dell’estremismo religioso a ricchezze sfrontate, in una ideologia e concezione del potere che si vorrebbe imporre a guida dell’Occidente.

In casa nostra il tutto ha la piega cinica e imbarazzante di Giorgia Meloni che passa dallo spargere odio alla propaganda domenicale sulla rete ammiraglia del servizio pubblico. 

In questi giorni l'intimidazione subita dal conduttore di Report Sigfrido Ranucci e dalla sua famiglia lascia sgomenti. Non solo per l'aggressione a colpi di bombe carta al giornalista, che da anni è uno dei simboli di chi prova ancora, cocciutamente, a raccontare le pieghe nascoste e gli scandali dei potenti. Ma anche perché rende manifesta una democrazia monca, malata, dove i cronisti che fanno il loro dovere rischiano, sistematicamente, pressioni e minacce, fino a violenze come quella del 16 ottobre scorso. La solidarietà non basta. La destra non può manganellare il giornalismo critico. Un comportamento simile utilizzato su più fronti. Fare del vittimismo per poi avere mano libera per colpire verbalmente, per ora. 

Nei giorni precedenti invece una critica particolarmente stucchevole veniva mossa da questo governo all'iniziativa della Global Sumud Flotilla, nello specifico che si trattasse non tanto di un'operazione umanitaria, ma anche o soprattutto di un gesto politico. Non solo i due intenti convivevano naturalmente, ma forse c'è di più, forse si aggiunge un elemento filosofico a quello politico. I naviganti della Flotilla hanno messo l'inerte Occidente (governo italiano in testa) di fronte alla sue contraddizioni, ipocrisie e mancanze, che forse mai come nel caso dell'assedio di Gaza e del genocidio dei palestinesi si stanno manifestando. 

All'obiezione che sarebbe più rapido ed efficace lasciare la consegna di aiuti umanitari ai governi coi loro mezzi, l'iniziativa in sé e per sé della Flotilla ha posto una domanda, sia banale che profonda: perché finora non lo avete fatto?

Perché nemmeno una parola, un gesto contro il blocco degli aiuti, o contro i proiettili che uccidono chi cerca un pezzo di pane, verso un paese che scientemente affama la popolazione aggredita, secondo la logica del "ogni bisonte morto è un indiano in meno" con cui gli americani affamavano i nativi per sterminarli due secoli fa? 

All'accusa di voler provocare l'esercito invasore israeliano, la Flottilla ha replicato: perché accusate noi che non violiamo nessuna legge e veniamo in pace, e tacete su chi ci aspetta con le armi e in violazione del diritto internazionale?

Al sovranismo e patriottismo d'accatto, al Prima gli Italiani, la Flotilla ha controbattuto: siamo cittadini anche noi, e allora perché non ci proteggete dagli attacchi (infami) coi droni? Perché la "difesa dei confini nazionali" non include le imbarcazioni che battono bandiera di quella stessa nazione? E perché i gazawi non possono esercitare la sovranità sulle loro acque territoriali, e far entrare chi vogliono?

Di fronte alla critica di velleitarismo e sterilità dell'iniziativa, di stare perdendo tempo e soldi, la domanda dei naviganti è sempre la stessa: ma voi dove siete, cosa fate? Dove eravate un anno fa, due anni fa, quindici anni fa?

Il metodo del padre del pensiero occidentale ha posto quindi i governanti di questa parte di mondo di fronte alle loro ipocrisie, all'incoerenza e inconsistenza dei loro messaggi e delle loro azioni. L'Occidente dei diritti universali tratta i popoli diversamente a seconda della loro provenienza, religione e colore della pelle. L'Occidente democratico e liberale chiude entrambi gli occhi di fronte a un genocidio, se a perpetrarlo è una presunta democrazia "alleata", perché la divisione fra amici e nemici, "noi" e "altri" domina rispetto a quella tra oppressori e oppressi.

Ci sono voluti i corpi, il coraggio e la resistenza (Sumud, in arabo) degli equipaggi di quelle cinquanta barche per mostrarci la nudità e lo squallore dei governi di fronte alla tragedia palestinese. E allo stesso tempo per ricordarci che non tutto è perduto, che è ancora possibile risalire il baratro morale in cui stiamo precipitando.

In quanto all’Europa balbetta: critica Netanyahu con sanzioni risibili.

Assiste al collasso della V Repubblica in Francia e alla strategia di riarmo della Germania.

È un’Europa sempre più vaso di coccio tra autoritarismi, autocrazie, dittature.

Di fronte a questo rivolgimento il tema è come il progetto di ANPI si colloca in uno scontro che ha come posta esplicita la democrazia liberale, le sue regole e istituzioni.

E qui arrivo allo stimolo, al pungolo che ci spetta far giungere alle istituzioni in senso lato. Ecco perché bisogna che una classe dirigente si faccia interprete non solo di bisogni materiali, ma di una domanda più profonda, di senso e indirizzo della storia, ed è fondamentale che lo faccia anche ANPI perché è la sola condizione per rafforzare tutta la galassia del mondo progressista, anziché spargerci in mille rivoli che non incideranno tangibilmente nella vita delle persone più in difficoltà. 

La domanda, anche per noi, è se, dentro questa nuova scena dell’Europa e del mondo, l’Italia, per il suo passato, la cultura, la tradizione, può avere ancora una funzione diversa dal nulla di adesso.

Per prima cosa sul capitolo della pace da opporre a una narrazione che punta a militarizzare la stessa diplomazia.

Si tratta di capire se siamo in grado di offrire con il nostro impegno, maggiore ampiezza di visione e respiro a un pensiero per l’Alternativa (senza lasciare un ambito tanto fondamentale alla sola testimonianza delle proprie fedi) perché questo risulterebbe riduttivo e settario. 

Penso che su questo si siano compiuti dei passi importanti e che su questi capitoli, però, al punto in cui siamo non possiamo attendere gli altri. Tutto il mondo progressista in questo momento buio della storia, diventa risorsa essenziale.

Ma di fronte alla portata dei fatti tocca a noi dire, spiegare, raccontare come pensiamo questo tempo storico, ce lo ha consegnato a piene mani la storia che ci ricorda il grande sacrificio di chi ci ha preceduto nella riconquista della libertà. Abbiamo il diritto/dovere di farci sentire, e lo dobbiamo fare perché sono le donne e gli uomini dietro le nostre spalle a renderlo evidente.

E dobbiamo farlo perché grazie a loro, siamo quelli che hanno dentro di sé gli anticorpi per interpretare quel moto di indignazione che si respirava nelle piazze giovanissime di questi giorni e gli interrogativi che scuotono l’Italia profonda, quella che non si vede, ma c’è.

Questo nostro patrimonio oggi è il più attrezzato a contrastare una destra che a sua volta è interprete di un pensiero reazionario generato dalle pagine più buie della storia di questo Paese.

Ma appunto per questo nella discussione tra noi credo di avere sempre qualcosa da imparare. Renato Lori, il partigiano Cric, una sera di tanti anni fa, davanti a un piatto di tortelli, mi disse: “Le forze reazionarie nel nostro Paese sono forti e hanno radici profonde, e non possiamo sottovalutarlo mai. Ma ti assicuro che in egual misura sono al tempo stesso consapevoli del fatto di avere un grande argine davanti a loro, e quella diga siamo noi, gli antifascisti e i progressisti.” 

E me lo disse con gli occhi velati. 

Vi ho voluto raccontare questo aneddoto perché credo intimamente che le classi dirigenti dovrebbero avere il compito di leggere le situazioni prima di altri, dico dovrebbero perché nessuno ha la sfera di cristallo ma questo tema necessita di una postura che a mio avviso deve venire prima di ogni altra legittima burocrazia fatta di sacrosanti obblighi e paletti, senza però diventarne schiavi o limitarsi al ruolo di passacarte. Questa è la definizione alta del termine politica. Le classi dirigenti degne sanno discutere e mai come ora la discussione su un mondo che è già cambiato dobbiamo saperla affrontare.

Chiamiamolo il nuovo impianto di un pensiero su libertà e democrazia, su pace e dialogo tra le religioni, tra i movimenti e l’associazionismo, che sfidi le destre nel segno della speranza contro la paura.

In questa sede vorrei però iniziare a parlare con voi di futuro prossimo della nostra Associazione. Tra meno di un anno e mezzo andremo a congresso. Sarebbe forse il caso di mettere mano allo statuto e al regolamento, ma lo affronteremo a tempo debito, tuttavia vi confesso che faccio parte di quelli che pensano che cinque anni tra un congresso e l’altro siano un tempo politico giurassico che non possiamo più permetterci. Il mondo viaggia a velocità massima e inevitabilmente si perdono pezzi importanti. Credo che la durata di un mandato non dovrebbe superare i tre anni, vedremo cosa deciderà il congresso nazionale del 2027. Nei due congressi precedenti la mozione non ha avuto successo ed è stata respinta. A mio modo di vedere i tempi sono maturi, rimaniamo in attesa.

Sinceramente, non so dire se tra meno di due anni saremo ancora nella identica voragine politica in cui viviamo oggi. 

Però credo di avere una certezza: che aldilà di chi ricoprirà ruoli specifici pro tempore, ANPI dovrà sempre interpretare il proprio ruolo in maniera istituzionale ma anche di avanguardia sociale. Per questi motivi quindi, oggi, in occasione di questa assemblea dei presidenti di sezione, vorrei rivolgervi un appello sincero che sale spontaneamente dalle nostre profonde radici antifasciste e che hanno a cuore il futuro della nostra Associazione. Impegniamoci, impegnatevi affinché una nuova generazione possa entrare con rinnovato entusiasmo e spalancare ulteriormente le finestre della memoria. Come avvenne nel 2006, nel congresso di Chianciano, dove le partigiane e i partigiani con un gesto generoso e lungimirante, decisero di aprire le porte alle nuove generazioni di antifascisti. Occorrerebbe una nuova Chianciano anche sul nostro territorio. Ne approfitto quindi per esprimervi il mio e il nostro sincero ringraziamento per quello che state facendo e per quello che farete con impegno nei vostri territori. Sarà importante operare affinché una nuova nidiata possa prendere in mano la bandiera della pace e della tolleranza, investiamo quindi sui più giovani, diamo loro le chiavi per un mondo nuovo che abbia radici antiche, diamo loro fiducia, sapranno raccogliere il meglio e portarlo avanti. Abbiamo il dovere morale di provare ad immaginare l’ANPI del futuro e il futuro di ANPI.

Perché, se così non fosse avremmo la responsabilità di consegnare alla destra peggiore l’opportunità di stravolgere in via definitiva l’ordinamento costituzionale della nostra democrazia.

Ma questo non può e non deve accadere.

E allora discutiamo, senza cadere nell’errore di crederci insostituibili. Non l’ho mai fatto ma oggi spero me lo concederete, vorrei citare qualcosa di intimo, una frase di mio padre, il quale mi diceva sempre che al cimitero della Villetta c’è pieno di insostituibili. Tutti siamo importanti e fondamentali ma l’aspetto che ci deve contraddistinguere deve essere quello che ci vede protesi verso chi rappresenta nuove gambe, nuove braccia e soprattutto nuove teste pensanti che dovranno portare avanti questo patrimonio di ideali e di storia, diversamente saremo destinati a soccombere innanzi alla storia. 

Se serve, cambiamo quello che si deve migliorare.

Quello che deve rimanere chiaro è il traguardo da tagliare, perché comunque la si pensi, dovremo farlo tutte e tutti assieme.

Concludo anticipandovi che è nostra intenzione convocare prima della fine di novembre un’assemblea allargata a tutti i Comitati di sezione per dare seguito e proposte a ciò cui vi ho accennato. 

Grazie. 

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Bosco di Corniglio – Domenica 19.10.2025

Orazione Ufficiale Eccidio Bosco di Corniglio

Carme Motta Presidente Istituto storico della Resistenza e dell'età contemporanea di Parma

Sindaci, Autorità civili e militari,

Rappresentanti delle Associazioni Partigiane, Anpc, Alpi, Anpi, di cui porto il saluto quale Presidente Isrec,


Cittadini e cittadine,

sono onorata per l’invito, nell’80’ della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo e vi ringrazio.


Leonardo Tarantini, partigiano Nardo, scrisse che l’eccidio di Bosco di Corniglio fu “uno dei giorni più infausti della Resistenza parmense” con la perdita del Comando Unico delle formazioni partigiane parmensi. 

I destini personali di quei partigiani si erano incrociati.


Giacomo di Crollalanza , comandante “Pablo” 26 anni, giovane ufficiale venuto dalla Sicilia, dopo l’8 settembre si unisce alle formazioni partigiane; aveva esperienza militare e capacità di stratega. 


Con lui, quella notte del 17 ottobre 1944, Gino Menconi partigiano “Renzi”, toscano, di famiglia benestante , laureato, prima repubblicano poi comunista; Giuseppe Picedi Bonettini , partigiano

“Penola”, toscano, famiglia della nobiltà sarzanese, cresciuto con idee democratiche, tre partigiani di guardia Enzo Gandolfi e Domenico Gervasi , quest’ultimo carabiniere, entrambi della provincia di Parma, Settimio Manenti di Urbania, provincia di Pesaro. 


Morirono tutti, sorpresi dalle SS tedesche, perché traditi. Si difesero strenuamente fino alla fine. Divennero leggenda.

La “settimana di lotta alle bande”, lanciata da Kesserling, raggiunse l’obiettivo più importante.


Dalle micidiali raffiche di mitra e dall’incendio si salvarono fortunosamente il Vicecomandante Giacomo Ferrari “ Arta” , Primo Savani “Mauri”, Boni, Pelizzari, Cipriani, Parisi, Zammarchi e pochi altri.


Ma non fu la fine. Non ci si poteva arrendere e nemmeno concedersi il tempo della disperazione. [...]

continua

[...]

I tedeschi e i fascisti ci contavano; il colpo inferto era durissimo.  Ma la storia andò diversamente.

Il 23 ottobre fu eletto il nuovo Comando Unico;  comandante “Arta”, commissario politico Achille Pelizzari “Poe”, Leonardo Tarantini “ Nardo” capo di stato maggiore.

Loro ci sono alla sfilata del 25 aprile 1945 a Parma. Inizia la nuova Italia.

Quel 25 aprile la maggioranza di noi, per età anagrafica, non c’era ma abbiamo provato ad esserci dopo, come oggi, insieme ai giovani che hanno compreso il sacrificio di quelle vite per il futuro di tutti/e.

Resistettero per riportare al centro della comune convivenza la forza della ragione, contro l’ idea di morte salvifica del regime nei confronti di ebrei e oppositori o semplicemente diversi per l’deologia fascista e nazista, contro l’oppressione, la persecuzione, la guerra, l’ignoranza, l’indifferenza e la viltà di molte, troppe, coscienze; resistettero per restituire i più nobili ed insieme semplici sentimenti dell’animo umano che danno senso alla vita e la rendono degna.

Domandiamoci: la memoria della loro resistenza, di tutta la resistenza è ancora attuale o solo doveroso ricordo? 

Rispondo convintamente sì, è viva e attuale perché parla all’oggi.

In situazioni, condizioni e contesti diversi siamo tornati ad avere su fronti opposti democrazia e totalitarismo, autocrazia nel nuovo gergo, pace e guerra, diritto e violenza; siamo di fronte, purtroppo,  alla crisi dei modelli politici e sociali del secolo scorso.

Le destre estreme tornano ad essere punto di riferimento per ampi strati popolari in modo trasversale.

Prevale l’idea “dell’urgenza del presente”, così la definisco, come misura della vita delle persone;  ma l’urgenza intesa come possibilità di risposta alle esigenze diffuse, dovrebbe risiedere nell’attività politica e di governo delle comunità, non essere il pensiero dominante, pervasivo e riduttivo dell’esistenza.

Eppure l’attuale coscienza pubblica sta dissipando la memoria come patrimonio morale e di valori condivisi, consapevolezza e responsabilità individuale; l’esito è che chi si erge a risolutore di tutto, a semplificatore della complessità, ottiene sempre più largo consenso, anche in Europa, in tutto l’occidente. La democrazia un intralcio superfluo da superare perché ostacola, rallenta, pone vincoli, alla decisione istituzionale e politica. Avvenne esattamente così agli albori dei regimi totalitari del secolo scorso, è così in paesi europei e non solo. Anche la libera stampa, oggi, è un problema. Deve essere “eco” del potere governante.

Il concetto di “forza”, soprattutto militare, è diventato il metro di giudizio con cui si può superare ogni limite; l’interesse economico il paradigma del confronto e della negoziazione.

Così il diritto e le organizzazioni internazionali non sono più riconosciuti, oscurati se non vilipesi, derisi, e dunque resi impotenti sebbene nati dopo i conflitti mondiali al fine di gestire e superare le cause che li avevano determinati.

Il mondo è cambiato, certo, tutto non può rimanere immutabile,  a cominciare dalle istituzioni nazionali, europee, mondiali ma dipende “come “e “perché” si innova, se per allargare e consolidare  la democrazia o restringerla.

Dal massacro del 7 ottobre 2023, per la maggior parte di giovani ebrei, fino alla immane e sconvolgente tragedia del popolo palestinese, la guerra nella “martoriata” Ucraina, come la definiva papa Francesco, dove ogni giorno anche lì muoiono bambini, poco più che numeri, i conflitti noti e sconosciuti mai risolti nel mondo, sono il risultato dell’orizzonte perduto del diritto e della giustizia sociale.

Per questo ogni spiraglio di far tacere le armi è una speranza da perseguire tenacemente.

Umberto Eco nel memorabile intervento alla Columbia University del 25 aprile 1995 per celebrare la liberazione dell’Europa, coniò il termine “fascismo eterno” che, scrisse, “ scaturisce dalla frustrazione individuale e sociale per crisi economica o politica , per i timori dei subalterni verso i più subalterni “.

Pericolo mai scongiurato riferito alla responsabilità della società che ha diritto a risposte ma che deve porsi anche domande.

Non basta indignarsi, non è più sufficiente opporsi, bisogna trovare un “senso” dentro il disordine, la paura, gli egoismi, la mancanza di sapere, di cultura.

Abbiamo delle solide bussole, la Costituzione antifascista, frutto della Resistenza, il Manifesto di Ventotene, il futuro dell’Europa, gli studi storici, le testimonianze dirette di chi visse le tragedie del passato e quelle del presente.

Abbiamo, però, necessità di esempi di coerenza, di lungimiranza, di compostezza, di generosità, non di fenomeni leaderistici, non di toni e linguaggi infamanti, volgari, aggressivi utili a suscitare istinti primordiali anziché il pensiero critico. Ne abbiamo bisogno in ogni campo di azione dell’attività umana.

Le nuove generazioni ci guardano e attendono segnali concreti di speranza, fiducia, credibilità da opporre agli orrori della disumanità.

Loro ci sono e vogliono contare. Sapremo stare al loro fianco adeguatamente?

La violenza va sempre respinta, ripudiata; fa il gioco di chi vorrebbe zittire il dissenso.

Se si vuole la pace la si deve praticare.

Grandi manifestazioni di popolo pacifiche sono quelle che i “potenti” allergici alla democrazia temono di più.

Tutti abbiamo bisogno di “sogni”, soprattutto i giovani; riabituiamoci a sognare e rendiamo i sogni tangibili, realizzabili, alternativi allo sgretolamento delle certezze; libertà, democrazia, uguaglianza che sembravano scontate e non lo sono più. Dobbiamo sognarle di nuovo.

I partigiani che oggi commemoriamo, il loro sacrificio che  portiamo nel cuore, non si sono mai arresi pur consapevoli della possibile sconfitta, dell’inevitabile dolore per la perdita di chi lottava con loro.

Non avevano certezze sul futuro, lo immaginavano, lo sognavano; ci hanno creduto, hanno lottato insieme, oltre i loro personali convincimenti, le diversità sociali, politiche, religiose.

Hanno creduto che se non loro altri come loro ce l’avrebbero fatta.

Le loro morti non sono state inutili. Hanno salvato l’Italia, hanno salvato noi. Hanno consegnato il futuro. A quelli di allora e a noi oggi.

Per questo sono e saranno sempre con noi, vivi nella memoria presente. Ad indicarci la strada.

Una settimana fa ero sulla cima del monte Fuso; cammino tanto, quando posso, per passione, sui  nostri monti; sul Fuso si trova il pannello dei “ sentieri resistenti”, come in molti altri luoghi, e quello dedicato alla festa per l’inaugurazione, il 18 agosto 1901, del monumento alla Madonna dell’Alpe. Una manifestazione per celebrare il nuovo secolo. Nessuno dei partecipanti avrebbe immaginato che 14 anni dopo sarebbe scoppiato il primo terribile conflitto mondiale.

“Oltre 5000 persone venute dalle parti più lontane della montagna reggiana e parmense “. Il pannello riporta l’articolo della rivista del periodo “Giovane Montagna”;

“ Fu un importante momento di coesione attorno a questo monte che univa invece di dividere. Dalla cima si vedeva Parma e tutte le altre vette dell’Appennino parmense e reggiano.  La festa proseguì anche la sera. 

Gli ultimi rimasti avevano accatastato le molte piante tagliate in diversi punti della cima e vi avevano dato fuoco: e l’allegra fiammata vincendo la scura tenebra circostante anche ai lontani e non ancora informati avrà portato nella notte stessa la notizia che la festa di monte Fuso era passata lietamente perché sulla vetta di esso si era acceso ad indicarlo un falò di gioia ed allegrezza”.

Ho riflettuto su questa semplice testimonianza di un tempo tanto lontano; anche noi, insieme, possiamo e credo dobbiamo riaccendere la gioia e l’allegrezza della vita, la sua bellezza anche nell’impegno quotidiano. E’ nelle nostre mani. 

L’alba di un nuovo giorno arriva sempre; i partigiani lo sapevano, anche quelli che oggi ricordiamo, e non hanno mai dubitato che sarebbe stato un giorno di gioia per tutti. Finalmente liberi e in pace.

Il sogno divenne realtà. 

Crediamoci! 

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