NICOLA MAESTRI
PRESIDENTE
COMITATO PROVINCIALE ANPI PARMA
XXVAprile - P.zza Garibaldi Parma
Cittadine e cittadini, autorità civili e militari, rappresentanti delle Pubbliche Amministrazioni, rappresentanti delle Associazioni partigiane, combattentistiche e d’arma, parenti delle vittime che oggi andiamo a ricordare, antifasciste e antifascisti, buongiorno a voi ! [...]
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Ricordando Papa Francesco e il suo forte impegno per la pace, vi porto il sincero saluto delle tre Associazioni partigiane ALPI, ANPC e ANPI. Ottant’anni sono trascorsi da quel giorno meraviglioso che ridiede la libertà e la speranza a milioni di persone. Tuttavia è giusto ricordare che non c’è parte del suolo italiano che non abbia patito la violenza nazifascista contro i civili e non abbia pianto sulle spoglie dei propri concittadini brutalmente uccisi. Con queste barbare uccisioni, nella loro strategia di morte, i nazifascisti cercavano di fare terra bruciata attorno ai partigiani per proteggere la ritirata tedesca, e di instaurare un regime di terrore nei confronti dei civili perché non si unissero ai partigiani, di operare vendette nei confronti di un popolo, considerato inferiore da alleato e, dopo l’armistizio, traditore. Si trattò di gravissimi crimini di guerra, contrari a qualunque regola internazionale e all’onore militare e, ancor di più, ai principi di umanità.
Nessuna ragione può rappresentare oggi l’elogio della distrazione da sé stessi, dal posto che si occupa, sempre transitoriamente. Vite umane come Dracula che si alimenta del sangue degli altri; non in maniera omicida ma come fondamento di ciò che umanamente dovrebbe contraddistinguerci dall’animale. Sangue che si mischia con altro sangue per coprire le acque del pozzo dei desideri. Le acque di chi umano è a cui quindi nulla è estraneo di ciò che è umano. L’asimmetria di superiorità tra uomini, considerati cause ed eff etto continua a mietere vittime innocenti senza soluzione di continuità. Così quindi come sostiene il Segretario Generale dell’ONU Guterres “è urgente l'accesso immediato e senza ostacoli agli aiuti nella Striscia di Gaza, mentre il blocco di Israele, che dura da più di un mese, ha aggravato la crisi umanitaria e approfondito le soff erenze dei civili nell'enclave. È passato più di un mese senza che sia arrivata una goccia di aiuti a Gaza: Niente cibo, niente carburante, niente medicine, niente forniture commerciali. Mentre gli aiuti si sono esauriti, si sono riaperte le porte dell'orrore. Gaza è un campo di sterminio e i civili sono in un circolo vizioso senza fi ne”. Questo per ogni minoranza, per scalfi re i recinti in cui superiormente ci si interpone, in cui ci si ritiene giusti e li si considera sbagliati, per un pezzo di terra e un pezzo di pane, si bombarda un ospedale. Secondo il fisico Carlo Rovelli “La differenza fra passato e futuro esiste solo quando c’è calore. Il fenomeno fondamentale che distingue il futuro dal passato è il fatto che il calore va dalle cose più calde alle cose più fredde.” Si potrebbe quindi pensare al presente come calore preponderante che sostiene, àncora ed emancipa la vita umana. Calore inteso come consapevolezza di vivere non tra gli opposti ma negli opposti. Lo ricorda Primo Levi in Se questo è un uomo, riflettendo sulla vita ambigua del Lager dura e premuta sul fondo in cui vivono molti uomini dei nostri giorni; per cui ci si può forse domandare se di questa eccezionale condizione umana rimanga qualche memoria. A questa domanda ci sentiamo di rispondere affermativamente. Nessuna esperienza umana è vuota di senso e indegna di analisi. La Storia ci ha insegnato che questa responsabilità era ben diff usa anche ottant’anni fa, infatti i nazisti e i fascisti ne erano ben consapevoli: i corpi dei partigiani combattenti, catturati, torturati e giustiziati, dovevano rimanere esposti per giorni, come sinistro monito per la popolazione. Ma le stragi di civili cercavano di tenerle nascoste e occultate, le vittime sepolte o bruciate. Non si sa se per un senso intimo di disonore e vergogna o per evitare d’incorrere nei rigori di una futura giustizia, o, ancora, per non destare ulteriori sentimenti di rivolta tra gli italiani. Una lunga
scia di sangue ha accompagnato il cammino dell’Italia verso la Liberazione. Il sangue dei martiri, quello che ha intriso anche il selciato di questa piazza, che hanno pagato con la loro vita le conseguenze terribili di una guerra sciagurata, combattuta a fi anco di Hitler nella convinzione che la grandezza e l’influenza dell’Italia si sarebbero dispiegate in un nuovo ordine mondiale. Un ordine fondato sul dominio della razza, sulla sopraffazione o, addirittura, sullo sterminio di altri popoli. Un’aspirazione bruta, ignobile, ma anche vana. L’8 settembre, con i vertici del Regno in fuga, fece precipitare il Paese nello sconforto e nel caos assoluto. Ma molti italiani non si piegarono al disonore. Scelsero la via del riscatto. Un riscatto morale, prima ancora che politico, che recuperava i valori occultati e calpestati dalla dittatura. La libertà, al posto dell’imposizione. La fraternità, al posto dell’odio razzista. La democrazia, al posto della sopraffazione. L’umanità, al posto della brutalità. La giustizia, al posto dell’arbitrio. La speranza, al posto della paura.
Il fatto decisivo è stato l’ingresso, per la prima volta nella nostra storia nazionale, di grandi masse popolari, unite, quali artefici di una svolta rinnovatrice nella vita del paese. La principale protagonista della Resistenza è stata la classe operaia che, nel corso della lotta di liberazione, ha saputo mobilitare e organizzare vaste masse contadine del nord e del centro, ampi strati di intellettuali, studenti e altri gruppi intermedi attorno agli obiettivi e alle battaglie condotte dalle formazioni partigiane e dai Comitati di liberazione nazionale. Nelle città e nelle campagne il consenso popolare fu vastissimo. Si creò, in sostanza, una nuova unità morale e civile degli italiani. Sul piano politico questa unità si espresse nella collaborazione fra tutti i partiti antifascisti e, in modo particolare, tra le forze che si raccoglievano dietro le bandiere dei comunisti, dei socialisti, degli azionisti, dei democristiani e di altri raggruppamenti democratici. Tutti questi processi hanno dato alle istituzioni dello Stato e a tutta la vita politica basi del tutto nuove, di gran lunga più solide e più ampie di quante altre l’Italia aveva conosciuto in precedenza.
Nasceva quindi la Resistenza, un movimento che, nella sua pluralità di persone, motivazioni, provenienze e spinte ideali, trovò la sua unità nella necessità di porre fi ne al dominio nazifascista sul territorio italiano, per instaurare una nuova convivenza, fondata sul diritto e sulla pace. Ed è questa la pagina che per noi risulta essere la più colma di gratitudine, quella composta da mille colori che rendono libero un individuo, la pagina che oggi, nell’ottantesimo della Festa della Liberazione, noi ci teniamo più preziosamente stretta al cuore. È bene infi ne ricordare che al motto fascista del “Credere, obbedire e combattere”, le donne e gli uomini antifascisti e democratici ribatteranno sempre con “Conoscere, capire e scegliere” perché questo ci ha insegnato la Storia, solo con la cultura ci salveremo.
Buon 25 Aprile oggi e tutti i giorni dell’anno, buon 25 Aprile a tutti quelli che non possono festeggiare perché vedono la loro libertà prevaricata da odio e subdoli interessi.
Buon 25 Aprile a questa meravigliosa piazza che al pari di questa splendida città era, rimane e rimarrà fieramente Antifascista!
STEFANO CRESCI
VICE PRESIDENTE VICARIO
COMITATO PROVINCIALE ANPI PARMA
XXVAprile - Roccabianca
Buongiorno a tutti, porto i miei saluti e del Presidente dell’ANPI provinciale di Parma, Nicola Maestri, al Sindaco di
Roccabianca, Alessandro Gattara, alle autorità civili, militari e religiose e alle associazioni di Volontariato e d’arma, alla cittadinanza tutta che ha potuto e voluto essere presente oggi; per questa importante cerimonia che ricorda la Liberazione del Paese dal fascismo e dall’invasione nazista e la fine di una spaventosa guerra voluta da queste dittature sanguinarie. [...]
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Migliaia di italiane e italiani si sono opposti strenuamente a quel disegno criminale, e questa scelta ha consentito a tutti noi di vivere in un Paese libero e democratico e riscattato dalla vergogna la scelta dell’Italia di aver scelto la parte sbagliata della Storia. Perché sia chiaro: il fascismo non ha fatto cose buone. MAI.
Come scriveva Norberto Bobbio, “l'ideologia fascista era un'ideologia negativa: la negazione della democrazia, l’antidemocrazia. Contro il principio dell'eguaglianza, il fascismo aveva esaltato la gerarchia; contro il potere dal basso, il potere dall'alto; contro la libertà, l’autorità; contro lo spirito critico, la fede cieca; contro il principio di responsabilità individuale senza la quale nessun regime democratico può sopravvivere, il conformismo di massa". I partigiani non erano eroi, quei giovani uomini e donne volevano far finire la guerra o la miseria per tornare a vivere e, nonostante i grandi rischi, si sono assunti tuttavia le proprie responsabilità: ci sono stati! Una scelta che, ancor oggi, ci vede legati a doppio filo a loro e si intreccia con la giustizia sociale, la pace, la libertà e la democrazia da loro desiderate e volute.
I resistenti avevano compreso la necessità di scegliere e hanno scelto di lottare per uno Stato diverso: la guerra e la dittatura fascista non potevano rappresentare il futuro.
Anche qui a Roccabianca vi furono figure significative come Don Sisto Bonelli, nome di battaglia Corsaro, o Annibale Ballarini (Bongiorno), comandante della 78^ brigata delle Squadre di azione patriottica “Garibaldi”, però molti altre furono le persone impegnate nella lotta di Resistenza. I sappisti “della prima ora”, infatti, aumentarono sino a diventare un fenomeno di popolo, dando il loro importante contributo alla grande battaglia conclusiva della Resistenza della nostra provincia. Da non dimenticare, a Roccabianca terra di grande tradizione cooperativa, la partecipazione delle masse contadine con il fondamentale apporto delle donne, attivamente e direttamente con la loro presenza fisica nelle squadre operative, e supportando con tutti i mezzi i Volontari della libertà.
La guerra, tuttavia, non fu vinta dai partigiani, anche se essi offrirono un contributo sostanziale, perché nulla avrebbero potuto senza l’indispensabile intervento degli Alleati e la ribellione alla dittatura fascista di centinaia di migliaia di militari italiani che rifiutarono di combattere per il regime fascista - gli internati militari -. Il riscatto di un intero popolo verso una dignità riconquistata tuttavia è passato da quell’impegno coraggioso. Non hanno delegato ad altri la propria responsabilità. Quella è una scelta che, ancor oggi, ci vede legati a doppio filo a loro e si intreccia con la giustizia sociale, la pace, la libertà e la democrazia, da loro volute.
La Resistenza, in tutte le sue diverse componenti (monarchica, repubblicana, liberale, azionista, socialista, cattolica o comunista) ha soprattutto operato la ricostruzione civile e istituzionale del Paese: valori definiti chiaramente nella Carta costituzionale. Scritta ricordiamo interamente proprio dai partigiani a difesa di ognuno di noi.
Un’unione di intenti da recuperare per affrontare le sfide che ci attendono, in condizioni diverse tuttavia le stesse di allora: tra democrazia e totalitarismo, tra pace e guerra, tra il diritto e la violenza. In questa orazione ho scelto di confrontare il progetto di Costituzione previsto per la Repubblica sociale di Salò, con parti scritte direttamente da Mussolini, e la Carta della nostra Repubblica, nata dalla Resistenza; questo per ricordarlo a noi e, soprattutto, agli smemorati, agli indifferenti e peggio ancora, ai nostalgici o revisionisti che, purtroppo, siedono addirittura anche in Parlamento e tra le fila del Consiglio dei ministri. Credo sia giusto ricordare perché siamo oggi qui a festeggiare, ovviamente in maniera molto sobria ma partecipata, la Festa della Liberazione nell’ottantesimo anniversario. Celebriamo questa Festa perché durante la dittatura fascista, che qualcuno rimpiange, la sovranità non apparteneva al popolo mentre dopo la Liberazione, l’Italia è divenuta una repubblica democratica.
Ora sono riconosciuti e garantiti i diritti inviolabili dell’uomo, assicurati proprio grazie all’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale di ogni cittadino. Durante il fascismo i diritti erano inevitabilmente preclusi. Oggi è Festa perché tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali e la Repubblica ha il compito di rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza e il pieno sviluppo della persona umana. Il fascismo adottò le leggi razziste, emarginò le donne; percosse, confinò e uccise gli oppositori politici, in sostanza, sospese per venti anni ogni tipo di libertà e diritto. Festeggiamo perché l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Il fascismo ci portò, prima insieme ai nazisti in Spagna, poi in guerre di aggressione e di colonizzazione, con utilizzo di gas e strumenti indicibili di morte, infine condusse il nostro Paese alla rovinosa disgraziata unione con il nazismo di Hitler nel secondo conflitto mondiale. Alla catastrofe. Sì, oggi è Festa perché possiamo scegliere liberamente i nostri rappresentanti in Parlamento e, questa scelta può essere effettuata anche dalle donne. Invece, dal 1924 sino alla Liberazione, il fascismo impedì tale diritto ed anzi uccise Giacomo Matteotti, reo di avere denunciato le attività illecite e intimidatorie delle milizie armate fasciste durante le elezioni, evidentemente già allora non libere. Celebriamo il XXV aprile perché la giustizia è amministrata in nome del popolo e i giudici sono soggetti soltanto alla legge ed indipendenti dal potere esecutivo, diversamente da ciò che avveniva durante il fascismo, dove il Governo decideva chi dovesse essere processato, condannato, confinato e messo a morte. Facciamo festa insieme perché oggi in mezzo a noi operano le associazioni di volontariato, ed è garantito per tutti i cittadini il diritto di associarsi liberamente mentre durante il fascismo erano tutte vietate. Comprese tutte le organizzazioni cattoliche. “Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia raggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare”. Con queste parole cupe e preoccupanti, Gramsci rintraccia il peccato originale. Riconosce nell’indifferenza di coloro che non si preoccupano della comunità e della cosa pubblica, una delle cause, forse la vera causa dell’instaurazione di un regime totalitario e, prima ancora, dell’ideologia di sopraffazione del forte sul debole che è l’essenza stessa del fascismo. Gli ignavi, gli indifferenti sono appunto i più pericolosi, oltre ad essere i più numerosi, e Dante Alighieri nella sua Commedia, con grande acume, li collocava nell’anticamera dell’Inferno, perché indegni persino di entrare negli Inferi. Non è il momento di essere ignavi o indifferenti! È il nostro presente che dobbiamo cambiare, questo mondo dove pochi pretendono di
comandare sui molti, anche nei paesi di consolidata democrazia, mentre gli interessi dei pochi, potenti della finanza, i produttori di armamenti, i “padroni” della comunicazione determinano disuguaglianze, povertà, fame, limitando diritti e libertà. Oggi dove dilagano in tutto il mondo guerre e distruzione, dal Myanmar al Sudan e al Congo, allo Yemen, passando per l'Europa, dall'Ucraina invasa allo sterminio criminale di Gaza, al Libano e agli altri cinquanta conflitti armati esistenti nel mondo mentre vi parlo.
Ora che il lavoro non è più ciò che sostiene la nostra Repubblica e neppure la dignità delle persone, ed è messa in dubbio la stessa universalità dei diritti fondamentali come la salute e l'istruzione. È nel presente che le parole della Costituzione sembrano sconosciute ai più ed è minacciata l'unità della Patria, con riforme costituzionali pericolose che da un lato dividono il Paese e, dall’altro, la centralità del Parlamento viene svilita a vantaggio del potere del Governo con investitura popolare, con evidente disequilibrio dei poteri. Oggi dobbiamo riscoprire l’impegno civile quotidiano. In ogni tempo, nella storia, è in gioco il valore umano, la democrazia, la pace e la stessa concezione della vita ed ora tocca anche a noi oggi decidere il nostro destino. Non era questo il sogno della Resistenza, della democrazia che doveva nascere, ma abbiamo la responsabilità storica di migliorare la società in cui viviamo, dobbiamo assumerla con la fiducia che tale cambiamento è possibile e che noi possiamo determinarlo con il nostro impegno quotidiano, oggi come allora. È in gioco ciò che siamo e come vogliamo essere domani; la società che vogliamo costruire insieme ai ragazzi, anche oggi presenti a questa Festa. C'è da riprendere quel filo, con coraggio, con fiducia. Con il loro stesso spirito, con la loro stessa generosità, con la loro moralità. Con il loro amore per la vita, e per il popolo. Con il loro senso del dovere. Con la loro umanità. Con la loro speranza: non aveva vinto in loro la paura. Con il loro slancio: credevano che avrebbero cambiato il mondo. Fare memoria è questo: tenerli vivi con noi. È questo il loro messaggio oggi: non rassegnatevi alla stanchezza, all'indifferenza. Il mondo può essere cambiato. Cambiatelo ora!
Questa Repubblica perché non ci è stata donata su un piatto d’argento, è costata vent’anni di lotta contro il fascista, due anni di guerra di liberazione. Quanti partigiani e civili caduti, quante persone hanno sacrificato la loro gioventù in carcere o al confino, quanti giovani o meno giovani sono caduti lungo il cammino verso la democrazia.
Ora tocca a noi, non esistono più scuse né alibi!
Viva la Liberazione,
Viva la Resistenza,
Viva Roccabianca,
Viva la Repubblica italiana
ADRIANO CONCARI
PRESIDENTE ANPI BUSSETO
XXVAprile Busseto
Non ci dovrebbe essere bisogno che sia Re Carlo d’Inghilterra a ricordarci l’eroina della Liberazione Paola Del Pin, il suo coraggio, le sue gesta in accordo con gli Alleati durante la II Guerra Mondiale. [...]
[...]
Egli ci ricorda anche i valori che stanno alla base della Resistenza e che sono il fondamento della nostra Costituzione repubblicana, valori di libertà e democrazia profondamente radicati nella formazione dell’Europa Unita. Rammenta pure per chi se lo dimentica il contributo delle formazioni partigiane al fianco dei Liberatori. Infine onora l’accoglienza generosa del popolo italiano dei soldati alleati sfuggiti alla cattura nazifascista.
L’Italia non ha mai fatti i conti fino in fondo col Ventennio fascista e con la scrittura delle sue pagine buie, a partire con l’altra Resistenza, cioè l’internamento dei militari italiani dopo l’8 Settembre 1943, gli I.M.I., la cui tragedia è stata affrontata con rigoroso approfondimento storico in primis da due studiosi tedeschi, Gerhard Schreiber e Gabriele Hammermann. Il che è tutto dire.
Dovremmo essere noi Italiani a portare fino in fondo ciò che sta scritto nella nostra Cost-tuzione e che ancora oggi facciamo fatica a realizzare, cioè che, al di là della pietas che accomuna tutti i caduti in guerra, il nostro Paese nasce dalla vittoria della democrazia sulla dittatura. Per chi ancora oggi si ostina a ignorare il significato del 25 Aprile, facciamo no-stre le parole del Presidente dell’ANPI Pagliarolo che afferma: “C’è il tentativo sbagliato di attri-buire il 25 Aprile a una sola, limitata parte politica. Questa è una festa di parte, è vero: ma dalla parte della repubblica, delle fondamenta della società italiana, di noi tutti, della stragrande maggio-ranza dei cittadini italiani che si dicono antifascisti”. La Resistenza è il pilastro del Paese, il simbolo di una Repubblica che ripudia guerra, fascismi e oppressione. La Liberazione non è solo anniversario, ma memoria viva. Nel presente.
Resta, osserva Paolo Pezzino in “Andare per i luoghi della Resistenza”, appena edito, un punto fermo: se alla resa dei conti «l’Italia poté mantenere la propria sovranità statale, diversamente dalla Germania, nonostante le gravissime responsabilità del regime fascista nello scoppio della guerra, fu anche per merito delle minoranze impegnate nella Resistenza, e per l'opera dei Comitati di liberazione nazionale (...). Una resistenza soltanto passiva avrebbe aggravato le condizioni di pace imposte al Paese, rendendo gli Alleati gli unici arbi-tri del destino politico italiano».
Per fortuna a Busseto la memoria viva di questi avvenimenti rimane a distanza di 80 anni della fine della guerra e di 50 anni dell’erezione del Monumento ai Caduti per la Libertà, fortemente voluto nel 1975 da nostri partigiani ancora viventi allora.
Va in questa direzione la Mostra “Busseto liberata - Resistenti, internati, popolazione civile: volti e protagonisti, un interessante itinerario che ripercorre le varie fasi della Re-sistenza e del primo dopoguerra nel territorio bussetano attraverso immagini, video, ritratti fotografici, pubblicazioni a stampa, manifesti d’epoca, dipinti e sculture.
Essa si compone di quattro Sezioni, Resistenza, Altra Resistenza, Busseto in guerra (1943-45), L’immediato dopoguerra.
Allestita in Biblioteca dalla Fondazione Cariparma in collaborazione con ANPI di Busseto, in-vito caldamente a visitarla (ogni Sabato pomeriggio è possibile farlo fino al 27 Settembre).
Informo inoltre che in Piazza Verdi è presente il gazebo ANPI, al quale potete accostarvi per informazioni sulla nostra Associazione, una delle più importanti del Terzo Settore cultu-rale, e per avere materiale illustrativo sulle nostre iniziative (pubblicazioni, viaggi della memoria, conferenze).
La giornata della Liberazione terminerà questa sera alle 21,00 al Teatro Verdi con lo spettacolo di e con Beppe Casales “400”, che affronta un tema di grande attualità, che è quello del cambiamento climatico.
25 Aprile ora e sempre. W la Resistenza, W l’Italia!
AMBRA LAZZARI
PRESIDENTE ANPI CORNIGLIO
XXVAprile Corniglio
Buongiorno a tutte e a tutti,
oggi celebriamo il 25 aprile, giorno della Liberazione dal nazifascismo, giorno di festa, di memoria e di gratitudine. Non è solo una data nel calendario: è il simbolo di un popolo che ha scelto la libertà, la dignità, la democrazia. [...]
[...]
Quella libertà non fu un dono. Fu una conquista. Costò il coraggio, la sofferenza e spesso la vita adonne e uomini che, da ogni parte d’Italia, si unirono nella Resistenza. Diverse le storie, diverse le ideologie, ma un unico sogno: liberare il Paese dall’oppressione, restituirgli un’anima. È da quell’unità, da quella pluralità che seppe unirsi, che nacque la nostra Costituzione. E con essa, la democrazia, il suffragio universale, e per la prima volta, il voto alle donne.
Proprio in questo spirito, oggi voglio condividere due citazioni, due pensieri che racchiudono il senso profondo di questa giornata.
La prima è di Papa Francesco: 'Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra."
La seconda, del partigiano Arrigo Boldrini, nome di battaglia “Bulow”: "Abbiamo combattuto per la libertà di tutti; per chi era con noi, per chi non c'era ed anche per chi era contro."
Queste frasi non hanno solo un valore intrinseco. Erano su due striscioni esposti il 23 aprile a Salsomaggiore, che sono stati rimossi nel corso della prima notte. Lascio a voi gli aggettivi per descrivere chi ha compiuto questo gesto Oggi qualcuno invita a "festeggiamenti sobri".
Ma come si può essere sobri nel celebrare una libertà che è stata strappata con il sangue, con la fatica, con la speranza? Come si può smorzare la gioia di un popolo che si è liberato e ha consegnato quel futuro a noi, a tutti noi?
Proprio per questo, oggi le nostre voci devono farsi più forti. Più presenti. Perché ogni tentativo di silenziare questa festa è un colpo inferto alla memoria. Il 25 aprile non si annulla, non si riduce. Si onora. E si vive.
Questa è una giornata di festa. Di gioia. Di libertà. E noi siamo qui per dirlo forte, per ricordarlo insieme, per portarlo nel futuro.
Viva il 25 aprile, viva la Resistenza, viva la libertà!
CRISTIANO SQUARZA
PRESIDENTE ANPI FIDENZA
XXVAprile - Fidenza
L’anniversario della Liberazione è la ricorrenza civile più sentita. Questa straordinaria data ha il potere di coniugare rigore, festa, ufficialità, sentimenti, emozioni, ricordi, memoria. E’ una meravigliosa giornata popolare che impone il dovere di riflettere sui temi più complessi del nostro tempo. Sui temi della pace, della
guerra, della giustizia sociale. [...]
[...]
Il fascismo è figlio della guerra, nasce con la guerra e finisce con la guerra. Mussolini non arriva al potere marciando su Roma. I suoi 20.000 fedelissimi, accampati alle porte della capitale, male armati e peggio organizzati, non avrebbero mai potuto conquistare il paese da soli. Mussolini, al potere, era arrivato molto prima del famoso viaggio in treno. E vi era giunto passando dalle trincee della prima guerra mondiale alle quali il primo fascismo ruberà forma, sostanza e simboli.
La Grande Guerra irrompe nella storia sconvolgendo l’umanità. Tra il il 1915 e il 1918 perdono la vita 651.000 soldati. In poco meno di 3 anni, violenza e morte diventano aspetti della quotidianità, entrano nelle case di tutti. La guerra di massa cambia la percezione della vita. Nei campi di battaglia si attende la morte come un fatto naturale. “L’uccisione industriale di milioni di esseri” anticiperà i lager e i metodi di annientamento messi in pratica dai nazisti. E mentre intellettuali e politici esaltano la guerra come strumento di rigenerazione e purificazione, migliaia di contadini, operai, studenti, lasciano le loro famiglie per andare al fronte.
La propaganda politica di quell’epoca definiva la guerra un momento eroico, formativo, essenziale per rendere grande la nazione. I caduti sono necessari per estendere i confini nazionale e per esistere sullo scacchiere internazionale. Ernst Jünger scriveva: «La guerra ci aveva afferrati come un’ubriacatura. […] Essa ci appariva azione di veri uomini: vivaci combattimenti a colpi di fucile su verdi prati dove il sangue sarebbe sceso come rugiada ad irrorarne i fiori. “Non v’è al mondo morte più bella”, cantavamo».
Ecco, qui nasce il fascismo, sui verdi prati impregnati di sangue. Mussolini, prima favorevole alla neutralità assoluta, poi interventista, farà proprio il culto dannunziano della bella morte come antidoto contro l’inerzia civile. Tutta la parabola del dittatore è segnata dal culto della guerra. Il fascismo non prenderà mai le distanze dall’ebrezza bellica che aveva travolto i giovani allo scoppio della prima guerra mondiale. Se ne servirà e la userà per le proprie mire espansionistiche. Il 9 maggio 1936 il duce annuncia, alla folla di Piazza Venezia, la conquista dell’Etiopia. Anche il popolo italiano avrà il suo impero. A quale prezzo? La guerra viene condotta con mezzi disumani, massicci bombardamenti, criminale uso di gas asfissianti. Gli stessi italiani, che dopo qualche anno scenderanno in piazza per festeggiare la caduta del regime, intanto esultano in modo incontenibile. Addis Abeba è presa, lo spirito imperialistico del fascismo ha reso grande l'Italia nel mondo.
Attraverso il culto della guerra, il regime impone ovunque il mito della forza e della razza. Nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nei luoghi di aggregazione. Secondo i piani di Mussolini il colonialismo avrebbe dovuto condurre ad una straordinaria ripresa dell’attività industriale, delle esportazioni, dei rapporti economici con gli altri paesi.
Come ben sappiamo, la patetica illusione di grandezza causerà solo povertà e disperazione.
E’ il 10 giugno 1940 e il duce annuncia l’entrata in guerra a fianco della Germania. Stessa piazza affollata, stessi festeggiamenti. Il resto lo conosciamo: 450.000 italiani come agnelli mandati al macello.
Comprendere il fascismo significa comprendere l’uomo di oggi. Attraverso il fascismo possiamo leggere noi stessi, interpretarci, capire cosa siamo e cosa potremmo diventare. Le ragioni che hanno cambiato le singole coscienze degli anni 20 e 30, non sono poi così distanti da quelle che potrebbero cambiare anche le nostre.
La massificazione della morte e la brutalizzazione della vita nella grande guerra ha cambiato l’animo umano, lo ha abituato all’efferatezza, lo ha predisposto a nuove atrocità. Negli anni successivi al 1918 gli italiani erano assuefatti dal bellicismo. Non
a caso di bellicismo vivrà la dittatura, costituendo di fatto un ponte ideale tra le due guerre.
In questa piazza, in questo momento, stiamo festeggiamo la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Stiamo festeggiando la fine di una guerra che ha prodotto qualcosa come 60 milioni di morti. Eppure, a poca distanza da noi, si stanno compiendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Qual’è il pericolo più grande che stiamo correndo? Che si ripeta quello che è successo dopo la Prima guerra mondiale. Che ci si abitui alla guerra, che si arrivi a banalizzare la morte considerandola un dazio da pagare per mantenere una posizione privilegiata. E se dovesse succedere, questa volta non ci sarebbe un futuro per le nuove generazioni. Thomas Mann, nella prefazione delle “Lettere di condannati a morte
della resistenza europea scriveva: “L'abbassamento del livello intellettuale, la paralisi della cultura, il gerarchismo, la cieca avidità di guadagno, la decadenza della lealtà promossa da due guerre mondiali, sono una cattiva garanzia contro lo scoppio della terza, che significherebbe la fine della civiltà.”
Quello che sta accadendo in Europa e in Medio Oriente dovrebbe farci capire che l’unica alternativa alla guerra è la pace. Non esistono compromessi. La pace però va costruita, dobbiamo costruirla, insieme. La volontà di potenza che ha portato l’umanità sull’orlo del precipizio sta solo dormendo sotto le ceneri della democrazia occidentale. Per evitare che si risvegli, l’Europa deve scegliere la via pacifica.
Gli stati europei non possono vivere nell’illusione di un eterno presente, ignorando il passato e non tenendo conto dell’avvenire. Il problema reale non è inviare o non inviare armi, ma come e con quali prospettive mettere fine ai conflitti. Ogni giorno di guerra è un giorno in più di odio tra russi e ucraini, tra palestinesi e israeliani. E come si è visto, continuare a rullare i tamburi di guerra porta solo all’inasprimento dei rapporti tra gli Stati.
Vi sono due costanti nella storia delle vicende umane. La prima è che per poter giustificare una guerra bisogna creare una cultura del nemico, la seconda è che non ci può essere pace senza giustizia sociale.
Nel Mein Kampf Hitler indicava come fine ultimo la creazione di un immenso impero pangermanico per raggiungere la piena autosufficienza in ogni settore.
Dunque lo spazio vitale a est, dunque l’invasione della Russia. E come fece a trascinare tutto il suo popolo in un progetto così folle?
Semplicemente, alimentando in continuazione la cultura del nemico, avesse questi il volto di un ebreo, di un oppositore, di uno slavo, di un comunista, di un partigiano.
Quando un sistema sociale viene attraversato da una profonda crisi economica, quando le risorse scarseggiano e non vi sono soluzioni limpide a portata di mano, ecco allora che avere un nemico reale o presunto consente di veicolare le proprie frustrazioni, timori, odi e paure. Il razzismo, il germe infausto dell’indifferenza, il terrore per il diverso, sono sono stati creati in vitro dal fascismo e dal nazismo. Non possiamo ignorarlo. E questo ci tocca da vicino, per quanto sia attuale.
Che lezione ne possiamo trarre? Sono certo che per convincere i cittadini alla necessità di armarsi si debba coltivare la cultura dell’ostilità. Il primo che si arma di più e meglio, soppravviverà.
Il principio della deterrenza, secondo il quale nessuno aggredisce chi si dimostra più forte, ha dimostrato però di funzionare solo in presenza di stabili ed vasti equilibri.
Oggi non v’è alcun equilibrio e gli unici effetti della dottrina della deterrenza si stanno rivelando l’innalzamento generale del livello degli armamenti dei singoli paesi e l’indebolimento dell’assetto economico europeo.
Perché italiani e tedeschi hanno amato, condividendone la dottrina, il fascismo e il nazismo? Perché a loro è stato offerto un nemico, un capro espiatorio utile ad accrescere l'identità collettiva, ad incanalare i turbamenti sociali, a rendere più coese
e governabili le masse.
Faccio mia una domanda che si pone spesso Leonardo Boff: “Perché in quegli anni l’occidente europeo ha optato per la volontà di potenza e non per la volontà di vivere ? A questa domanda risponderei con le parole di Jaspers: L’uomo moderno ha sviluppato strumenti capaci di annientarlo, ma non ha ancora elaborato una coscienza universale sufficientemente forte da impedirne l’uso distruttivo. La nostra gloriosa Resistenza nasceva proprio dall’urgenza di elaborare una coscienza universale a tutela delle libertà individuali.
L’80° Anniversario della Liberazione, oscurato dalla scomparsa di un pontefice che più di tutti si è espresso in favore della pace, può essere una grande occasione di riflessione corale sull’importanza della memoria e su come metterla al servizio della comunità.
La Resistenza italiana aveva un solo orizzonte: la pace. Con la Resistenza si è respinto il culto della guerra e si è capito che la violenza porta solo lutti e distruzione.
Nella Resistenza c’è il sogno di un mondo nuovo, di un mondo diverso, libero e solidale. La lotta partigiana realizza una miracolosa conversione democratica. Dalla dittatura si passa alla Repubblica per libera scelta degli elettori. Da un regime dispotico, liberticida, si passa ad un regime rispettoso della volontà popolare. Passaggio questo, non affatto scontato. Grazie al sacrificio dei caduti verranno riconosciuti e garantiti i diritti inviolabili dell'uomo, come singolo e nelle formazioni sociali. Il sangue versato sulle montagne servirà a garantire a tutti i cittadini pari dignità sociale e uguaglianza di fronte alla legge senza distinzione, di sesso di razza, di lingua, di religione. Il martirio dei combattenti volontari per la libertà servirà a riconoscere a tutti i cittadini il diritto al lavoro e a promuovere le condizioni per renderlo effettivo.
Questa è la nostra Costituzione. Questo è la luce che deve illuminare il nostro cammino, una fiaccola accesa dalla Resistenza i cui valori di democrazia, solidarietà e pace dovrebbero essere, non a margine, ma al centro della società contemporanea
che pare proprio essersi smarrita.
La Resistenza, ben venga ogni eccesso di retorica, fu l’alba del riscatto. La Resistenza italiana fu intrepida lotta armata. La Resistenza italiana fu un grande moto unitario di partiti, di uomini, donne, lavoratori e lavoratrici le quali, pur non avendo diritto al voto, daranno uno straordinario contributo per la liberazione del nostro Paese. Fu l’architrave di una nuova etica. Prima di tutto, fu guerra alla guerra e lotta alla piaga dell’esasperato nazionalismo che ha prodotto la Prima e della Seconda Guerra Mondiale.
Il 25 Aprile fu ed è fede, liturgia, passione. E ci batteremo con tutte le nostre forze perché nessuno possa scalfirne la sacralità. I partigiani combattevano dal lato giusto della barricata non perché comunisti o socialisti. Nella prima fase non erano politicizzati. La Resistenza era nel giusto perché perseguiva l’obiettivo non di sovvertire l’ordine costituito, ma di rifondarlo rivoluzionando lo stato di diritto e introducendo il principio dell’uguaglianza sociale.
Non potendo fare di meglio, concludo, come era solito fare il mio Presidente, Renato Frati, salutandovi con le parole di “Arta” – Giacomo Ferrari, comandante unico dell’Ovest-Cisa: “I nostri Caduti non sono morti. Sono un fuoco che brucia; un faro che illumina; sono la fiamma viva della passione italiana. Con questa luce non potremo perderci. Avanti, amici.”
W la Resistenza, W il 25 Aprile, W la Liberazione.
VINCENZO ZILIOTTI
PRESIDENTE ANPI FONTANELLATO
XXVAprile - Fontanellato
1. Resistenza Europea
1.1. Oggi celebriamo l’80esimo anniversario della fine della lotta di Liberazione, che segnò la fine del fascismo e della occupazione tedesca del nostro paese. L’avanzata delle truppe alleate iniziata il 10 Luglio 1943 con lo sbarco in Sicilia, combinata con la Resistenza nelle sue varie forme portò a questo risultato. [...]
[...]
1.2 La Resistenza non fu solo un fenomeno Italiano, ma si manifestò nelle zone occupate dagli eserciti tedesco ed italiano con movimenti di lotta popolare, politica e militare contro gli invasori esterni e contro i loro alleati interni, che a seconda dei paesi ebbe caratteristiche, finalità e anche intensità diverse.
1.3. Alla fine della guerra le lotte di liberazione nazionale portarono come in Belgio, Olanda al ritorno ai regimi democratici precedenti, in altri paesi il cambio di regime politico fu ben più significativo: In Italia si passò dalla Monarchia alla Repubblica, dal fascismo alla Democrazia, in Francia dal regime collaborazionista di Vichy alla Quarta repubblica, in Jugoslavia dalla monarchia ad uno stato federale socialista, in Grecia la guerra civile si protrasse per altri 4 anni, sino alle prime elezioni nel 1950.
1.4. Ma la Resistenza Europea non è solo la somma dei movimenti di liberazione nazionale, essa ha radici ben più profonde che stanno nell’animo delle persone. Si stimano in diverse migliaia il numero dei partigiani stranieri, rapresentanti oltre 50 nazionalità, che si unirono agli italiani nella lotta di liberazione.
1.5. Quindi la Resistenza e l’Antifascismo non sono stati un movimento esclusivamente patriottico ma anche pan-Europeo.
2. Valore politico statuale della resistenza.
2.1. Resistenza non fu solo un movimento di opposizione al nazifascismo, ma cercò di prefigurare non appena ne ebbe la possibilità di costruire un nuovo stato. Ne sono la testimonianza i territori liberi, le repubbliche partigiane che nacquero nell’estate del 1944 nelle vallate delle Alpi Orientali, nell’Appenino tosco-emiliano.
2.2. Qui nel nostro Appennino nacquero i territori liberati della Val Ceno e della Val Taro grazie alla azione congiunta della 12° Brigata Garibaldi e dei gruppi autonomi che operavano nella Val Taro. Il 5 giugno fu liberata Bardi, il 15 Giugno Borgo Val di Taro. In ogni comune liberato venne nominato un sindaco e un consiglio comunale; furono istituiti tribunali militari per l’amministrazione della giustizia, vennero prese misure per la distribuzione di prodotti alimentari e combustibili. Con la costituzione del Comando unitario Compiano, divenne la capitale dei territori liberati. La piccola repubblica controllava nodi di importanza strategica per la comunicazione, e ciò provocò da parte tedesca l’operazione Wallenstein alla quale parteciparono ben 10.000 uomini della Luftwaffe, SS, il battaglione Lupo della X Mas e gli Allievi Ufficiali della GNR, la cui scuola si trovava qua a Fontanellato. 10.000 contro un avversario stimato in meno di 3.000 unità.
2.3. L’operazione raggiunge l’obiettivo di riconquistare il controllo delle vie di comunicazione, rientrando in possesso il 20 Luglio di Borgo Taro, ma non quello di eliminare le formazioni partigiane che si disperdono nel territorio.
3. Patria, Libertà, Partecipazione
3.1. Martedì scorso abbiamo ricordato con i Rappresentanti delle associazioni Militari, le amministrazioni comunali di Fontanellato e Bedonia l’uccisione del partigiano Lino Angelotti detto “Tito”, nell’80esimo della sua morte.
3.2. Angelotti si arruolò come allievo carabiniere volontario il 12 gennaio 1943 destinato fin da subito in territorio di guerra. 5 Luglio del 1944 entrerà a far parte della Brigata Julia Ovest Cisa” e successivamente il Comando Unico Cisa Ovest.
3.3. Dopo la liberazione di Borgotaro il 9 Aprile e quella di Fidenza il 15, la sua formazione è impegnata nelle operazioni di rastrellamento della zona di pianura fino al Po in collaborazione con le altre formazioni partigiane locali. In una di queste azioni si concluderà tragicamente la vicenda del partigiano “Tito” qui nel nostro paese.
3.4. Un'altra storia con aspetti sorprendente ed inattesi, di quel fenomeno vario e complesso che fu la Resistenza. Un storia dove Patria si coniuga con Libertà grazie alla Partecipazione attiva.
4. Conclusione
4.1. In questa triade Patria, Libertà, Partecipazione troviamo i valori più duraturi della Resistenza. Nella Resistenza i cittadini hanno preso in mano la responsabilità della loro storia, sono passati da sudditi a cittadini attivi. Se antifascismo significa dire che Mussolini era cattivo, a due terzi degli italiani oggi non interessa più. Oggi l’antifascismo è il recupero della dimensione partecipante.
Il prossimo 8 Giugno avremo la possibilità di manifestare questo atteggiamento:
Diritti al Voto, con sobrietà.
Grazie e Buon 25 Aprile a tutti.
GIULIO VARACCA
PRESIDENTE ANPI FORNOVO DI TARO
XXVAprile - Fornovo di Taro
Buongiorno a tutti, con la consueta tradizionale sobrietà in uso alla nostra associazione, quella che viene usata sulle colline di Vizzola, nella Valle del Dordia, a Varano Marchesi, a Valmozzola, a Sant'Anna di Stazzema, a Montesole, ovunque è stato perpetrato una strage nazifascista ... con la sobrietà e la dovuta responsabilità, non possiamo che ricordare che oggi, XXV Aprile, è giornata di Festa. Della Repubblica. Nel suo ottantesimo anniversario [...]
[...]
Ottant’anni dopo, a Fornovo, siamo privati di tutti gli interpreti della Resistenza. Nell’ultimo anno abbiamo salutato “Mirko”, l’ultimo Partigiano; poche settimane fa ci ha lasciato “Lubino” ultimo Patriota; entrambi inquadrati nella 31°Brigata Garibaldi “Copelli”; entrambi nati nel 1924.
Perdite simboliche e civili: con loro se ne vanno i protagonisti della Storia - quella con la “S” maiuscola. Protagonisti per scelta di vita, per convinzione politica, ideale, più in generale, per aver concorso – con grande generosità - ad un destino più alto del proprio, come quello della redenzione del popolo italiano, della propria Patria; per libertà e giustizia. Spesso pagata con la vita. Oggi tutta Fornovo ne è orfana.
In questo ottantesimo anniversario, abbiamo sentito il bisogno di ricordare tutti questi protagonisti. Da oltre un anno, basandoci sulle fonti storiche quali l’Università di Bologna, l’Istituto Ferruccio Parri, l’Istituto Centrale degli Archivi, l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Parma e gli archivi del nostro Comitato Provinciale, ci siamo dedicati alla costruzione di una anagrafe di tutti quei protagonisti; fornovesi di nascita oppure per residenza.
Abbiamo trovato 177 fornovesi che hanno scelto la via dei monti. 132 sono Partigiani combattenti; 6 di questi sono donne. La “Piccola”, è la più anziana del gruppo, classe 1898, e fa parte dei restanti 45 Patrioti. L’età media dei questi Fornovesi è di 24 anni; i più giovani hanno solo 17 anni e sono in 7. 6 di loro riescono a festeggiare La Liberazione. “Gangster” (Pelosi Giuseppe) di 17 anni, è giustiziato a Vestola nel novembre del ’44. Due mesi più tardi a Varano Marchesi è torturato e poi fucilato “Gilera” (Mori Veraldo) che di anni ne fa 34. Sono, rispettivamente, il caduto più giovane ed il più vecchio del nostro paese. Ne conteremo altri 9. La miglior gioventù.
La grande maggioranza è inquadrata in due brigate garibaldine: la 12^ “Fermo Ognibene”, la 31^ “Eugenio Copelli”. Sono uomini e donne che operano al fianco delle truppe della Força Expeditionaria Brasileira durante la “sacca di Fornovo”. La “Sacca”, l’ultima grande battaglia campale della guerra sul suolo italiano.
E su questo grande episodio consentitemi un breve inciso: nel nostro paese - ancora oggi - vi è chi si prodiga nel ridurre la Resistenza ad una mera partecipazione ad eventi bellici, peraltro, offuscandone pure la portata. Posto che chi pone questioni di questa natura soffre evidentemente dell’incapacità di riconoscere il significato politico, morale e salvifico della Resistenza e dell’Antifascismo, vogliamo ricordare che a fianco degli uomini del Maresciallo Mascarenhas e del Colonnello De Mello – che in quest’ultima battaglia lasciarono altri 5 caduti per la nostra Libertà e per i quali ancora oggi ci inchiniamo – erano schierati 2.761 tra uomini e donne, facenti parte della neonata divisione Partigiana “Val Ceno” alla guida del Comandante “Trasibulo” (prof. Ettore Cosenza). Tra queste fila, i caduti furono 15. Caduti di un esercito popolare composto da tutte le classi sociali, da tutte le principali forze politiche Antifasciste: cattoliche e comuniste, liberali e socialiste, azioniste, anarchiche fin anche monarchiche in marcia per Libertà e riscatto; per la Pace e la giustizia sociale; per un mondo libero dal fascismo. Un popolo che va sotto il nome di Resistenza.
E meriterebbe un altro corposo approfondimento quello straordinario capitolo che va sotto il nome di Umanesimo Contadino, che nel nostro territorio, in queste vallate, sostenne il movimento Partigiano dall'Armistizio in avanti, capace di sorreggere e proteggere il movimento partigiano. Una grande e sincera rete di solidarietà, spesso sostenuta dalle donne dei nostri borghi, delle nostre campagne, di cui non si è parlato ancora a sufficienza; una rete meritoriamente insignita della medaglia d’oro al valore civile, concessa alla popolazione della Provincia di Parma per il sostegno decisivo dato alla Resistenza.
A ottant’anni da quegli avvenimenti come ANPI abbiamo voluto ricordare quella generosità e solidarietà straordinarie, attraverso un nuovo monumento dedicato ai Resistenti del nostro borgo.
Consentiteci di dire grazie all’amministrazione Zanetti che ha approvato questo progetto oltre un anno fa; grazie all’amministrazione Grenti che lo ha portato avanti sostenendolo fattivamente; grazie al generoso supporto delle Fam. Conversi, Cavalli, Bertoli, Contini, Magnani, all’amico Paolo Pelosi. Grazie a tutti per l’aiuto decisivo a favore della storia partigiana del comune di Fornovo.
Un monumento in pietra a simboleggiare le fondamenta antifasciste del nostro paese, della nostra Repubblica; disposto nella piazza antistante il Municipio a testimoniare l’indissolubile percorso – quel filo rosso - che lega Resistenza, Costituzione, Istituzioni democratiche. A fianco del monumento della “Sacca di Fornovo” a riunire idealmente i compagni d’armi di un tempo e l’eterno legame tra le Brigate Partigiane e le truppe Brasiliane della FEB.
Un monumento di nomi che ci sollecitano a ricordare quelle tensioni, quegli ideali, quei sacrifici. Nomi capaci di scuoterci come quando ancora in vita, ci ricordavano: "Cittadino, abbiamo lottato, sperato, sofferto. La nostra storia ti riguarda perché i nostri ideali, oggi, vivono in te"
Cittadino ...
Forse per capire semplicemente cos’è la Resistenza si potrebbe analizzare questa parola. In Italia, al termine della guerra, a questa parola su aggiunge un significato: al “geografico” abitante di un luogo - appunto la città - grazie alla Resistenza, “cittadino” diventa colui che partecipa alla vita politica della comunità; cittadino come il soggetto della “res pubblica”.
Non è più oppresso dal fascismo, non è più suddito di una Monarchia complice e vile, ma addirittura titolare di diritti, di sovranità !
Non so cosa possa aver significato per un ragazzo di 17 anni, che ha conosciuto solo il fascismo, esercitare in LIBERTA’ il proprio ideale politico, ma deve essere stato bellissimo !
Diritti ed anche doveri: al cittadino si chiede di contribuire attivamente al funzionamento della propria comunità, della propria Patria, partecipando in modo solidaristico alla vita politica, economica e sociale. Comunità nella quale sono garantiti – sempre - dignità, uguaglianza e libertà.
Libertà anche alla critica ed al dissenso.
Nella Costituzione, all’art.3, è presente, in modo potentissimo, una dichiarazione di uguaglianza sostanziale per tutti noi. Non basta dire che siamo tutti uguali in modo formale: se vogliamo libertà e democrazia, non possiamo fare a meno che vincere ostacoli quali la povertà, l’ingiustizia, la discriminazione, la diseguaglianza. In altre parole: non una statica uguaglianza di principio, appunto formale, ma un impegno continuo, quotidiano, a rimuovere concretamente quegli ostacoli che rendono l’uguaglianza una finzione. E qualora questo comando politico venga disatteso allora, sì: la critica non solo è garantita, ma è necessaria.
Critica, polemica, dissenso ...
Ad alcuni, purtroppo anche nelle istituzioni, sono concetti insopportabilmente fastidiosi, tanto da spingerli in pericolosi tentativi di trasformazione del nostro paese. Magari con l’adozione di un semplice decreto legge che - per il bene della sicurezza - introduca limitazioni al rispetto di diritti fondamentali come la libertà di espressione e di manifestazione, tanto da sollevare forti preoccupazioni da parte del Consiglio d’Europa.
E si resta pietrificati se alle apprensioni dell’alto commissario per i diritti umani, Michael O’Flaherty, che rivolgendosi al Senato italiano chiede sostanziali modifiche a garanzia del rispetto della libertà di espressione, la seconda carica dello stato abbia l’ardire di rispondere: “inaccettabile interferenza”. Con la tranquillità e pacatezza che ci appartiene – ma la necessaria fermezza – temo sia lecito domandarsi se una figura apertamente schierata, possa incarnare con equilibrio e imparzialità il ruolo di garante che una carica istituzionale impone
Un repubblica viva, ha bisogno della partecipazione attiva alla vita pubblica di tutti i cittadini, perché questa è l’elemento vitale della democrazia, e si aggiunga a chiare lettere che la critica, la polemica, fin anche il dissenso non minano la stabilità delle istituzioni: la rafforzano ! Una cittadinanza vigile e critica è il miglior antidoto contro ogni deriva autoritaria, mentre viceversa una cittadinanza silenziosa è vulnerabile;
Con preoccupazione è necessario constatare che la maggioranza di noi - purtroppo anche nelle giovani generazioni - sembra venir meno il doveri alla partecipazione. Vive una sorta di illusione nella quale la Democrazia, insieme a Libertà, Pace, non sono che benefici acquisiti, privilegi, di eterna durata. Non di rado segue disillusione, fatalismo, rassegnazione ...
Come cittadini, come corpo sociale, nelle associazioni, nei movimenti, nei partiti, nelle istituzioni dobbiamo contribuire a vincere questa terribile ed errata concezione. E dobbiamo farlo urgentemente.
Il mondo intorno a noi sta cambiando rapidamente. Tanto vi sarebbe da dire, ma vorrei concentrarmi su di una parola che sta ritornando prepotentemente nel dizionario degli stati: GUERRA.
Purtroppo a questa parola, a questa agghiacciante possibilità, sembra esservi una sorta di normalizzazione: in troppi si stanno abituando, nonostante le tragedie. Alcuni dati dei 4 conflitti ad alta intensità oggi nel mondo, non dimenticando che ne esistono altri 55 ...
Nel conflitto ucraino i morti, sui due fronti, sono circa 300.000; in Palestina ai 1.500 cittadini israeliani assassinati il 7 ottobre 2023, si aggiungono oltre 51.000 palestinesi, di cui oltre la metà donne e bambini. In Sudan, uno degli stati più poveri della terra sono morte in 15 mesi circa 150mila persone; i profughi sono 11 milioni. Del Myanmar abbiamo pochissimi dati, genericamente si parla di decine di migliaia di morti e milioni di sfollati. Non lo sappiamo. Non lo sappiamo perché non esistono dati ufficiali. Quello che sappiamo, che abbiamo imparato, è la definitiva scomparsa delle Nazioni Unite dalla politica internazionale: la fine del multilateralismo. Ed in queste condizioni la guerra viene spacciata orrendamente come possibilità accettabile.
E’ la III guerra mondiale a pezzetti come ricordava Papa Francesco. Ed è bene ricordare, anche in questi giorni, soprattutto in questi giorni omaggiato dai potenti della terra, la sua solitudine nell’evocare la Pace, la diplomazia e la condanna della corsa al riarmo; la sua denuncia per questa tragica assurdità e la precipitazione del mondo verso l'abisso. Denunce che – laicamente – appartengono a tutti i Pacifisti, Democratici, più in generale a tutti antifascisti che debbono essere portate avanti ancora e ancora, altrettanto urgentemente.
Sono di questi giorni i dati economici per il raggiungimento del 2% di PIL per spese militari: altri 11 miliardi. Meno chiaro è dove sarà necessario tagliare: sanità ? università ? enti locali ? Ma potrebbero – addirittura - non bastare. Michel Rutte segretario generale della Nato, ci ricorda che “ora serve molto di più del 2%. I Paesi europei spendono il 25% in media in welfare, ma abbiamo bisogno di una piccola parte per la difesa”. Alle richieste del segretario della Nato sembra allinearsi la nostra Europa, che colpevolmente incapace di mettere in campo la diplomazia, propone il piano Rearm Europe/Prontezza 2030, procede ostinatamente nella direzione contraria la ricerca di spazi per la di pace. Più diretta è l’alto rappresentante per la politica estera UE Kaja Kallas per la quale è opportuno prepararci alla guerra con la Russia, mentre Hadja Lahbib, commissaria europea per la Gestione delle Crisi, promuove un video nel quale spiega come dotarsi un "kit di sopravvivenza" per affrontare le prime 72 ore di una crisi, come attacchi armati. Il parlamento europeo non vuol essere da meno: all’art.164 e 167 della risoluzione del 2 aprile 2025, nella quale si prevede di mettere a punto programmi educativi con inseganti preparati da presentare in scuole e nelle università e formare i nostri giovani attraverso anche esercitazioni militari e giochi di ruolo al fine di prepararli a nuovi conflitti .
E’ Purtroppo si potrebbe proseguire con allarmanti allusioni all’utilizzo di armi atomiche oppure con grottesche minacce di invasioni della Groenlandia.
E’ la vertigine. E’ l’orrore
Ottant’anni fa 177 ragazzi e ragazze di Fornovo, del nostro paese, abbracciarono la lotta di Liberazione. Furono capaci di Resistere nonostante l’orrore. Capirono che era calpestata l’umanità, che essa andava difesa. Con loro vinse l’Umanità e la promessa di un mondo nuovo ...
E allora, di nuovo siano nostre le parole di Luigi Longo (Gallo):
“Non solo per cacciare i tedeschi e i fascisti, ma per risanare e rimodernare tutta la vita politica e sociale che noi lottammo e soffrimmo ...”
“... e spetta ancora a noi fare in modo che certi articoli [della Costituzione] non rimangano lettera morta, inchiostro sulla carta. In questo senso la Resistenza continua” come ancora ci ricorda Sandro Pertini !
Per questo anche ottant’anni dopo, vale ancora il loro insegnamento, il loro monito, contro ogni fascismo, per Libertà e Pace.
ORA E SEMPRE RESISTENZA,
Viva l’Italia,
viva il XXVAprile
GIULIO VARACCA
PRESIDENTE ANPI FORNOVO DI TARO
24 Aprile - Fornovo di Taro - Cinema LUX
GENOEFFA COCCONI - I miei figli, i sette fratelli Cervi
Domani sarà XXV Aprile
E' la data della Liberazione di Milano, commemorata come la Festa della Liberazione in tutta Italia, e simboleggia la fine del fascismo e dell'occupazione nazista. Ricordiamo anche che ottant'anni fa, la giornata del 25 aprile, non è ancora la fine della guerra in Italia. Si combatte ancora a Torino, Venezia (saranno liberate il 28). A Fornovo e Collecchio sta per cominciare la "sacca": è l'ultima grande battaglia campale della seconda guerra. [...]
[...]
E ricordiamo anche che la "sacca" è anche uno dei casi in cui i partigiani italiani, già impegnati nella Resistenza, sono uniti come "esercito popolare" con le forze alleate (FEB). Il 26 si conclude la liberazione di Genova (iniziata il 23) e mi piace ricordare le parole di un resistente membro del CLN genovese, Paolo Emilio Taviani: «Per la prima volta, nel corso di questa guerra, un corpo d'esercito agguerrito e ben armato si è arreso dinnanzi a un popolo».
Un popolo. Quella della Resistenza è dimensione popolare. Una storia collettiva, di lotta e opposizione, di vittoria e lutti drammatici, che coinvolse un'ampia parte della popolazione italiana, con straordinaria pluralità di forze politiche, di classi sociali, territori e ideologie. Un procedere unito, da nord a sud, per Libertà e Riscatto, per la Pace contro guerra e fascismo. Una marcia per il futuro: perché appartiene e ci attende. E' la marcia degli uomini e delle donne della Epopea della Resistenza.
Sono gli uomini e le donne che sono costretti ad imbracciare un fucile per necessità e giustizia. Sono gli uomini e le donne che - senza imbracciare un fucile -aiutano i ribelli, anche in questo caso per necessità e giustizia.
Uomini e donne Documenti come quello che vedremo questa sera ci ricordano che la storiografia, purtroppo, solo recentemente ha reso il giusto tributo alle donne della resistenza, combattenti o meno. E' bene ricordare che le donne fino alla guerra non votano; è sconveniente mangiare nello stesso momento con un uomo (fosse anche il marito); si vive ancora - e duramente - la sottomissione al patriarcato ed i pregiudizi tipici dell'Italia Fascista.
Anche per questo si ribellano, pretendendo il loro giusto protagonismo dalla storia. Resistere è emancipazione. Resistere è libertà come ci ricorda il bel libro di Benedetta Tobagi.
Le donne partigiane sono le uniche «volontarie a pieno titolo nella Resistenza». Non sottoposte ai bandi di reclutamento -quindi non obbligate alla fuga, al doversi nascondere -aderiscono per pura scelta. Mai semplici figure di supporto, ma protagoniste attive che ricoprirono ruoli cruciali e pericolosi, contribuendo in modo significativo al successo del movimento partigiano. 7 sono le donne combattenti nel movimento partigiano fornovese.
E poi ci sono le donne di cui si è parlato ancor meno. Sono quelle delle nostre campagne, del nostro appennino. Quelle donne che a pieno titolo guidano quello che a me piace definire come l'umanesimo contadino. Un nuovo umanesimo, di solidarietà, pace, giustizia che diventa pilastro e sostegno del movimento partigiano. Un umanesimo giocò un ruolo cruciale nella lotta contro l'occupazione nazifascista. Contadini e contadine che non furono solo spettatori passivi, ma veri e propri attori della Resistenza, offrendo rifugi, cibo e informazioni ai combattenti- partigiani.
Le donne contadine come cuore pulsante di questo supporto che animava e reggeva la lotta partigiana. Reggeva: non è un termine a caso.
Nella nostra terra, lungo la via Emilia, nelle campagne attraversate dal Po, esiste un termine che descrive e colora queste donne: REZDORA, la reggitrice: del quotidiano, della casa, della famiglia ed anche di solidarietà, di comunità, di opposizione alle ingiustizie. Donne magari silenziose, ma capaci con coraggio - anche senza dover imbracciare le armi - di Resistenza civile opponendosi agli occupanti, ai fascisti nascondendo i combattenti e mantenendo viva la speranza.
Questa sera, grazie alla disponibilità e sensibilità degli amici del cinema Lux, al Circolo Arci Guatelli, al Patrocinio dell'Amministrazione Comunale, ad Aleo Film, conosceremo la storia di una di loro:
Genoeffa Cocconi
Una donna emiliana, Contadina, fervente credente
madre di sette ragazzi
Come loro partigiana
SONIA CARLONI
PRESIDENTE ANPI MEDESANO
XXVAprile - Medesano
Salutiamo le Autorità civili, militari, religiose, le associazioni di volontariato e la cittadinanza. Oggi, nel cuore di questo 80° Anniversario della Liberazione, ci ritroviamo insieme per
celebrare una data che è fondativa della nostra Repubblica, che è simbolo di speranza, lotta, e riscatto: il 25 aprile 1945. Una data che ha segnato la fine di un incubo: la liberazione
dal fascismo e dal suo regime liberticida, il riscatto della dignità di un popolo oppresso e la fine della guerra. [...]
[...]
Per ottant'anni, il 25 aprile è stato e sarà sempre il fondamento di un'idea di Italia libera, democratica e giusta. E ancora oggi, dopo otto decenni, quella data ci parla, ci interpella e ciricorda le radici profonde della nostra libertà. Nel cuore dei venti mesi di Resistenza, ci sono stati giovani, operai, contadini, intellettuali (donne e uomini) che hanno sacrificato tutto, finanche la propria vita, per restituire all’Italia la
dignità e la libertà che il fascismo aveva negato. Hanno attraversato paure e sofferenze, subito violenze, costrizioni, esilii e carcerazioni.
La maggior parte di loro sono nati e cresciuti sotto una dittatura violenta (verbalmente, psicologicamente e fisicamente) che con lo strumento della propaganda cercava di soggiogare le loro menti, di imbrigliare la cultura e l’informazione. Che ben prima dell’alleato tedesco parlava già di razza, che faceva vanto delle conquiste coloniali ottenute per mancanza di capacità e mezzi con metodi, come i gas, fuori dalla legalità di allora. Che si è prima alleato e poi dovuto sottomettere alla Germania di Hitler.Quei giovani e quelle giovani hanno però saputo interpretare lo spirito di ribellione all’oppressione che è maturato in loro e hanno scelto di mettersi al servizio di un ideale più alto, la libertà di un popolo.
Tra loro Irma Marchiani (Anty) 33 anni, commissaria e poi vicecomandante della sua formazione di stanza a Modena. Medaglia d’Oro al valor militare.“Mia adorata Pally, Sono gli ultimi istanti della mia vita. Pally adorata ti dico a te: saluta e bacia tutti quelli che mi ricorderanno. Credimi non ho mai fatto nessuna cosa che potesse offendere il nostro nome. Ho sentito il richiamo della Patria per la quale ho combattuto: ora
sono qui fra poco non sarò più, muoio sicura di aver fatto quanto mi era possibile affinché la libertà trionfasse. Baci e baci dal tuo e vostro Paggetto. Vorrei essere seppellita a Sestola.”
Venne fucilata nel novembre 1944 e quelle che vi ho letto sono le sue ultime parole.Viviamo un tempo complesso, attraversato da tensioni geopolitiche profonde che mettono a dura prova la pace e la stabilità internazionale. Il mondo, già provato da crisi
economiche, cambiamenti climatici e instabilità sociale, è oggi segnato da conflitti aperti che coinvolgono popoli, identità e interessi strategici. Il conflitto in Ucraina – scoppiato nel 2022 con l’invasione russa – continua a mietere vittime, a distruggere comunità e a ridisegnare gli equilibri in Europa e nel mondo. È un conflitto che interroga l’intera comunità internazionale sul valore della sovranità, della libertà e del diritto internazionale.
Il conflitto tra Israele e Hamas ha poi riportato al centro dell’attenzione globale una delle più
dolorose e irrisolte ferite del nostro tempo: quella del diritto all’esistenza del popolo e dello
Stato palestinese e la sicurezza dello Stato d’Israele.
Una crisi che tocca le coscienze di ciascuno di noi: lo sterminio di una popolazione sta avvenendo in uno sconcertante silenzio internazionale.
In particolare, il silenzio di Italia e dell’Unione Europea davanti a ciò le condanna ad una incancellabile responsabilità storica.
Se nemmeno i civili, i bambini, gli organismi di soccorso internazionale sono al riparo dalla barbarie, interroghiamoci verso quale direzione stiamo andando come umanità.Altri scenari di tensione, seppur meno visibili sui grandi schermi, restano drammaticamente attuali: dallo Yemen al Sudan, dal Sahel africano alla regione del Nagorno-Karabakh, fino alle crescenti tensioni nell’area indo-pacifica, dove gli equilibri tra Cina, Taiwan e gli Stati Uniti assumono rilevanza globale. In questo scenario frammentato, la pace non è più un dato acquisito, ma una responsabilità da coltivare. Ogni conflitto, ogni violenza, ci ricorda quanto recuperare la forza della diplomazia sia l’unica strada volta a garantire la vita delle popolazioni civili inermi.
In questo tempo, Papa Francesco è stato una figura di riferimento morale e umana, capace di parlare al mondo con parole semplici e profonde. Con il suo sguardo attento verso chi è ai margini, ha saputo ridare centralità alla dignità della persona, alla giustizia sociale, alla cura della Terra.Ha promosso ponti invece di muri, dialogo invece di scontro, ricordando a tutti – credenti e non credenti – il valore universale dell’ascolto, della solidarietà, della responsabilità condivisa.Il suo impegno per la pace e per una convivenza più umana lascia un'eredità che va oltre ogni appartenenza. A lui il nostro rispetto, per aver saputo essere, in un tempo difficile, voce limpida di coscienza e umanità, visione critica dell'attuale scenario politico globale, evidenziando preoccupazioni per l'ascesa di poteri autoritari e per la fragilità delle istituzioni democratiche. E se parliamo di visione non possiamo non sollecitare questa nostra Unione Europea a fare tutto quanto è in suo potere affinché si torni compiutamente allo spirito del suo manifesto fondativo.
In un’Europa piegata dal fragore delle bombe e dall’ombra lunga dei totalitarismi, alcuni uomini nel 1941, confinati su una piccola isola, osarono immaginare un futuro diverso. Non si arresero all’odio, non si fecero ciechi davanti al dolore. Scrissero invece un sogno: il Manifesto di Ventotene.
Quel sogno non parlava solo di pace, ma di una nuova Europa. Non più un continente diviso da confini e interessi nazionali in lotta, ma una comunità di popoli liberi, solidali, uniti da un destino comune.
Spinelli, Rossi e Colorni ci dissero con chiarezza che la causa delle guerre non era solo l’aggressività dei regimi, ma l’egoismo strutturale degli Stati nazionali. Per questo chiesero coraggio: il coraggio di superare il nazionalismo, di costruire una federazione europea
capace di garantire pace, giustizia e libertà.
Il Manifesto di Ventotene ci ricorda che l’unità è una scelta di civiltà e che la pace non si eredita: si costruisce, giorno per giorno, con la solidarietà, con la cultura, con il dialogo. È questo il lascito del Manifesto: non un testo polveroso, ma un’idea viva, un richiamo al nostro senso di responsabilità. Perché, anche oggi, l’Europa non deve essere solo un insieme di Stati. Deve essere, come sognarono quei confinati, la patria della libertà e della dignità umana.
In tutto il mondo e anche nel nostro Paese – culla di quel manifesto di Ventotene e della nostra Costituzione repubblicana – assistiamo oggi a pericolose derive revisioniste, nostalgiche e sovraniste.
Tendenze che non solo tentano di riscrivere la storia, ma mirano a riportare indietro le lancette dell’orologio civile, sociale e culturale. Eppure, già nel 1975, Aldo Moro ci offriva una bussola etica e politica per orientare il nostro cammino:
“Intorno all’antifascismo è possibile e doverosa l’unità popolare, senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale.”
Queste parole risuonano oggi con forza rinnovata. L’antifascismo non è una memoria da custodire solo nei libri di storia, ma un principio vivo, il cuore pulsante della nostra democrazia.
È da questo valore fondamentale che nasce la Costituzione italiana, nata dalla Resistenza, che garantisce diritti, pluralismo, e inclusione. Che tiene insieme tutti, così come fu nei Comitati di Liberazione Nazionale formati da azionisti, socialisti e comunisti, repubblicani, cattolici, monarchici e liberali.
Tutti tranne chi quei valori nega: i fascisti e il fascismo.
È nostro dovere, oggi più che mai, custodire e promuovere i valori della Resistenza. Farlo non è un esercizio retorico, ma un atto di responsabilità verso il presente e verso il futuro. La speranza di un domani più giusto, più umano, nasce proprio dalle coscienze libere, dai cittadini e dalle comunità che credono nei valori universali della dignità, della solidarietà, della libertà Che non sono principi astratti: sono vite vere, persone che ogni giorno vivono sulla propria pelle difficoltà economiche, problemi di salute, mancanza di lavoro, difficoltà di inclusione. “Resistere” quindi non è solo ricordare: è agire ogni giorno per difendere l’umanità dalla disumanità.
Le generazioni attuali non sono estranee a questa responsabilità morale. Anzi, sono chiamate a raccoglierla, a trasformarla in azione. E sono soprattutto loro, a lanciare oggi le domande più urgenti. Domande che parlano di giustizia sociale, di clima, di parità di genere, di diritti civili, di accesso al sapere. Spesso
liquidate come impazienti o idealiste, queste istanze sono invece profondamente politiche. Ed
è compito degli adulti – delle istituzioni, della scuola, della società tutta – ascoltarle,
accoglierle e, soprattutto, tradurle in scelte e politiche concrete.
Ma ascoltare non basta. Serve il dialogo. Un dialogo autentico, costante, tra generazioni. Solo
dove c’è confronto nasce cittadinanza. Solo dove c’è fiducia reciproca può crescere una democrazia viva.
La fiducia, infatti, è la base di ogni progetto collettivo. Affidarsi alle nuove generazioni non vuol dire solo sperare che facciano meglio, ma riconoscere in loro la forza, la visione, il coraggio per affrontare le sfide che ci attendono. È un atto educativo, ma anche profondamente politico: è un investimento consapevole nel futuro. In questo dialogo tra passato e presente, tra adulti e giovani, c’è una sfida comune: costruire un futuro che rifletta le nostre migliori speranze e i nostri più alti ideali, così come fu per i partigiani e le partigiane. E questa costruzione inizia ora, oggi, con il coraggio di guardarci negli occhi, di ascoltarci sinceramente, e di camminare insieme.Tra i doveri del nostro tempo c’è quello, imprescindibile, di tenere viva la memoria della Resistenza. Non per nostalgia, ma per necessità. Perché le nuove forme di fascismo e autoritarismo non si presentano sempre con gli stessi simboli, ma parlano nuove lingue, indossano nuove maschere, si insinuano nei vuoti lasciati dall’indifferenza. Ed è tornando alla memoria, quella viva e personale, che troviamo la forza per guardare avanti. Torno allora alle parole di Irma, che seppe dare senso, misura e profondità al proprio sacrificio. Vorrei, anche solo per un attimo, provare a mettermi nei suoi panni. Sentire con il suo cuore, vedere con i suoi occhi.
Per Irma, per Amore, per Grillo, per John, e per tutte e tutti coloro che hanno lottato, resistito, e poi costruito un’Italia nuova, dobbiamo esprimere non solo la nostra gratitudine, ma il nostro impegno. Non basta ricordare il loro sacrificio: dobbiamo onorare i valori che ci hanno lasciato in eredità.
“Ora sono qui e fra poco non sarò più.”
Eppure, Irma è ancora con noi. Nelle parole, nei gesti, nelle scelte di chi ogni giorno si impegna per un mondo più giusto.
Sta a noi raccogliere quella fiaccola, e portarla avanti per i prossimi 80 anni e più.
Viva la Resistenza, Viva la Repubblica Antifascista !
SONIA CARLONI
PRESIDENTE ANPI MEDESANO
27 Aprile - Felegara
È con grande onore che partecipiamo oggi a questa significativa iniziativa, voluta e organizzata dalle istituzioni militari e civili brasiliane e italiane presenti, che si inserisce nel quadro delle celebrazioni per l'80º anniversario della Liberazione: un traguardo storico che segna non solo la fine di un periodo oscuro, ma soprattutto la rinascita dei valori di
libertà, democrazia e dignità umana [...]
[...]
La Liberazione dell'Italia fu possibile grazie al sacrificio congiunto di tanti: delle forze partigiane, delle popolazioni civili e, in modo decisivo, delle forze alleate, tra cui ebbero un ruolo di primo piano i soldati brasiliani della Força Expedicionária Brasileira.
Il contributo della FEB giunta da lontano per combattere sulle nostre terre, è stato determinante: il coraggio, la tenacia e lo spirito di fratellanza che animavano quei soldati sono entrati a far parte della nostra memoria collettiva.
Oggi, accanto agli amici della FEB celebriamo le stesse esperienze di lotta e di sacrificio vissute fianco a fianco dai soldati brasiliani e dai partigiani italiani. Esperienze nate dalla comune adesione a ideali superiori di libertà e democrazia che hanno permesso la rinascita democratica del nostro paese.
In un tempo in cui la memoria rischia di affievolirsi, questi incontri rappresentano un momento prezioso di condivisione e di rinnovato impegno affinché quei valori, conquistati a prezzo di immense sofferenze, non vengano mai dimenticati, ma continuino a vivere nelle coscienze delle nuove generazioni.
Grazie ancora a tutti per questa straordinaria occasione di memoria e di amicizia.
Con l'occasione siamo felici di donarvi, questa foto dove il partigiano Dialma Ampollini "Amore" è in sella alla sua motocicletta insieme ad un soldato brasiliano della FEB e lo facciamo insieme a Pamela nipote del Partigiano "Amore"
IRENE SANDEI
PRESIDENTE ANPI MONCHIO PALANZANO
XXVAprile - Monchio Palanzano
Ce la meritiamo questa libertà?
Certo. Siamo esseri umani e siamo nati liberi e uguali, la libertà è nel nostro DNA e anche nel nostro destino, se non c'è siamo pronti a morire per lei. "Libertà ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta": da Catone l'Uticense nel Purgatorio dantesco ai partigiani e alle partigiane che su questi monti hanno combattuto, durante i 20 mesi che hanno deciso le sorti di questo Paese, e sono stati inferno e paradiso insieme. [...]
[...] Calvino è riuscito a dirlo chiaramente: "Tutto il male avevamo di fronte, tutto il bene avevamo nel cuore". Tutto il male avevamo di fronte: l'inferno della dittatura nazifascista; tutto il bene avevamo nel cuore: la libertà, la democrazia, la Costituzione, sognate e sperimentate dentro l'inferno, e poi realizzate a guerra finita, o meglio iniziate a costruire, ma ancora da realizzare pienamente. La libertà è un fil rouge, è un ponte che ci lega a questi uomini e a queste donne che hanno iniziato a percorrere un cammino.
Libertà di pensiero, libertà di parola, libertà di azione. E adesso che abbiamo la libertà, abbiamo anche i pensieri, le parole, le azioni? A volte ci sembra di no, a volte ci sembra di avere un forziere vuoto e di non avere sostanza per riempirlo. A volte siamo un po' scoraggiate, perchè se le cose vanno indubbiamente meglio, cmq non vanno ancora bene (c'è ancora la guerra, anche se non proprio qui e si parla di riarmo, invece che di disarmo, eppure l'articolo 11 parla chiaro: l'Italia ripudia la guerra, e poi ci sono ancora tante ingiustizie sociali, tante disuguaglianze, tante discriminazioni). E allora bisogna tornare indietro, ripercorrere quel cammino a ritroso per ritrovare loro, loro che ci hanno regalato quella libertà, che hanno scelto di resistere, a volte a costo della vita; eroi, certo, ma loro malgrado: se avessero potuto avrebbero voluto vivere, avevano 20 anni: erano piene di vita, e invece è toccato loro di morire, è stato il prezzo da pagare per non aver piegato la testa, per non avere creduto, obbedito e combattuto, per interessi altrui, per la dittatura, per le leggi razziali, per la disumanità. È stata una scelta coraggiosa, una scelta che oggi, a distanza di 80 anni, ci ispira e dà anche a noi coraggio, ci fa ritrovare il senso. Il senso dei nostri pensieri, delle nostre parole, delle nostre azioni. Per questo abbiamo bisogno dei riti, delle commemorazioni, che non sono rituali vuoti, ma sono un concreto riportare alla memoria: questo è commemorare, riportare al cuore: questo è ricordare. E coltivare la memoria è vitale perché "l'ignoranza del passato -diceva Marc Bloch- non si limita a compromettere la comprensione del presente, essa compromette nel presente l'azione medesima". E allora se vogliamo davvero festeggiare la libertà che oggi respiriamo a pieni polmoni e riempirla di senso è qui che dobbiamo e vogliamo essere, nei municipi, che rappresentano la democrazia, per ricordare, con Giacomo Ulivi, che "la cosa pubblica è noi stessi" (e l'indifferenza è la principale alleata delle dittature), e nelle montagne dove caddero i partigiani e le partigiane perché lì è nata la Costituzione, come diceva Calamandrei. Perciò ogni anno il 25 aprile siamo davanti ai municipi di Monchio e di Palanzano e qualche giorno dopo nei sentieri dove si è fatta la storia, quest'anno andremo domenica 27 aprile lungo i sentieri tra Trefiumi e Pianadetto per ricordare il rastrellamento del luglio 1944 e visitare le epigrafi che ricordano quei giorni.
Giorni tristi e difficili. Che però non ci rendono tristi, solo più consapevoli e fieri per il pezzo di Storia che è stato scritto anche su queste montagne. Perciò continuiamo a tornare su quei sentieri, ci portiamo chi non c'è mai stato, vogliamo che anche i più giovani e le più giovani sappiano che anche qui si è fatta la Storia. Che non è stata una passeggiata ma ne è valsa la pena. 80 anni dopo festeggiamo la Liberazione con questa consapevolezza e soprattutto, come hanno fatto le donne e gli uomini di allora, continuiamo a scegliere da che parte stare.
W il 25 aprile!
FEDERICO NOTARI
STUDENTE
XXVAprile - Salsomaggiore Terme
Perché è necessario dichiararsi antifascisti
Cosa vuol dire dichiararsi antifascisti oggi
Buongiorno a tutti voi presenti.
Buona Festa della Liberazione.
Mi chiamo Federico Notari. Sono uno studente di quinta superiore e sono antifascista. Forse potrebbe sembrare scontato da dire, soprattutto in questa sede e in questa giornata di festa, in cui celebriamo l’Ottantesimo anniversario della Liberazione dal dominio nazifascista. Purtroppo, non è scontato per nulla. [...]
[...]
Mi piacerebbe poter dire che dichiararsi antifascisti, oggi, sia anacronistico, un’azione non più necessaria, un dato di fatto frutto della comprensione dei tragici errori del passato: dopotutto sono passati 80 anni dalla fine della dittatura di Mussolini. Sarebbe un sogno bellissimo. Ma rimane solo un sogno.
La verità è che il fascismo non è morto con Mussolini. Gli è sopravvissuto; ha messo radici più profonde di quanto si fosse creduto. Non è bastato l’abbattimento del fusto da parte della Resistenza partigiana. L’assenza di un processo di Norimberga italiano, com’è stato, invece, in Germania, ha permesso agli italiani di dimenticare l’appoggio dato alla passata dittatura, di dimenticare i suoi errori, i suoi crimini, e di considerare i nazisti i soli colpevoli delle leggi razziali, della guerra e delle sue brutalità. “Italiani brava gente”, si diceva.
Se una parte d’Italia si è sempre trovata a favore della lotta partigiana, ne ha difeso la memoria e le motivazioni e si è sempre definita antifascista, un’altra parte l’ha sempre delegittimata, se non addirittura disprezzata, mantenendo
una simpatia per il regime fascista e per il suo fondatore, che ha sempre amato il suo popolo e “ha fatto anche cose buone”, no?… No!
Bisognerebbe ricordarsi cos’è stato davvero il fascismo.
Il fascismo è stato un totalitarismo dichiarato, imperfetto per la forte e diffusa presenza della Chiesa in Italia e per l’identità monarchica che il Paese ha mantenuto durante il Ventennio, che non hanno permesso a Mussolini, almeno formalmente, di avere completamente tutto il Paese nelle proprie mani come, invece, fece Hitler. Ma è stato pur sempre un totalitarismo, in cui tutte le libertà e le volontà dei singoli si sono dovute piegare nella direzione imposta dallo Stato, incarnato dalla figura del Duce. Ogni opinione contraria era vietata, i dissidenti politici erano incarcerati, mandati al confino o barbaramente uccisi, le sedi dei giornali e delle cooperative devastate e date alle fiamme.
Il fascismo è stata un’“associazione a delinquere” che ha scelto la violenza per reprimere il dissenso, eliminando gli avversari politici come Giacomo Matteotti, e per instaurare il proprio regime basato sulla paura, a partire dalla Marcia su Roma del 1922 che, ricordiamocelo, è stato un colpo di Stato.
Il cuore del fascismo era la gerarchia, l’idea che ci fosse qualcuno superiore a qualcun altro, qualcuno che aveva il compito di comandare e qualcuno che aveva il dovere di ubbidire tacitamente perché inferiore. Da ciò derivano immediatamente l’ostilità e il disprezzo per la democrazia, lo sfruttamento dei lavoratori, garantito dall’abolizione dei sindacati, il maschilismo e l’oppressione dei diritti delle donne, il razzismo e il nazionalismo.
La gerarchia trovava il suo massimo spazio nella politica bellicista del fascismo, guidata dal nazionalismo e dalla xenofobia, militarizzando la società a partire dalla scuola. Non solo le antologie contenevano testi a favore del regime, come racconti di soldati, ma persino i problemi dei libri di matematica chiedevano ai giovani studenti delle elementari di fare calcoli non su mele e pere, ma sulle unità militari dislocate in Etiopia o in Libia. Le donne venivano considerate come generatrici di soldati e protettrici del focolare domestico e per questo non potevano lavorare liberamente, ma dovevano sposarsi sottostare al volere del marito. Un altro grande mezzo di propaganda bellicista era l’Opera Nazionale Balilla, all’interno della quale i bambini e i ragazzi venivano abituati fin da piccoli a marciare in colonne agli ordini di un capo. Le loro menti sono state distorte dall’ideologia militare, che le ha preparate agli orrori del Novecento, alle guerre mondiali, all’odio, alla xenofobia, ai crimini coloniali, al razzismo, al nazionalismo, all’ingiustizia.
Il fascismo non è solo questo, però. Tutto ciò (la violenza, l’oppressione e la superiorità) non potrebbe piantare saldamente le proprie radici senza un terreno fertile che le accolga e le nutra: l’indifferenza. L’indifferenza, il silenzio, il disinteresse delle persone comuni, che hanno lasciato che le cose accadessero agli altri, che hanno ignorato le rivendicazioni degli altri e i soprusi subiti dagli altri, lasciandosi lentamente strappare brandelli di libertà fino a rimanere senza, sono la chiave di volta del fascismo. Lo descrive bene un noto testo attribuito al pastore tedesco Martin Niemöller, che trovo particolarmente significativo e che non resisto a non leggere:
«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare.»
La pericolosità del fascismo è proprio che non ha bisogno di gesti eclatanti ed immediati per tornare. Non ha bisogno di una nuova Marcia su Roma. Non ha bisogno di rendersi palese tramite parate appariscenti e monumentali, in cui
l’intera popolazione è costretta a marciare inquadrata e in camicia nera. Non ha bisogno di dichiarare i propri intenti.
Per quanto spaventose, le troppe persone che continuano a dire che si stava meglio quando governava Mussolini e le manifestazioni di “camerati” che continuano a macchiare di nero le strade delle città italiane, come a Predappio o ad Acca Larenzia, pretendendo il ritorno del fascismo facendo il saluto romano (e non rendendosi conto che possono manifestare liberamente solo perché la dittatura è stata abbattuta), sono solo i sintomi più palesi e manifesti di un clima fascista.
Il fascismo più subdolo, e per questo pericoloso, agisce nell’ombra, aumentando pian piano la repressione del dissenso.
I manifestanti, spesso giovani studenti, soprattutto se pacifici, vengono manganellati, schedati e allontanati dalle città.
I sindacalisti vengono insultati e malmenati per strada.
Le persone vengono discriminate per il proprio orientamento sessuale, per il proprio genere, per la propria nazionalità.
I migranti che giungono in Italia per sfuggire a condizioni di vita infime vengono imprigionati nei CPR, tal volta deportati all’estero, dove spesso i loro diritti vengono gravemente violati.
I lavoratori vengono spesso sfruttati, soprattutto se stranieri e privi di rappresentanza.
I cellulari di giornalisti, oppositori del governo e operatori umanitari vengono hackerati, spiati e controllati, come successo con il caso Paragon.
Il Parlamento viene subdolamente aggirato tramite pericolosi decreti legge in nome della “sicurezza”.
La storia viene riscritta e le notizie manipolate: i social media, nati come strumento di comunicazione e confronto, si sono trasformati in campi di battaglia dove il controllo del pensiero avviene attraverso la selezione dei contenuti visibili, la diffusione di notizie false e l'uso mirato della censura; gli algoritmi decidono quali idee meritano visibilità e quali devono essere relegate ai margini; le notizie scomode passano inosservate, nascoste dallo scandalo del momento, che occupa ogni spazio di dibattito facendo leva sull’istinto e sulla paura delle persone; il dissenso viene screditato, ridicolizzato o sepolto sotto un mare di propaganda costruita per orientare l'opinione pubblica e normalizzare l'ingiustizia; gli utenti vengono indotti pian piano all'accettazione passiva di dinamiche autoritarie e di ogni forma e colore di totalitarismo.
Gli anti-antifascisti, che non hanno nemmeno il coraggio di chiamarsi fascisti, si sentono legittimati ad uscire dalle proprie tane e ad attaccare a viso aperto la democrazia.
Davanti a ciò, non basta non essere fascisti: è necessario essere ANTIfascisti. E dichiararsi antifascisti diventa non solo una necessità, ma un vero e proprio dovere da parte di coloro che si sentono antifascisti.
L’antifascismo non è solo un’idea politica. E’ un moto dell’animo, una spinta morale che nasce da un ribollente senso di giustizia e dall’indignazione di fronte all’oppressione, alla violenza e alla negazione della libertà.
Essere antifascisti vuol dire non rimanere indifferenti mentre altre persone vengono ingiustamente perseguitate, arrestate, deportate o uccise. Vuol dire rifiutare ogni forma di sopraffazione, di odio e di discriminazione, di qualsiasi tipo: razziale, di genere, di religione, di orientamento sessuale, di età, di disabilità, di orientamento politico. Vuol dire difendere la libertà di pensiero, il diritto alla dignità, il valore dell’uguaglianza. Vuol dire avere il coraggio di agire, di prendere posizione, di scegliere la giustizia, andare a votare quando questo ci è concesso e non lasciare agli altri il compito di prendere delle decisioni al posto nostro.
È necessario essere vigili, essere consapevoli, essere attivi. Perché ogni volta che si permette a un’ingiustizia di passare sotto silenzio, ogni volta che
si resta immobili di fronte a una violazione dei diritti, si lascia spazio a qualcosa di pericoloso.
Essere antifascisti, oggi in particolare, vuol dire anche lottare per proteggere la pace. Vuol dire ripudiare la guerra, come sancisce l’articolo 11 della Costituzione, e i nazionalismi. Vuol dire scegliere la diplomazia, la cessazione delle ostilità da entrambe le parti di un conflitto. Vuol dire ripudiare le corse agli armamenti che, storicamente, non hanno mai portato ad una pace giusta ma solo ad un’estensione dei conflitti territorialmente e temporalmente, alla morte di milioni di soldati, costretti a perpetrare dolore, distruzione e morte verso nemici, non diversi da loro se non per il colore della divisa, e verso persone innocenti, colpevoli solo di vivere nel posto sbagliato o di appartenere ad un’etnia che qualcun altro ritiene sbagliata, come avviene in Palestina e non solo.
Essere antifascisti non è complesso. Basta seguire un pratico manuale lasciatoci da coloro che hanno lottato attivamente contro il fascismo e su cui si basano le nostre istituzioni democratiche: la Costituzione della Repubblica Italiana, che ci ricorda che l’antifascismo è (o dovrebbe essere) un bene di tutti, senza distinzioni, da preservare e seguire nell’interesse di ciascuno di noi.
A partire dal primo articolo la Costituzione antifascista, ricordiamolo, ribalta l’idea della dittatura: Art. 1: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Se il fascismo è stato negazione di ogni diritto, la Costituzione è l’affermazione suprema di principi e diritti fondamentali: Art. 2:“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e Art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”
L’ho citato prima, ma non riesco a resistere a leggerlo completo:
Art. 11: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Art. 13: “La libertà personale è inviolabile”, che ha innumerevoli implicazioni, tra cui, per esempio, il fatto che oggi nessuno può essere fucilato per il solo fatto di pensarla diversamente rispetto al governo. A ciò si aggiunge l’Art. 21:“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”
Ogni libertà che oggi riteniamo scontata ci è garantita dalla Costituzione.
Per tutti i cittadini che lavorano:
Art 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro”; art 39: “L’organizzazione sindacale è libera."
Per tutti i bambini e ragazzi che ogni giorno vanno a scuola: Art. 34: “La scuola è aperta a tutti.”
Per tutti coloro che vogliono avviare un’impresa:
Art. 41: “L’iniziativa economica privata è libera…”
Per tutte le donne, che ogni giorno, ancora oggi, devono lottare per essere riconosciute tanto quanto un uomo, socialmente ed economicamente:
Art. 35: “La Repubblica italiana riconosce alla donna i diritti e le pari opportunità degli uomini.”
Per tutti coloro che hanno una fede :
Art. 19: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa”
Per tutti i cittadini maggiorenni, uomini e donne:
Art. 48 : “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto.”
La Costituzione ci è stata donata da coloro che hanno lottato per la Liberazione, dai partigiani che hanno messo in pericolo le proprie vite, che le hanno sacrificate in nome dell’antifascismo. Persone comuni, provenienti da diverse classi sociali, da diversi gruppi politici, uomini e donne, contadini, operai, studenti, soldati che hanno rifiutato di lottare per i nazifascisti, famiglie che offrirono rifugio ai perseguitati, contadini che sfamarono chi era braccato, giovani che divennero staffette rischiando tutto per trasportare informazioni e messaggi. Non era necessario impugnare un'arma per essere partigiani. Ciascuno di loro ha deciso di non voltarsi dall’altra parte, di non piegarsi al dominio del nazifascismo, di sfidare la cattura e la condanna a morte, superando la paura del regime. Bastava scegliere da che parte stare. E loro scelsero la parte della giustizia.
E’ nostro dovere ricordarci del loro sacrificio.
E’ nostro dovere difendere le libertà che ci hanno garantito e ricordare che non sono eterne.
E’ nostro dovere essere antifascisti.
ANNA PELLEGRINI
PRESIDENTE ANPI SISSA-TRECASALI
XXVAprile - Sissa
Sono passati 80 anni dalla liberazione dal nazismo e dal fascismo. Per chi è giovane come me ricordare è un dovere di riconoscenza verso i tanti uomini e donne che hanno fatto la Resistenza e insieme alle forze alleate liberato l’Italia e l’Europa da due dittature che avevano portato a guerre, distruzioni, leggi razziali, campi di concentramento e di sterminio. [...]
[...]
Il valore della democrazia, per la quale tanti hanno dato la vita, va costantemente difeso.
Il grande filosofo tedesco Karl Jaspers, si trovò di fronte all’ingiunzione del governo nazista che obbligava i professori con moglie ebrea a divorziare o abbandonare l’università. Egli che nel 1910 aveva sposato l’ebrea Gertrud cui era legato fa vivissimi sentimenti, lascio l’insegnamento e la Germania e ripara in Svizzera.
E’ una storia comune a tante ma che fa riflettere su come la dittatura nazifascista entri nella vita delle persone facendo differenze di origine, colore della pelle, sesso, razza. Si appropria delle esistenze e nostra delle relazioni. Emargina e perseguita chi è dissente. Ma vi è sempre chi accoglie e di fronte razzismo e all’olocausto vi è sempre chi mantiene vivo il senso dell’umanità e dell’esistenza.
Jaspers, dopo la liberazione rientrato in Germania, tiene un corso sulla questione della colpa. Decide di non dimenticare ma di analizzare quanto accaduto, un processo che nel nostro Paese non è avvenuto, lasciando spazio a tentativi di revisioni storiche, di altre narrazioni, di trasformazione della Resistenza al fascismo. E’ per questo interessante conoscere le figure della colpa individuate da Jaspers. Ne identifica quattro.
La colpa giuridica che si riferisce a quelle azioni che trasgrediscono la legge. Riguarda i tribunali e l’imputazione i singoli. Reati commessi a “fin di bene”,
Colpa politica che attiene in primis agli uomini di stato e coinvolge quanti appartengono a quello Stato, perché come scrive Jaspers ”ciascuno porta una parte di responsabilità riguardo al modo come viene governato”. Nessuno può sentirsi escluso dalle scelte del potere.
Fa riflettere che l’ascesa del nazismo e fascismo sia avvenuto dopo elezioni e che una serie di passaggi, brogli elettorali, forzature abbiano poi portato alla dittatura, eliminando anche fisicamente gli oppositori democratici, come Giacomo Matteotti.
Poi Jaspers identifica la colpa morale che è individuale, riferita alla propria coscienza, cui non si può chiedere di essere clemente. Le leggi possono essere disumane, nella propria coscienza non può trovare giustificazione dicendo “gli ordini sono ordini”, “ho solo obbedito”. E’ quella che Hannah Arendt chiama la banalità del male.
Questo ci porta alla quarta ed ultima colpa che è quella metafisica che investe ogni uomo che tollera le ingiustizie, le malvagità, le discriminazioni, le violenze che sono inflitte ad un altro uomo e non fa nulla per impedirlo.
“Bertolt Brecht in una poesia scrive: "Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi".
“Odio gli indifferenti” diceva Gramsci. Quanta indifferenza rispetto a quanto sta avvenendo a Gaza o in Ucraina. Numeri di morti, senza immagini, senza volti, senza storie. Quanta indifferenza rispetto ai migranti, ai poveri, agli ultimi.
E prima o poi nella vita e nel mondo tutti siamo ultimi. Una comune matrice sentimentale unisce tutti gli uomini e la terra è il bene comune di tutti i viventi. Per questo serve la pace, la capacità di comporre le divergenze e i conflitti senza guerre e spese per le armi. “Svuotiamo gli arsenali e riempiamo i granai” per nutrire i tanti che ancora muoiono di fame.
Abbiamo dimenticato e per quanto importante la memoria deve diventare futuro.
Spesso la democrazia viene compromessa da un governo che pretende di avere tutti i poteri, dall’astensionismo al voto. La dinamica democratica reale che deve vivere ogni giorno, non solo nelle istituzioni, ma nel paese, nelle relazioni tra le persone.
Come affermava da Luigi Sturzo, "La libertà è come l'aria: si vive nell'aria; se l'aria è viziata, si soffre; se l'aria è insufficiente, si soffoca; se l'aria manca, si muore". E dell’importanza dell’aria, ossia della democrazia, ci accorge quando comincia a mancare. La libertà è un diritto di tutti, senza distinzione di razza, religione, ceto sociale e opinioni politiche.
La libertà è partecipazione e responsabilità reciproca. E’ rispetto dell’ambiente e dei viventi e fa male al cuore vedere la distruzione del territorio, l’inquinamento, il cambiamento climatico e l’autostrada Tibre recentemente aperta senza compensazioni ambientali adeguate.
Aspettiamo risposte. Perché la costituzione vive nei luoghi, nelle pietre, nelle terre, nel fiore del partigiano.
Per questo il 6 giugno ricorderemo un partigiano del nostro comune, Eugenio Fontana, cui è dedicata la piazza di Trecasali.
La costituzione si fonda su un patto sociale spesso viene leso, dalla mancanza di solidarietà, dall’evasione fiscale, dal riemergere di forme gravi di razzismo, dall’odio verso le donne, le persone disabili o diverse. I diritti sono spesso sono svuotati per la mancanza di risorse e organizzazioni atte ad assicurarli.
Nel ricordarli oggi, dobbiamo rinnovare l’impegno per renderli esigibili, reciprocamente assicurati da un patto che prevede doveri.
Calamandrei ci ricorda: “Dobbiamo ambire a una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano a contribuiscano a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società.
E allora voi capite da questo che la nostra costituzione è solo in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere. “
Quanto lavoro abbiamo da compiere! In un’epoca di globalizzazione dell’indifferenza, Papa Francesco, ci ha ricordato che “la pace non è solo assenza di guerra, ma l’impegno instancabile di riconoscere, garantire e ricostruire concretamente la dignità, spesso dimenticata o ignorata, dei nostri fratelli tutti, perché tutti possano sentirsi protagonisti del nostro destino comune”.
Viva il 25 aprile, viva la resistenza!
ATTILIO REVERBERI
PRESIDENTE ANPI SORBOLO
XXVAprile - Sorbolo
Buon 25 aprile a tutte e a tutti. Ricorre oggi l’80esimo anniversario della Liberazione.
Fu il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi a decretare nel 1946 la data del 25 aprile come festa nazionale della liberazione; tre anni dopo veniva inserita nel calendario istituzionale come festività
civile. [...]
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La festa della Liberazione vuole ricordare e celebrare la resistenza politica e militare messa in atto dalle forze partigiane dall’8 settembre 1943 nei confronti del governo fascista della Repubblica Sociale Italiana e nei confronti dell’occupazione nazista. Ma chi erano i partigiani?
I partigiani erano donne e uomini, tra loro diversi per età, censo, sesso, religione, provenienza geografica e politica; erano studenti, operai, impiegati, professori universitari, ex militari dell’esercito regio che, dopo l’armistizio, non risposero ai bandi della Repubblica Sociale e si rifiutarono di combattere a fianco dell'esercito tedesco.
Alla resistenza italiana, pur essendo stata combattuta soprattutto nel nord Italia, diedero un contributo fondamentale tanti giovani del sud e tanti stranieri: in Italia furono almeno 10.000 quelli che si unirono alle forze partigiane. Significativo fu inoltre il contributo che gli italiani inquadrati nella brigata partigiana Garibaldi diedero alla resistenza jugoslava. La resistenza fu dunque un fenomeno transnazionale: esso testimonia come il desiderio di libertà che animava i partigiani valicasse i confini del suolo patrio e trovasse espressione nella lotta per la
sua conquista anche al di fuori del paese di origine.
I partigiani non lottarono solo contro l’esercito tedesco occupante, ma anche contro i fascisti della Repubblica Sociale Italiana: le camicie nere erano italiani che non si sottrassero al compito di guidare le truppe naziste durante i rastrellamenti, gli stessi che precedettero le tante stragi di civili compiute nel corso di quei venti mesi.
Erano italiani da entrambe le parti, ma le brigate nere coltivavano la vendetta e la restaurazione, i partigiani la libertà e il cambiamento.
Per questo suo carattere misto, da un lato guerra contro un occupante, dall’altro guerra civile, la lotta di liberazione Italiana non trova esempi equiparabili nel panorama europeo.
Da quella stagione di conflitto è nato un Paese nuovo, con una delle Costituzioni più belle. Nello scriverla, i padri e le madri costituenti seppero fare esperienza del proprio vissuto: per questo la Costituzione Italiana è insieme memoria del passato e progetto per il futuro, è negazione e affermazione insieme.
Scrissero che l’Italia sarebbe stata una Repubblica (e mai più una monarchia, in quanto corresponsabile, quest’ultima, di avere consegnato l’Italia al fascismo) e che sarebbe stata Democratica, perché non sarebbe mai più dovuta essere possibile una dittatura.
I padri e le madri costituenti vollero tutelare i diritti, affinché non ci fossero più discriminazioni di sesso, razza, religione, opinioni politiche; così era stato sotto il fascismo e non sarebbe più dovuto essere nel nuovo Paese delineato nella Costituzione. Sezione di Sorbolo
Il ricordo dei 20 milioni di italiani che tra il 1861 e il 1945 avevano lasciato l’Italia per sfuggire alla miseria, portò i costituenti ad immaginare un paese accogliente: fu così inserito nella Costituzione il riconoscimento del diritto di asilo per quegli stranieri provenienti da Paesi in cui vi fossero guerre, crisi climatiche, estrema povertà, persecuzioni.
Essi vollero evitare che il potere si potesse nuovamente concentrare nelle mani di una sola persona, com’era accaduto con il fascismo, così progettarono la distribuzione del potere tra organi costituzionali autonomi, in modo da bilanciarlo. Il ricordo degli orrori e delle distruzioni delle due guerre mondiali, spinse i costituenti a scrivere che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa verso altri popoli”, perché in tal modo aveva agito il fascismo con le sue guerre di conquista, combattute non per difendere ma per aggredire, non per la causa della libertà ma per togliere la libertà ad altri.
Fu riconosciuto lo strumento del diritto internazionale come modalità di risoluzione delle controversie tra Stati; quello stesso diritto internazionale che oggi, a nostro avviso, rimane l’unico strumento in grado di risolvere i tanti conflitti in corso, e l’ultima possibilità per evitare che il futuro
sia regolato solo dalla legge del più forte.
Non era ancora terminata la Seconda Guerra Mondiale quando, le stesse Nazioni che vi avevano preso parte, cominciarono a pensare ad organizzazioni con lo scopo di proteggere le future generazioni dal flagello della guerra, che per ben due volte nel corso del Novecento aveva portato indicibili sofferenze all’umanità.
Diedero così vita all’ONU, sottoscrivendo nel Giugno del 1945 la Carta di San Francisco. Lo scopo era quello di promuovere il mantenimento della pace e della sicurezza mondiale attraverso la cooperazione internazionale in materia economica, sociale, culturale e umanitaria, e favorendo lo sviluppo di relazioni amichevoli tra le nazioni. Inoltre, venne riconosciuto il diritto che “tutti i popoli hanno di determinare il proprio assetto politico, in piena libertà e senza ingerenze esterne e di perseguire il proprio sviluppo economico, sociale e culturale”.
Proprio a questo principio ha fatto riferimento il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, da vero patriota, per difendere l’Italia dalle parole dell'uomo più ricco del mondo, per ricordargli che l'Italia è un paese sovrano, padrone del proprio destino. Purtroppo però, la sua è stata una voce quasi solitaria a levarsi per presidiare confini della sovranità nazionale.
Per alcuni la difesa della patria è un principio da sbandierare solo contro i migranti, i poveri, o contro coloro che fuggono da guerre, carestie, eventi climatici estremi; è un principio di cui servirsi solo per gridare ad una inesistente sostituzione etnica. A costoro non sembrano preoccupare le intromissioni esterne che auspicano l’alterazione del sistema democratico di un Paese o la modifica di regole esistenti in materia economico/commerciale. Ogni giorno sembra sempre più venir meno quel progetto di Paese che la Costituzione aveva disegnato; un Paese che, a nostro giudizio, vive da anni una pericolosa deriva sociale, economica e Sezione di Sorbolo culturale. La precarietà non è più una condizione solamente lavorativa, ma si dilata fino a comprendere tanti aspetti della vita quotidiana. Le necessità rimangono insoddisfatte e il malessere cresce: le inevitabili tensioni generate dal bisogno abitativo, dal disagio giovanile, dalla precarietà di lavori sottopagati non sono problemi che possono essere affrontati solo sotto l’aspetto securitario, con l’aumento del numero dei reati e delle pene detentive, ma necessitano investimenti e progetti lungimiranti.
Il successo della lotta partigiana si deve al contributo anonimo di una collettività in cui ciascuno, a seconda delle proprie possibilità e capacità, ha cooperato per il ritorno all'ordine democratico. Cosa significa essere antifascisti oggi? Per la nostra associazione vuol dire essere una presenza viva nella società, essere disponibili a percorrere insieme ad associazioni, enti, istituzioni, quella via maestra fatta di partecipazione e di solidarietà indicataci dai costituenti.
Pensiamo che oggi ognuno di noi, con il proprio agire quotidiano, possa contribuire a determinare la società in cui vive: le grandi questioni dipendono sempre anche dal singolo.
Con questo spirito guardiamo ai referendum dell’8-9 giugno: votare non è solo un diritto che ci permette di esprimere in libertà e coscienza il nostro pensiero, ma è anche un dovere civico, perché non possiamo far cadere nell’oblio il sacrificio di coloro che nel passato hanno lottato, anche a costo della vita, per garantirci questa possibilità. Una nuova resistenza è necessaria: occorre respingere la diffusa retorica belligerante, il mito dell’autocrazia e dell’uomo forte, combattere i nazionalismi e il loro carico di odio e di intolleranza. Il Presidente della nostra associazione Gianfranco Pagliarulo ha detto “che la scomparsa di papa Francesco è una perdita pesantissima”: la nostra è un’associazione laica, ma ci mancheranno le sue parole, sempre grande stimolo alla riflessione. Vorremmo concludere questo intervento citando un passaggio del suo ultimo messaggio pasquale: “Faccio appello – diceva - a tutti quanti nel mondo hanno responsabilità politiche a non cedere alla logica della paura, ma a usare le risorse a disposizione per aiutare i bisognosi, combattere la fame e favorire iniziative che promuovano lo sviluppo. Sono queste le “armi” della pace: quelle che costruiscono il futuro, invece di seminare morte!”.
Auspichiamo che i “grandi” della terra che si riuniranno per il suo funerale rispondano con impegno al suo appello: questo sì vorrebbe dire onorarlo; la radicalità dei suoi gesti e dei suoi messaggi mal si concilia con la sobrietà che ci viene richiesta. Noi anche questo quest’anno saremo nelle piazze del nostro bellissimo Paese, per una grande festa popolare che inneggia alla pace, alla democrazia solidale, ai diritti.
Buon 25 Aprile a tutti!
GIANDOMENICO PEDRETTI
ASSOCIAZIONI PARTIGIANE
XXVAprile - Piazza Fanfulla a Traversetolo
Cittadini e cittadine di Traversetolo, Signor Sindaco e Autorità, prima di tutto un ringraziamento a tutti voi, all’amministrazione Comunale e alle associazioni partigiane in particolare, per l’opportunità che mi viene data di ricordare qui a Traversetolo questa data del 25 aprile, che ha avuto, ed ha, tanto significato per la mia famiglia e anche per me. [...]
[...] Quella odierna è una data non solo simbolica per la ricorrenza degli 80 anni dalla Liberazione. Essa segna un punto di svolta definitivo nella memoria della Resistenza. Il momento in cui i protagonisti diretti ci hanno ormai quasi tutti lasciato e tocca alle
generazioni che non c’erano farsi carico dei valori e del significato di quella vicenda, collocandosi nella dimensione della interpretazione storica, ma anche della comprensione dei valori che la Resistenza e l’antifascismo ci hanno consegnato, soprattutto per riferirli ad oggi e alle sfide che le nostre comunità ogni giorno si trovano ad affrontare.
La prima considerazione che mi viene di fare è proprio questa: la Resistenza mano a mano che entra nella storia, che esce dal passato prossimo e si allontana nel giudizio, non solo si spoglia di quel tanto di retorica che inevitabilmente accompagna le
commemorazioni, ma diventa anche più nitida nella sua forza ideale. Nello stesso tempo è difficile – credo specie per i più giovani - comprendere non tanto le vicende, quanto le ragioni che spinsero ventenni di mondi e classi diverse, in un’età che oggi pensiamo destinata alla spensieratezza, a ribellarsi e rischiare la vita per un paese che a molti di loro aveva dato ben poco.
Forse allora conviene, brevemente, partire da qualche storia di quegli anni. Ne ho scelte tre, a rappresentare idealmente sia chi partecipò alla lotta partigiana direttamente, sia chi, spesso più trascurato, contribuì a che i giovani ribelli non venissero travolti, fornendo riparo e assistenza. E’ una scelta arbitraria e non di valore e riassume idealmente tutti i protagonisti, noti e meno noti di quegli anni. Tutte le storie riguardano il nostro paese, Traversetolo, e devo a Marcello Orzenini un ringraziamento particolare per avermi aiutato a ripercorrerle. Il primo che vorrei ricordare è il più noto: Cesare Barozzi, partigiano Cesare, comandante del distaccamento Gemona, appartenente alla III Brigata Julia1, che con i suoi uomini penetrò per primo il 25 aprile 1945 nella città di Parma ancora occupata dai nazifascisti. Dopo furiosi scontri il distaccamento raggiunse Piazza Garibaldi e Cesare salì ad issare la bandiera dell’Italia libera sul Palazzo del Governatore. E ‘quindi con un certo orgoglio che possiamo ricordare che i primi ad entrare nella città e a occuparne il luogo più simbolico furono partigiani traversetolesi. Cesare era nato nel 1925 – quest’anno ricorre fra l’altro il centenario - era salito in montagna già nell’autunno del ’43 con le prime bande. Nei mesi successivi fu protagonista di una serie di episodi che ne mostrarono la determinazione e il carisma di comandante: a Santo Stefano d’Aveto, a Montevacà sopra Bedonia, nell’attacco al presidio di Basilicanova nel marzo ’45, nel quale risparmiò i fascisti colti nel sonno e permise loro di tornarsene a casa, dimostrando quella generosità che si fa ricordare anche più del coraggio. A differenza di altri partigiani che avevano avuto maestri nei propri padri, Cesare, che aceva il mugnaio a Rio Scuro, seppe scegliere in modo spontaneo e solitario e dopo la guerra, con un tratto che accomuna molti partigiani, tornò a una vita semplice e talvolta dura, senza chiedere né privilegi, né riconoscimenti. Anche questo per i nostri canoni può stupire. Emerge nella vita di Cesare, come in quella di molti suoi compagni una cifra di normalità, il sentimento di una stagione in cui si è fatta la cosa giusta, per volontà o per caso, e poi la vita continua, anche se rimane sempre il sereno orgoglio di quella decisione e di quelle amicizie, una solidità dell’animo che ho sempre trovato nei partigiani che ho conosciuto. Nei mesi della Resistenza si formarono luoghi che soprattutto nell’incerto fronte tra aree controllate dai nazifascisti e terre più o meno precariamente occupate dalle formazioni ribelli, divenivano spazi di riparo, nascondigli e aree di sosta. Traversetolo stava proprio in questa zona di contatto. Tra le cosiddette case di latitanza, vorrei citare qui quella di Primo Cocconcelli, padre di Lino - partigiano Willy e comandante della 143° Garibaldi2
- che si trova in Via Frascarini, presso la Termina, dove una lapide testimonia la vicenda. Qui transitarono e trovarono rifugio molti appartenenti alle formazioni partigiane, in un’attività silenziosa e non violenta, ma non per questo meno rischiosa. Un’attività ancora una volta vissuta nella semplicità delle cose da fare, senza alcuna temeraria leggerezza e inconsapevolezza del pericolo.
Così come il pericolo seppero affrontare molte donne, sia quelle che parteciparono direttamente alla Resistenza - a Traversetolo possiamo ricordare Elsa Dall’Asta (Mara) Giannina Dall’Aglio (Gianna) ed Emilia Tagliavini (Emilia) - sia quelle, ancor meno note, che aiutarono le formazioni partigiane.
Tra queste vi fu Giuseppina Ravanetti, che viveva a Cevola con tre figlie e un piccolo podere e aveva perso il marito nel naufragio di una nave militare diretta in Grecia. Anch’essa nascose nel ’44 partigiani che dovevano unirsi alle formazioni della montagna, tra cui Omero Gandini, partigiano “Filippo” che fece parte della 143esima brigata Garibaldi “Aldo”, operante nell’appennino parmense. Molte di queste storie uscirono dal silenzio lentamente, a volte grazie alla testimonianza casuale di chi ebbe l’aiuto di una notte o di una cena calda, quasi che vi fosse un certo pudore a proporsi come protagonisti. Sono storie che restituiscono l’idea di un clima diffuso, di una iniziativa di lotta non marginale e solitaria. E questo è forse particolarmente vero per Traversetolo, dove
esisteva un piccolo circuito semiclandestino degli antifascisti (PISI-Terra Nostra) con un carattere che Marco Minardi ha riassunto come Un dissenso (…) dai connotati esistenziali. Un dissenso morale prima che politico e che è probabilmente alla base dell’elevato numero di partecipanti alla lotta di liberazione dei traversetolesi, in cui figli e amici dei figli furono probabilmente contagiati da queste posizioni di coraggiosa sfida. 297 furono i partigiani di Traversetolo, se comprendiamo anche Castione che
allora faceva parte del comune di Neviano, su 6700 abitanti. Un contributo alla Resistenza che colloca il nostro paese insieme a Vigatto ai primi posti in provincia. Ripercorrendo queste vicende, dense di una banalità del bene che fa giustizia da sé di ogni retorica, ho avuto conferma che, tra i molti possibili approcci alla vicenda della Resistenza -storici, morali, politici - quello che per me è il segno distintivo della primavera italiana del ’45, quello che arbitrariamente qui privilegio, è la forza della scelta. Non rimanere inerti, non rinviare più il tempo in cui si prende in mano la propria vita e, soprattutto, il farlo insieme, con contributi grandi e piccoli, dal partigiano premiato con la Medaglia d’oro alle famiglie che, magari per una sola, ma decisiva notte, nascosero qualcuno dei ribelli, come fecero qui a Traversetolo le persone che ho ricordato prima. In forza di questo gesto, etico ancor prima che politico, si determinò -non ovunque, perché dobbiamo ricordare che la lotta antifascista armata fu un fenomeno che non riguardò tutto il Paese – un esito che sintetizza il valore fondativo della Resistenza per il nostro paese: la fusione dell’idea di libertà con l’idea di unità e di nazione. In quei venti mesi si crearono la condizioni, forse per la prima volta nella storia italiana dopo il Risorgimento, perché la nazione e lo stato potessero essere riconosciuti come patrimonio di tutti e perché l’idea di patria ritrovasse la dignità e la forza umiliati dalla dittatura.
Anche se i partigiani furono una minoranza - grande e importante, ma pur sempre una minoranza - anche se gli antifascisti del ventennio furono assai meno, anche se furono commessi errori e violenze inutili, come in ogni guerra accade, quello che si produsse
fu la nascita di una nazione, che nasceva non per i pochi che seppero farsene carico, ma per tutti.
Credo che molti partigiani avessero in fondo chiaro questo, che agivano anche per coloro che non c’erano e, soprattutto, per quelli, come noi, che sarebbero venuti dopo. E’ su questo che si fonda una comunità e una patria, sull’investimento dei padri per i figli, sulla capacità di essere, in un certo momento, quello che occorre essere, per un giorno o per venti mesi, in pochi o in tanti, perché una comunità e una nazione vivono non solo di merci e di benessere, ma di orgoglio e di coscienza di sé. In questo senso la Resistenza o è italiana e nazionale – e, vorrei dire, europea - o non sarà più, se non il ricordo per alcuni e un episodio storico per altri. Se vogliamo dirci eredi dei ribelli antifascisti che insieme e grazie agli Alleati liberarono l’Italia oggi il compito rimane far comprendere come, al di là delle divisioni di allora, ma senza dimenticarne le ragioni, la Resistenza sia stata la premessa, non l’unica, ma certamente necessaria di un’Italia libera, laica e repubblicana. Questo processo non sembra ancora concluso e si evoca spesso la necessità di una memoria condivisa. A me non sembra un termine efficace. La memoria non può essere condivisa, le storie personali continueranno a contare ed è difficile chiedere di rinunciarvi.
Caduti fascisti, partigiani giustiziati (Facio) gerarchi e criminali sfuggiti alla giustizia Ciò che si deve invece condividere è il giudizio storico e i suoi esiti politici per la democrazia italiana. Nel nostro paese alla storica difficoltà della destra a riconoscere nella Resistenza uno dei fondamenti della repubblica, si contrappone la tentazione di una parte della sinistra a farne patrimonio esclusivo e portatore di differenza insanabile. Se c’è un chiaro fondamento storico in questa rivendicazione, per il ruolo centrale che ebbero le formazioni della sinistra – ma certo non solo esse – nella lotta di liberazione, non ci deve più essere un fondamento politico, né da una parte, né dall’altra
E’ un auspicio che può sembrare ingenuo alla luce della rissosità della politica italiana attuale, continuamente percorsa da reciproche dichiarazioni di scarso senso democratico.
In realtà io credo sia proprio l’auspicio che stava nel cuore degli antifascisti e dei partigiani, e che li univa, sopra le molte altre cose che li dividevano: la speranza di un Italia civile, normale, nella quale non si dovesse più essere accusati per le proprie idee e nella quale non ci fosse motivo di trovare fuori dai nostri confini popoli da intendere come nemici.
Questo percorso non si è ancora realizzato completamente. Non siamo ancora un paese così normale da non temere la nostra storia. Non siamo ancora così sicuri della nostra democrazia da non subire la tentazione di attaccare i nostri avversari politici non per quello che dicono e fanno, ma per quello che hanno fatto altri, in altri momenti e in un’altra società.
Si parla spesso di ritorno del fascismo in Italia e si utilizza questo argomento all’interno della lotta politica, riconoscendolo spesso frettolosamente dietro una posizione avversa. Dall’altra parte si tenta di liquidare l’antifascismo come storicamente superato, un feticcio inadatto alla modernità.
Né una posizione, né l’altra aiutano a interpretare oggi i valori della Resistenza, che ci dovrebbero invece restituire la consapevolezza di vivere ancora, pur tra mille difficoltà e vuoti profondi, in una democrazia, una delle poche oggi nel mondo, dove il confronto anche aspro delle idee deve tenere sotto controllo la tentazione di delegittimare l’avversario piuttosto che contestarlo sul piano delle proposte, dei dati, dei valori. Vorrei essere chiaro su questo punto. Al governo di un paese ci possono essere forze politiche di cui non si condividono azioni e scelte e a cui ci si contrappone con fermezza. E’ quello che oggi capita a me come ad altri, sia a livello nazionale che locale. Ma questo non mi impedisce di considerare il Sindaco Simone Dall’Orto, che è qui sul palco di fianco a me, con cui mi sono confrontato dai banchi dell’opposizione nel Consiglio Comunale come il mio sindaco in quanto cittadino di Traversetolo, perché rappresenta un’istituzione fondamentale del nostro sistema democratico. Potrò avere dissenso e formulare critiche anche dure, ma rimanendo sul terreno del confronto delle opinioni e delle idee. L’istituzione deve rimanere salda ed esserlo per tutta la comunità, nazionale e locale. Certo, mi aspetto che il nostro Presidente del Consiglio Giorgia Meloni oggi sia in piazza come noi a celebrare il 25 aprile, anche se la Resistenza non fa parte della sua storia politica. Perché è questo che fanno i rappresentanti delle istituzioni in uno stato democratico: sanno riconoscere i momenti in cui essere riferimento di una comunità nazionale, e il 25 aprile è uno di questi momenti, forse il più importante.
Certo, mi aspetto che non vi sia alcuna tolleranza nei confronti delle piccole minoranze, quelle sì veramente fasciste, come Casa Pound, che vedo come un pericolo solo se sono protette dall’ambiguità delle istituzioni e che in realtà hanno spesso soprattutto l’effetto di spostare l’attenzione da problemi e scelte più critiche e scottanti prese altrove.
Se perdiamo di vista questo punto, non comprendiamo dove sta davvero il fascismo, che invece è ben presente fuori dall’Italia, ma alle porte dell’Europa. Assistiamo infatti da anni ad azioni da parte di stati sovrani, come la Russia di Vladimir Putin, queste sì riconoscibili come fascismo contemporaneo: cancellazione della libertà di stampa, eliminazione fisica degli avversari politici, interferenza e sabotaggio nelle elezioni di paesi democratici e infine, tre anni fa, aggressione militare a un popolo libero e sovrano, senza altra motivazione che l’espansione di una dittatura. Ai confini orientali del Mediterraneo, alla strategia terroristica e omicida di un’organizzazione criminale come Hamas, che non si cura delle sofferenze spaventose che infligge al proprio popolo, Israele risponde trasformando il proprio diritto di difendersi in un’operazione di annientamento sistematico della gente di Palestina, con metodi che ignorano le regole elementari di rispetto anche in guerra di civili indifesi, ospedali e soccorritori, in un orrore che sembra senza fine. E poi Iran, Afghanistan, Venezuela, Siria e un lungo elenco di altri paesi nel mondo, in una sequenza di dittature, autocrazie, democrazie solo formali che violano del tutto o in parte i diritti fondamentali delle persone. Che le vogliamo chiamare fascismo o in altro modo, la democrazia per come la conosciamo è assediata e l’antifascismo oggi mi pare che sia soprattutto la difesa delle nostre istituzioni italiane ed europee, ma in misura non minore anche il sostegno a questi popoli, se abbiamo a cuore l’eredità morale, prima ancora che politica della Resistenza.
E’ un compito che credo oggi spetti ai cittadini che formano l’Unione Europea. L’Europa, oltre alle profonde radici cristiane individuate brillantemente da Jacques le Goff, ha anche comuni radici più recenti nella lotta per la libertà contro il nazifascismo. Ma per assolvere al proprio compito di presidio della democrazia l’Unione Europea deve fare energici passi avanti, deve rafforzare la sua unità e la sua capacità decisionale diventando un soggetto politico all’altezza della sua statura economica e culturale, deve rafforzare la sua capacità di difesa sotto un’insegna comune e non frammentata, deve dare potere ai rappresentanti liberamente eletti e cessare di essere ostaggio della trappola dell’unanimità. Si ritiene giustamente che la pace sia l’eredità più importante della Resistenza.
L’Europa può, forse deve, assumersi il compito di promuoverla e cercare di ottenerla in un momento tra i più drammatici di sempre. E’ un obiettivo fondamentale, su cui si sta ottenendo però molto poco. E anche su questo vorrei esprimere il mio pensiero con chiarezza. Nessuno, con l’eccezione di chi ne trae profitto e politico od economico, può desiderare la guerra e le devastazioni che porta. Quindi non esiste una linea di demarcazione tra chi vuole la pace e chi non la vuole, ma proprio la Resistenza ci insegna che la pace a volte deve essere conquistata e la democrazia difesa. Essere genericamente per la pace manifesta la nostra aspirazione, ma non aiuta a contrastare chi la pace non la vuole e ogni giorno lo dimostra nei fatti, proseguendo i bombardamenti sui civili e rifiutando
il cessate il fuoco.
Inoltre, pace fa rima con libertà.
Non c’è pace senza libertà; c’è sottomissione, c’è silenzio, le bombe non cadono ma c’è ugualmente paura e c’è il sordo dolore del vivere in un paese dove non puoi fare dire, pensare quello che credi.
I partigiani di queste terre e chi li aiutò, Cesare Barozzi, Primo Cocconcelli, Giuseppina Ravanetti volevano la pace, ma prima ancora volevano la libertà e per questo scelsero non la via della resa, ma quella della resistenza. Combatterono senza sapere davvero cosa li aspettava, la gran parte senza averlo mai fatto prima, ma alla fine conquistarono,
per tutti noi e anche per quelli che stavano dall’altra parte, quella pace che ci ha accompagnato fin qui. Penso spesso alla grande fortuna di appartenere a una generazione che probabilmente per la prima volta nella storia millenaria di Europa non ha conosciuto la guerra. Non dimentichiamolo mai.
Ho avuto il privilegio grazie alla mia famiglia di conoscere diversi partigiani. Parlando con loro non ho mai avuto la sensazione che qualcuno rimpiangesse la fatica, il dolore e la paura che vissero, credo che ognuno avesse anche ricordi che avrebbe voluto cancellare, ma credo anche che nessuno, in fondo, avrebbe cambiato la propria giovinezza di speranza e di lotta. Per questo, ancora una volta, li invidio e li ringrazio.
RICCARDO DODI
PRESIDENTE ANPI VARANO DE MELEGARI
Saluto al XXVAprile
Oggi è un giorno di ricordo e di festa: per chi c'era, per chi non c'era e per chi era contro.
Per i nomi sulle lapidi e per gli eroi senza nome.
Per chi ha sacrificato tutto e per chi è sopravvissuto e si è rimboccato le maniche [...]
[...]
Per il Comandante Arta, che spezzò il pane e lo condivise coi prigionieri tedeschi il giorno di Natale, dopo che gli avevano ammazzato un figlio.
Per il vicebrigadiere Salvo D'Acquisto e per il carabiniere Albino Bandinelli, che condivisero il medesimo destino, seppur distanti. Il primo beato, il secondo servo di dio, grazie a Bergoglio.
Per Don Giuseppe Rossi, che ignorò il pericolo e confortò i compaesani prima di venire rapito e massacrato.
Per mamma Cervi, che capì l'importanza dello studio e della cultura nella formazione dell'uomo.
Perché chi cambia il mondo in meglio non è chi guida un esercito, chi accumula e sposta capitali, chi propaganda e uccide per trattare confini e risorse; ma chi da l'esempio per primo, chi crea ponti e comunità, chi sa trasmettere il valore della pace e della fratellanza negli uomini.
Ricordate i morti, ma ricordateli vivi.
Buon 25 aprile
(sobrio, ma anche no)