ANPI Monchio Palanzano – Piazza Maddalena Madureri

Inaugurazione di piazza Maddalena Madureri a Vairo il 20 aprile 2024

Pubblichiamo la relazione di ANPI Monchio Palanzano utilizzata a motivazione per l'intitolazione della piazza

Maddalena Madureri, appartenente a una numerosa famiglia contadina di Vairo, svolse attività partigiana in qualità di staffetta all'interno di una brigata garibaldina, la 47^, e collaborò come informatrice con la missione alleata inglese. Tali attività sono state riconosciute dalla Croce al merito di guerra in seguito ad attività partigiana, conferita il 18 ottobre 1950 (immagine 1) e dalla benemerenza conferita dal generale Alexander 1939-1945 (immagine 2). Lo scrittore e pittore Ubaldo Bertoli, partigiano “Gino” all'interno della 47^ brigata Garibaldi, l'ha omaggiata di un ritratto, conservato nell'abitazione della nipote Maria Pia Sgonichi (immagine 3). La richiesta di intitolazione di una piazza a Maddalena Madureri è legata al suo essere figura emblematica a) del cruciale ruolo femminile nella Resistenza e nella lotta partigiana b) del fondamentale apporto della popolazione locale alla lotta di Liberazione, in termini di conoscenza del territorio, supporto logistico-organizzativo, cura e sostegno [...]

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Come si evince dalle fonti orali (interviste a cura della scrivente in occasione del progetto “La valigia della Resistenza” alla nipote Maria Pia Sgonichi, alla vicina di casa Nadia Pini, al figlio del falegname di Vairo Enzo Capacchi) e da quelle scritte (M.Villa-M.Rinaldi, Dal Ventasso al Fuso; U.Bertoli, La Quarantasettesima; G.Riccò, Il comandante Juan), Maddalena Madureri fu attiva nella lotta di Liberazione dapprima con un ruolo di cura e supporto ai gruppi di soldati sbandati  dopo l'8 settembre 1943, divenuti poi partigiani; quindi come collaboratrice di ufficiali inglesi della RAF, fuggiti dal campo di prigionia di Fontanellato, a partire dal mese di novembre '43; come staffetta all'interno del Distaccamento Zinelli, comandato da Gianni di Mattei “Juan”, poi inquadrato, assieme al Don Pasquino, al Nadotti e al Cavestro, nella 47^ Brigata Garibaldi (30 luglio 1944) e infine, dal dicembre 1944, come informatrice del maggiore Holland, in qualità di infiltrata a Collagna (RE), nell'albergo Posta, dove era alloggiato un grosso contingente della Wehrmacht. 

Nata nel 1908, in una numerosa famiglia contadina (era la prima di sei figli), quando decise di prendere parte alla Resistenza non era più una ragazzina – aveva circa 35 anni – e, cosa singolare per l'epoca, non era sposata. Enzo Capacchi, che allora aveva undici anni, ha riferito in merito: “Avrà avuto più di trent'anni, era attempata. Non so perché non era sposata, non era brutta ma 'gh piazeva cmanda' [le piaceva comandare]! Era piena di coraggio. Maddalena l'era una libra [era una libera]! Una ch' la 's cavava 'l mosch dal naz [una che si toglieva le mosche dal naso]”. 

Così, questa donna “attempata”, non certo una ragazzina ma una donna matura, a cui piaceva “comandare” e non essere sottomessa – né a un uomo, né alla retorica del regime fascista – per essere semplicemente una persona libera – potremmo definirla una femminista di fatto – , pur non avendo una formazione né culturale né politica, scelse con cognizione di causa da che parte stare. 

Probabilmente fu proprio il contesto la sua “scuola”: la subalternità vissuta in quanto donna, in quanto contadina povera e in quanto montanara residente in un piccolo paese di montagna la spinse a desiderare un'emancipazione a tutto campo e a fare ciò che sapeva fare meglio da quando era nata: rimboccarsi le maniche e arrangiarsi, facendo affidamento esclusivamente sulla propria forza e sulla propria intelligenza. Dopo la scuola elementare non aveva proseguito gli studi, come succedeva allora, specie nelle famiglie numerose e prive di mezzi, e in modo particolare quando si trattava di bambine. E da ragazza, sempre seguendo una prassi diffusa per tutta la prima metà del Novecento nelle zone montane, lasciò il paese per trasferirsi in città: “andar per serva” si diceva. Maddalena non fece eccezione: andò come domestica a Milano, a casa di una famiglia benestante, a sbrigare quelle faccende che aveva imparato a svolgere precocemente a casa propria, in qualità di figlia maggiore, investita, da subito, di un ruolo di responsabilità genitoriale nei confronti dei fratelli più piccoli. Di questa esperienza la giovane Maddalena, dotata di un'intelligenza vivace, curiosa e aperta alle novità, fece tesoro: si può presumere che sia stata per lei un'occasione di ampliare i propri orizzonti e rafforzare la sua indole indipendente e anticonformista. Non sappiamo se la permanenza in città sia stata formativa anche dal punto di vista culturale o politico, quel che è certo è che Maddalena, riuscendo a mettere da parte qualcosa, fu la prima a portare a Vairo una radio, la radio “Marelli”. E forse anche la radio contribuì alla maturazione di una embrionale coscienza politica, proprio negli anni dell'ascesa del fascismo, anche se probabilmente l'antifascismo di Maddalena, condiviso all'interno della famiglia, fu più legato a un'istintiva avversione allo status quo, alla miseria e alla subalternità della propria condizione sociale.

Il modello di riferimento, secondo la nipote Maria Pia, non poteva che essere sua madre Marianna: “Di mio nonno non ho molti ricordi, era sempre via per lavoro, anche all'estero. Gli uomini, in linea di massima, a quell'epoca erano tutti via, chi era a casa era perché aveva degli impedimenti. Mia nonna, nonostante il suo analfabetismo, era abituata a rimboccarsi le maniche, nel bene e nel male e ad andare avanti”.  

Per andare avanti e cambiare il proprio destino Maddalena Madureri mise a disposizione del Distaccamento, comandato da Gianni di Mattei, la propria abitazione - un “casone” l'ha definito la nipote - a due piani: il primo ospitava la scuola del paese e il secondo la numerosa famiglia Madureri. L'edificio era collocato in una posizione strategica nell'abitato di Vairo Superiore, una posizione sopraelevata che consentiva di controllare l'arrivo dei tedeschi e quindi di segnalarne la presenza facendo suonare le campane. 

Per questo – ha ricordato la nipote – la famiglia fu minacciata e allora la nonna Marianna “usò” lei, piccola e bionda, “la tedesca”, per distrarli e confonderli, tirando fuori anche caramelle, cioccolato, zucchero, sorrisi e un fare da finta tonta, che fu strategia comune utilizzata da tante donne partigiane, che compirono imprese cruciali, anche grazie alla loro sottovalutazione da parte del nemico. Una scena apparentemente poco importante, quasi folcloristica, e invece significativa, che dà conto di come il supporto, la protezione, la cura, in sintesi, dei partigiani da parte della popolazione locale sia stata vitale e salvifica per tante formazioni, che in montagna non erano esattamente di casa e, diversamente, non avrebbero saputo come muoversi e dove rifugiarsi.

Nel caso di Maddalena Madureri è riduttivo, però, parlare solo di ruolo di cura perché le fotografie, particolarmente significativa quella con la pistola – conservata nel Museo della Resistenza di Sasso e donata, con dedica, alla vicina di casa Nadia Pini – e le testimonianze sia orali che scritte restituiscono di lei l'immagine di una autentica partigiana combattente: vestiva da uomo, con braghe larghe, una giubba militare, un fazzoletto al collo (come quello che compare nel ritratto di Bertoli), scarponi militari troppo grandi per i suoi piedi e portava una pistola con caricatore nella cintola dei pantaloni. Sul fatto di saperla usare, le testimonianze orali non hanno dato informazioni certe, mentre Gianni Riccò, nel libro Il comandante Juan, le fa dire: “Sono di Vairo, è da alcuni giorni che cerco la banda di cui tutta la montagna parla. Vengo da una famiglia antifascista, ho esperienza nella guerriglia, so sparare come un uomo e cavalcare anche meglio; spiccico qualche parola in tedesco, conosco bene la zona e ho lavorato per la missione inglese già dal novembre 1943”. 

Che sapesse realmente sparare o che si limitasse a girare con disinvoltura con una pistola è poco rilevante, quello che più conta è che con le armi aveva sicuramente dimestichezza perché spesso circolava nelle valli dell'Enza e del Cedra con borse piene, di documenti, ordini, cibo, medicine o armi, appunto, da distribuire ai compagni partigiani. La sua conoscenza del territorio e le sue indicazioni erano preziose ed erano servite ad evitare alle formazioni partigiane agguati e rappresaglie; la sua calma e il suo sangue freddo le avevano più volte salvato la vita, come quella volta che, durante il rastrellamento tedesco dell'estate del '44, un drappello di soldati nazisti, accompagnati da uomini della brigata nera, giunse a Vairo per cercarla e, nel centro del paese, si imbatté proprio in lei, che ebbe la prontezza di dire di aver visto Maddalena pochi minuti prima fuggire verso il bosco. Enzo Capacchi, rievocando l'episodio, ha ricordato: “Lei è andata su, l’andava cme ‘na levra [andava come una lepre]. Lei faceva la staffetta. Dopo forse cinquant’anni, le ho detto: «Dove ti sei fermata?». «Me n’ho gnan vist la strada, em son anda’ a loga’ drent a un cazlar a Nevian [Io non ho neanche visto la strada, mi sono andata a nascondere in un casolare a Neviano]».”

La sua prontezza la salvò anche quella volta che, dopo essere scesa a Parma a piedi per fare rifornimento di medicinali, arrivata a Cascinapiano con lo zaino pieno, venne affiancata da una camionetta di tedeschi: in un primo momento pensò che fosse la fine e poi invece – come ha ricordato Nadia Pini –  ebbe l'idea di fermarli e di chiedere un passaggio: “È salita, si è tolta lo zaino, gliel'ha passato e loro hanno caricato lo zaino senza neanche controllare. Che coraggio e che prontezza di riflessi!”.

Gianni di Mattei, nome di battaglia “Juan”, comandante del distaccamento Zinelli della 47^ brigata Garibaldi, era giunto in montagna dopo essere fuggito, durante un bombardamento aereo, dal carcere di Parma – dove era detenuto per omicidio a scopo di rapina. 

“Juan”, figura affascinante e controversa, processato e condannato dai suoi stessi compagni nell'ottobre del '44 per abbandono della posizione e sobillazione contro il Comando di brigata, ebbe sicuramente un ruolo importante nella vita di Maddalena, che, secondo quanto emerge dalle fonti, non solo lo amò, ma compì un'impresa che si arricchì nella fantasia dei montanari e diventò subito leggenda: il disseppellimento del cadavere del suo uomo e il suo trasporto in un luogo sconosciuto dove la salma ricevette la benedizione e fu dunque ristabilito l'ordine della pietà. 

Questo gesto che fa di Maddalena una novella Antigone, collocandola in una dimensione mitica e sottraendola alla sua dimensione storica, è probabilmente all'origine della damnatio memoriae che ha investito in qualche misura la partigiana Maddalena Madureri, ridotta al ruolo ancillare della staffetta di Juan e destinata a condividerne la sorte anche post mortem. 

Riportare invece Maddalena Madureri nella sua dimensione storica significa ridarle luce come figura autonoma. E l'autonomia, assieme alla forza e alla determinazione, è la caratteristica della sua personalità che emerge inequivocabilmente da ogni fonte. Intitolarle una piazza nella “sua” Vairo appare oggi come un atto dovuto, un modo di restituire il giusto onore a lei e, insieme a lei, a tutte le donne e a tutti i montanari che hanno avuto un ruolo determinante nel rendere questo Paese libero e democratico. 


inaugurazione 20 aprile 2024

Silvia Franzini (assessora del comune di Palanzano),
Ermes Boraschi (sindaco di Palanzano),
Irene Sandei (presidente ANPI Monchio e Palanzano),
Maria Pia Sgonichi (nipote di Maddalena Madureri),
Giulia Cioci (ricercatrice ISREC)

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Comitato Provinciale 12.04.2025

Relazione introduttiva di Nicola Maestri Presidente Comitato Provinciale ANPI Parma

Credo sia utile mettere a fuoco i tre grandi temi sul tavolo in questo periodo. Il primo è quello della pace e della guerra; il secondo è quello della democrazia; il terzo è quello del ruolo dell’Unione Europea nel terremoto che stiamo vivendo. Su queste tre questioni ruotano le tantissime novità degli ultimi giorni e su queste questioni dobbiamo riflettere, approfondire, decidere che fare.
Credo che dobbiamo precisare, quantomeno al nostro interno, la posizione dell’ANPI su alcuni temi che ruotano attorno a queste questioni.
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Noi auspichiamo che le trattative per la tregua – e ci auguriamo per la pace, nonostante le crescenti perplessità– vadano a buon fine nonostante la tenaglia dei due imperialismi, le evidenti forzature da parte di Trump, la condiscendenza di Putin a tali forzature, l’apparente messa in secondo piano di Zelensky. Per quanto deprecabili possano essere le forme con cui si stanno svolgendo le trattative, a me pare che il peacekeeping dei cosiddetti volenterosi, l’ombrello nucleare francese, l’ansia dell’incremento delle spedizioni di armi in Ucraina e delle sanzioni alla Russia, lo stesso piano Rearm Europe, sostituito velocemente con Prontezza 2030, per fortuna parzialmente messo in discussione persino dal Consiglio europeo, vanno nella direzione contraria non solo alla trattativa di pace, ma anche a qualsiasi de-escalation. Si continua su una linea drammaticamente fallimentare. Non solo: accenno allo sconcertante silenzio dell’Unione e dell’Italia sulla ripresa del massacro a Gaza che sta creando una nuova ondata di indignazione nel Paese e sicuramente in tutti noi. Noi rileviamo in modo sufficientemente definito la dimensione di due imperialismi, diversi per molti aspetti, ma per certi versi di analoga natura; l’imperialismo dell’America di Trump, caratterizzato da una visione proprietaria del mondo e da uno sfondo pseudo-ideologico che richiama in parte importante le teorie dell’anarco- capitalismo, cioè della distruzione tendenziale di ogni aspetto dello stato sociale e della sua sostituzione integrale con il libero mercato, oltre che della riduzione dello Stato a una politica di potenza sia all’interno che su scala internazionale, con l’abbandono degli elementi fondamentali dello stato di diritto; da ciò una visione della pace in Ucraina che abbia anche come corollario immediato gli interessi economici degli Stati Uniti e l’appropriazione delle materie prime; l’imperialismo della Russia di Putin che si muove secondo la logica dello spirito grande russo, con una visione assoluta della difesa dei confini e con una loro possibile espansione, anche in questo caso con una appropriazione delle materie prime. Entrambi questi imperialismi sono in conflitto con l’Unione Europea per varie ragioni, fra cui la forma di governo democratico dei Paesi dell’Unione. Qui l’Unione paga il prezzo di tre anni di politica sbagliata rispetto alla guerra in Ucraina, una politica che ha continuamente allontanato l’orizzonte di un possibile negoziato, lasciando campo libero a terze forze per candidarsi a mediatori del conflitto, col paradossale esito che il grande mediatore, quantomeno ad oggi, sembra proprio il Paese che più degli altri si è speso per l’acuirsi della guerra, e cioè gli Stati Uniti. Noi dobbiamo difendere la natura della democrazia rappresentativa e partecipata come si è costruita nel dopoguerra in Europa occidentale e come l’abbiamo promossa in Italia attraverso la Costituzione, di cui rintracciamo i segni nella elaborazione delle forze e delle personalità antifasciste durante il ventennio e nelle idealità della Resistenza; in sostanza ciò che abbiamo definito democrazia liberale più democrazia sociale e Stato di diritto. Assieme, dobbiamo avere la distinta consapevolezza del declino delle forme democratiche negli ultimi decenni in Europa, in particolare dall’avvio della prima grande crisi quella dei mutui subprime, con la progressiva marginalizzazione di decine di milioni di elettori sacrificati sul mantra della governabilità, fino ad arrivare ad una sorta di democrazia decidente ed escludente col progressivo tramonto del conflitto sociale come sale delle vita democratica, con l’abnorme crescita del disincanto e perciò dell’astensionismo elettorale fino all’ossimoro di una sorta di democrazia oligarchica. Noi dobbiamo contrastare in modo sempre più fermo la politica dell’estrema destra italiana e delle forze analoghe in tutta l’Unione Europea, perché unite dalla progressiva negazione dello Stato di diritto, dall’attacco all’autonomia della magistratura, non più dalla marginalizzazione ma dalla criminalizzazione del conflitto sociale, da una sempre più evidente propensione autoritaria, da una profonda vocazione antieuropeista, come confermato dall’attacco vile della Presidente del consiglio al cuore dell’idea di Europa, cioè il Manifesto di Ventotene. La domanda che dobbiamo porci è quella che si chiede se all’interno della cosiddetta opinione pubblica esistano ancora gli anticorpi per combattere queste derive neofasciste. Se osserviamo la manifestazione indetta sostanzialmente da Anpi e Cgil, a cui hanno aderito altre associazioni e partiti progressisti a Parma lo scorso 1 marzo per contrastare la calata nella nostra città di gruppi musicali dichiaratamente fascisti, la risposta è sì, Parma e la sua provincia hanno ancora un forte radicamento ai valori democratici e antifascisti. È stato un bagno di folla per certi versi inaspettato, perché in tutta sincerità ci aspettavamo sì tanta gente motivata ma non certo cinquemila persone. D’altra parte la preoccupazione è alta per il periodo storico che stiamo vivendo. Ci troviamo quindi a dover rispondere ancora una volta, sotto le pressioni incessanti, a provvedimenti discriminatori e retoriche xenofobe a servizio dei potenti mentre si dichiarano amici del popolo, questa è una deriva in cui si crea la legittimità degli squadrismi, dell’ambiguità istituzionale, della minimizzazione, "dell’altrismo" e dell’indifferenza, verso cui è doveroso ricostituire una linea storica che rispetti i suoi eroi e che difenda le vittime dell’oggi e del domani. Nel pieno di queste complesse vicende è avvenuta la convocazione della manifestazione di Michele Serra, che, per essere esatti, è stata lanciata a causa e dopo i ripetuti attacchi alle forme di governo democratico in Europa e all’Unione Europea in generale e quindici giorni prima della proposta del ReArm Europe. La questione che abbiamo davanti, al di là dei dettagli, è se sia stato giusto o meno partecipare alla manifestazione. Nostri compagni erano in Piazza del Popolo perché era evidente, anche per la presenza di Cgil, Acli e Sant’Egidio, che la manifestazione avrebbe rappresentato diverse anime e diverse sensibilità. Non si configurava, in sostanza, come una piazza per la guerra e comunque sia non si capiva perché bisognasse regalare la piazza per l’Europa, per dirla con un paradosso, alla parte più bellicista degli europeisti. Ma dietro questa scelta c’è un pensiero che ci terrei a chiarire: nella situazione di grande confusione che regna oggi nel nostro Paese e davanti a un progressivo riflusso del movimento pacifista in Italia, a fronte dell’inesistenza di fatto di movimenti analoghi in quasi tutta Europa, noi dobbiamo essere presenti in tutte le piazze portando nelle forme più opportune il nostro messaggio e la nostra visione dell’Unione Europea. Oggi non è il momento di arroccarci, di chiuderci pensando che il rapporto con gli altri possa creare un contagio; è invece il momento in cui pensare al rapporto con gli altri come una risorsa che serve agli altri e serve a noi, per dirla con uno slogan: noi dobbiamo stare col popolo nelle varie forme con cui questo si manifesta. Concludo questi vari passaggi con l’imminente impegno che è di fronte a noi, ovvero il prossimo 25 Aprile, giorno in cui saranno trascorsi da quella data ottant’anni dalla fine della lotta di Liberazione e dalla riconquista della libertà. Dovrà essere un giorno speciale, unico, una grande Festa popolare e nazionale in ricordo di tutte e tutti coloro che in tanti casi hanno sacrificato la loro vita, la propria giovinezza per un paese finalmente libero e liberato. Partigiane, partigiani, staffette, donne, lavoratori, deportati, internati, militari, forze dell’ordine, sacerdoti, antifasciste, antifascisti, intere famiglie. La Costituzione del 1948 è stato il frutto di questa lotta, un dettato civile che riguardava e riguarda tutti: libertà, uguaglianza, solidarietà, lavoro, pace, dignità della persona, in una piena democrazia fondata sul pluralismo. Prepariamoci quindi a dare il nostro meglio, con passione, dedizione, collaborazione e coraggio. È probabile che alla manifestazione quest’anno sia presente con i propri vessilli, la Brigata Ebraica, esorto tutti i nostri iscritti, i nostri dirigenti a soffocare sul nascere ogni prevaricazione e di mettersi a difesa di qualsiasi tentativo di aggressione, anche verbale. Noi siamo l’Anpi, siamo un’ Istituzione e come tali dobbiamo comportarci.


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29 Marzo – Congresso fondativo della sezione di Corniglio

Nasce a Corniglio la nuova sezione ANPI
 Un presidio di memoria e impegno civi
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Alla presenza del Presidente provinciale ANPI Nicola Maestri, del consigliere provinciale ANPI Giulio Varacca e della vicesindaca di Corniglio Emanuela Mansanti, è stata ufficialmente inaugurata oggi la nuova sezione ANPI di Corniglio, la trentesima sul territorio della Provincia di Parma.


La nascita della sezione rappresenta un segnale forte e concreto: un nuovo presidio di memoria, di impegno civile e di difesa attiva dei valori costituzionali. "È una nuova foglia su quell’albero profondo e resistente che è l’ANPI – ha dichiarato la presidente della sezione, Ambra Lazzari – un organismo vivo che continua a difendere i valori scolpiti nella nostra Costituzione, nata dalla Resistenza che celebriamo ogni giorno."




Le parole della presidente della sezione ANPI di Corniglio
Ambra Lazzari

Buongiorno a tutti,


oggi ci ritroviamo in un momento storico in cui venti estremisti, violenti e arroganti, soffiano impetuosi in ogni angolo del mondo. Soffiano contro i valori di libertà, di giustizia e di democrazia per cui donne e uomini, non così tanto tempo fa, hanno lottato, resistito e dato la vita. Oggi più che mai sentiamo il dovere morale – e civile – di non restare in silenzio, di non voltare lo sguardo. E quale occasione più significativa dell’80° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo per farlo con un gesto concreto ? [...]

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[...] Nasce oggi la nuova sezione ANPI di Corniglio, la 30ª della Provincia di Parma. Un numero che non è solo una cifra, ma un simbolo. Questa sezione è una nuova foglia su quell’albero profondo e resistente che è l’ANPI: un organismo vivo che continua a difendere i valori scolpiti nella nostra Costituzione, nata proprio da quella Resistenza che celebriamo. È un segnale forte, un grido pacifico ma deciso, che si unisce a quello di Berceto, dove a febbraio è nata un’altra nuova sezione. È la testimonianza che qualcosa si muove, che l’impegno continua.

Le adesioni al tesseramento sono state numerose, e questo ci ha dato coraggio. Ma senza la vostra presenza oggi, senza il vostro esserci davvero, tutto questo sarebbe rimasto sulla carta. È grazie a voi se oggi questa sezione prende vita. Per questo vi ringrazio, profondamente. Ognuno di voi oggi ha fatto una scelta. Non scontata. Non passiva. Una scelta di campo. Sulle vostre sedie avete trovato un foglio: una breve descrizione di cos'è l’ANPI, di cosa fa. Ma non è solo un promemoria. È una promessa. Una promessa che ci richiama a ricordare che l’ANPI non è solo memoria. È azione. È presenza. È presidio. Mi soffermo su un passaggio che ritengo fondamentale: «Oggi gli iscritti sono rappresentativi non solo di tutte le età, ma anche di ogni tipo di provenienza sociale e professionale, restando sempre alla base di tutto il trinomio Antifascismo, Resistenza, Costituzione. Antirazzismo e presidio dei diritti umani sono un terreno di impegno e di lotta che vede l’Associazione promotrice di numerose iniziative in tutto il Paese.» Ecco, questa sezione non nasce solo per ricordare. Nasce per esserci. Per vigilare. Per costruire. Spesso, lo sappiamo bene, ci troviamo d’accordo con un’idea, ci indigniamo per un’ingiustizia, ci emozioniamo davanti a una testimonianza… ma lo facciamo da lontano, dal nostro divano, in silenzio, magari con un post, un like, un commento. È umano, certo. Ma non basta. Perché se vogliamo davvero un futuro migliore – o anche solo non peggiore – dobbiamo ricordarci che la differenza la fa la partecipazione attiva. Anche nelle piccole cose. Anche in un giorno di pioggia, anche in una sala di paese, anche solo dicendo: “Ci sono.” Difendere i nostri diritti, la libertà e la democrazia non è un esercizio di nostalgia. È una necessità. È oggi. È adesso. Grazie.





Le parole del presidente del
comitato provinciale ANPI di Parma
Nicola Maestri

Benvenute e benvenuti a tutti. Grazie per la vostra presenza e a chi ci ospita. Un ringraziamento particolare, se me lo consentite, vada ad Ambra Lazzari per l’impegno e la dedizione dimostrata. 

Essere qui con voi oggi è davvero un’emozione particolare. Quando infatti nel marzo del 2022 l’attuale segreteria provinciale di ANPI venne eletta, una delle prime domande che ci ponemmo fu come mai in un territorio come il vostro, nonostante gli innumerevoli episodi resistenziali, non esistesse di fatto un presidio democratico e antifascista come una sezione Anpi può rappresentare. Questa può essere una prima risposta. Oggi inizia infatti un nuovo percorso che auspichiamo possa davvero essere foriero di tante iniziative, e possa diventare un ulteriore luogo di memoria e cultura. Siamo convinti del fatto che costituire una sezione ANPI a Corniglio possa essere, oltre che una ricchezza per tutte le associazioni di volontariato già esistenti sul territorio, anche un tributo a tutte le persone che hanno quanto meno sacrificato gli anni migliori della loro vita, quello che dovrebbe essere il periodo più spensierato, quello della giovinezza.  [...]

continua

[...] Siamo altresì convinti che, come ci auguriamo, potrà esserci anche un luogo fisico in cui incontrarsi e riflettere su ciò che sta accadendo intorno a noi, in un mondo che sta rischiando pericolosamente di dover rivivere pagine nere e angoscianti purtroppo così amaramente già viste e subite. 

È bene ricordare che Corniglio fu sede del Comando Unico Operativo partigiano della provincia di Parma (CUO) tra l’agosto e l'ottobre 1944, zona d’insediamento delle prime bande partigiane e luogo di numerosi scontri tra resistenti e nazifascisti. Tra questi la battaglia del Lago Santo, conflitto dai risvolti epici svoltosi nel rifugio che sorge sulle rive del lago. Il 19 marzo 1944 una squadra di nove partigiani del distaccamento “G. Picelli”, stanziata nei pressi del lago, fu attaccata da un nutrito gruppo di fascisti e tedeschi. I partigiani, barricati nel rifugio, resistettero eroicamente all’attacco nemico per diverse ore, provocando morti e feriti tra i nemici, costringendoli a ripiegare. 

Qui davvero la resistenza ha rappresentato pagine epiche ma anche dolorosissime se pensiamo all’eccidio di Bosco, dove il Comando Unico venne decimato dopo un attacco proditorio scaturito da una delazione. Altri episodi drammatici hanno funestato queste comunità, i vostri territori, penso all’episodio efferato di Agna del novembre 1944 dove vennero fucilati dai nazifascisti 6 giovanissimi partigiani tra i 17 e i 23 anni, o a Lama di Corniglio, sempre in quei giorni sciagurati, dove vennero prima massacrati di botte e poi passati per le armi 7 partigiani sovietici e georgiani, disertori del terzo Reich passati nelle file dei resistenti. Gli episodi da citare sarebbero davvero tantissimi e questo per comprendere appieno l’enorme sacrificio di vite umane e di grandi sofferenze che le persone di questi luoghi hanno dovuto subire. 

Custodi della memoria quindi, la trovo una definizione corretta, e  aggiungo che

ricordare ha un’etimologia bellissima: deriva infatti dal latino re-cordari, ovvero richiamare al cuore, poiché gli antichi lo pensavano sede della memoria, e da Oscar Wilde ritenuta il diario che ogni giorno ognuno porta con sé. Anche chi non se ne rende conto, anche chi consapevolmente o inconsapevolmente è portato a rimuovere, anche chi è portato a bollare e liquidare con superficialità o furia ideologica, anche solo nella libertà di dirlo si porta con sé l’esperienza di questi partigiani come se fosse una pagina del proprio diario. 

La Resistenza fu nuovo umanesimo: la rinascita politica dell’Italia repubblicana è stata resa possibile grazie alla presa di coscienza collettiva dal basso unita ad una rivolta morale. L’antifascismo è ciò che ha dato concretezza e pienezza ad un processo di Liberazione perché ha aiutato la vittoria militare a essere vera rigenerazione, vero riscatto, vera costruzione. Senza di esso, molte persone in Italia hanno sostenuto il fascismo senza ribellarsi agli orrori che stava compiendo, adattandosi senza colpo ferire a questa concezione del mondo.

La lotta di resistenza è straordinariamente attuale, nonostante chi non conosca la Storia sostenga sia una vicenda passata senza ormai nessun senso. 

Noi riteniamo invece che occorra ripartire da qui, da chi ha fatto dell'altruismo e della solidarietà la propria cifra, ma occorre essere all’altezza delle sfide che essi ci pongono, come individui e come società. Come diceva Aldo Moro, la verità e la sua ricerca sono sempre illuminanti, essi ci aiutano ad essere coraggiosi. Forse non tutto è perduto e il risveglio civile speriamo sia destinato a suonare sempre di più della loro spontanea e non ideologica radicalità nell’affrontare i processi del nostro tempo: persone che non sono abituate ad avere confini, se non a sventolare la bandiera di una nuova civiltà, aperta, dialogante, laica, solidale. E noi che siamo, ancora una volta, in un luogo che trasuda storia come Corniglio, non celebriamo un rito stanco e indebolito dallo scorrere del tempo, ma rinnoviamo il senso profondo che ci rende essere umani, come cittadini, come associazioni e come Istituzioni. Benvenuti quindi nella grande famiglia di ANPI, benvenuta alla sezione numero 30 della Provincia di Parma. Vi auguriamo un intenso e proficuo lavoro. 


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Fontevivo – No alla targa per i caduti rsi

La recente decisione della Giunta Comunale di Fontevivo di apporre una lapide commemorativa ai caduti della Repubblica di Salò nel cimitero comunale, rappresenta un atto grave e inaccettabile.

Tale scelta, assunta senza un necessario dibattito in Consiglio Comunale, ma attraverso delibera di Giunta, solleva questioni di natura politica, storica e morale che non possono essere ignorate.

Pur nel rispetto del dolore delle famiglie dei defunti, non si può accettare che una simile iniziativa diventi un malcelato pretesto per una rivalutazione del fascismo e dei suoi sostenitori. La Repubblica di Salò fu un governo criminale e collaborazionista, asservita all'occupazione nazista e responsabile di crimini contro la popolazione civile e i partigiani che lottavano per la libertà.

La RSI è sinonimo di rastrellamenti, deportazioni di civili e violenze contro i partigiani, torture e omicidi. Lungi dall’essere un movimento di "onore e riscatto", la RSI rappresenta gli eccidi di Marzabotto, di Sant'Anna di Stazzema delle Fosse Ardeatine …

L'adesione alla RSI significò schierarsi con l’oppressore nazista, con i carnefici dei campi di sterminio, con chi distrusse l’Italia e il suo popolo.

Un tentativo disperato di un regime sconfitto di perpetuare la dittatura fascista, opponendosi alla Resistenza a chi si opponeva al fascismo ed alla costruzione di una nuova Italia libera e democratica, alla sua redenzione.

Celebrare oggi quei caduti, senza contestualizzarne il ruolo storico, rischia di legittimare un'ideologia che ha portato solo morte e sofferenza.

Ecco perché Fontevivo, ma l’intera provincia di Parma - decorata con la Medaglia d’Oro al Valor Civile per la profonda fede in un’Italia, libera, democratica, antifascista - non può tollerare la presenza di un monumento che onori chi combatté per una ideologia di tortura e morte.

Ecco perché non si tratta di un semplice ricordo dei caduti, ma di una scelta che assume un preciso significato politico e che contrasta con i valori fondanti della nostra Repubblica.

La posa di questa targa, proprio nell'anno in cui si celebra l'ottantesimo anniversario della Liberazione, appare come un segnale pericoloso di revisione storica e di tentativo di legittimazione di un passato che invece deve essere condannato senza ambiguità.

Un insulto alla Memoria della Resistenza

Proprio perché la memoria della Resistenza e della lotta partigiana non è solo un dovere storico, ma una responsabilità morale ricordare chi combatté per la libertà significa non permettere che il fascismo, sotto qualsiasi forma, possa tornare a trovare spazio nel nostro paese

Per questi motivi, chiediamo con fermezza la rimozione della lapide dal cimitero comunale, come atto di rispetto verso la memoria della Resistenza e dei valori sanciti dalla Costituzione italiana.

Non possiamo accettare che simboli di un passato oscuro trovino spazio nelle nostre città. La storia non può essere riscritta, né tantomeno strumentalizzata.

La Memoria della Lotta per la Libertà deve essere difesa con determinazione.


ANPI - COMITATO PROVINCIALE PARMA 

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21 Marzo, Vizzola – Commemorazione ufficiale

Le parole del presidente del comitato provinciale ANPI di Parma
Nicola Maestri

Autorità civili e militari, rappresentanti delle Pubbliche Amministrazioni, rappresentanti delle Associazioni partigiane, combattentistiche e d’arma, parenti delle vittime che oggi andiamo a ricordare, antifasciste e antifascisti, cittadine e cittadini di Fornovo, buongiorno!

AZZOLINI GIUSEPPE era nato nel 1928 a Lesignano Bagni in provincia di Parma. Era Partigiano dal 1 ottobre del 1944, faceva il calzolaio assieme a suo padre. Il suo nome di battaglia era Andrei. Giuseppe era il più giovane dei tre partigiani uccisi in questo luogo

sacro. Abitava a Santa Maria del Piano.
BREMI FERDINANDO
era un classe 1920 ed era nato a Milano. Non era forse un caso che il suo nome di battaglia fosse Milan. Era Partigiano dal 27 ottobre del 1944 e anche lui abitava a Santa Maria del Piano

ANDREA BIANCHI invece era nato il 5 febbraio 1917 a Badia Pozzeveri una frazione di Altopascio, in provincia di Lucca, era il più “grande” dei tre, pensate un pó, il partigiano

“Ras”, sposato e padre di una bimba, Alberta, era quasi considerato vecchio per quella nidiata della meglio gioventù.

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continua

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A questi uomini, a questi partigiani, a questi giovani, dobbiamo la nostra riconoscenza perché sappiamo che la democrazia di oggi e la nostra Costituzione sono il frutto delle loro lotte, delle loro sofferenze e della morte di tante vittime innocenti.
Noi, cittadine e cittadini, noi istituzioni, ma anche voi giovanissimi che sarete la classe dirigente di domani, non ce lo dobbiamo mai e non ce lo dovremo mai dimenticare. La Resistenza è stata di fatto unitaria e fin dall’inizio ha saputo trovare un accordo di compromesso, persino con la monarchia, seppur macchiata dalla connivenza con il fascismo,
Resistenza che ha saputo formare un governo unitario nelle zone liberate e formare i Comitati di Liberazione Nazionale nelle zone ancora occupate. Quindi non ci furono due Resistenze, quella democratica e quella rivoluzionaria che puntava alla presa violenta del potere, come qualcuno vuol farci credere. E’ per loro, per quegli uomini che sacrificarono la loro vita qui su questi campi, su questo muro, che dobbiamo recuperare e restituire alla gente tutta l’umanità, il rispetto, la dignità che furono – e sono – sconosciuti alle dittature.
È questo il senso della memoria. Celebrare la memoria significa riscoprire chi siamo, preservare le radici comuni, ricordare i drammi collettivi. Per poter essere migliori e per evitare nuove barbarie È fondamentale non solo “fare memoria” circoscrivendola in una data, pure importante, come quella di oggi, che ci ricorda che sono trascorsi ottant’anni da quel giorno angosciante, bensì vivere la memoria, diventare memoria, essere memoria e testimoniarla nell’oggi della storia, per impegnarci a costruire un futuro più giusto e umano attraverso un antifascismo militante. Proprio perché l’antifascismo è anche aver cura della memoria della nostra comunità e del mondo. Perché c’è un pericolo, qui e ora, per la democrazia e la convivenza civile


E QUEL PERICOLO SI CHIAMA FASCISMO

Chi in vari modi cerca di rivalutarlo, di rivalutarne i personaggi, di attenuarne le responsabilità, di far rivivere il razzismo, il disprezzo per l’avversario, il linguaggio, gli atteggiamenti e le azioni violente, si rende loro complice e apre la strada a nuove ingiustizie e a nuove tragedie. Ricordiamolo che il fascismo e il nazismo oltre a scatenare la guerra, la usarono consapevolmente come occasione per l’eliminazione di intere popolazioni, cercando con il terrore di applicare il loro folle mito della razza. Ricordiamolo, la scienza è chiara: le razze non esistono, nel caso ne esiste una, quella umana.

Io penso, allora, che dobbiamo organizzare tutte le nostre energie, in una resistenza civile e culturale larga, diffusa, unitaria. Occorre imparare a recuperare quella memoria storica italiana per provare a costruire una memoria storica europea; in un momento in cui l’idea di un continente unito, quella sognata da Altiero Spinelli e da Ernesto Rossi, è minacciata da nazionalismi e nuovi razzismi. Noi, popolo di oggi, dobbiamo imparare dai morti di ieri, caduti assieme. Abbiamo bisogno di umanità. Quella Umanità futura e migliore in nome della quale queste persone sono morte. L’esercizio della memoria deve comprendere anche i nomi che oggi celebriamo, ricordiamo.

Stasera quando torneremo nelle nostre case accoglienti e ci adageremo nei nostri tiepidi letti, ricordiamoli. E domattina quando apriremo gli occhi, ricordiamoci di Giuseppe, di Ferdinando, di Andrea. Immaginiamo che in quel periodo questi nostri fratelli avevano la vita che gli si schiudeva davanti, e non l’hanno potuta vivere liberamente perché altri decisero che dovessero morire.

Ricordiamoli ogni giorno della nostra vita, solo in questo modo renderemo loro giustizia, evitando che le loro vite e le loro storie, possano scivolare nell’oblio.

È necessario, è doveroso che Andrej, Milan e Ras rimangano un monito a futura memoria, affinché questi orrori e questi precipizi di disumanità della storia, non abbiano più da accadere.

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