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Ricordando Mariano Lupo

Intervento ANPI Provinciale di Parma

52° anniversario dell’omicidio di Mariano Lupo (1972-2024)

Parma, 25 agosto 2024 Stefano Cresci

Carissimi amici, carissimi compagni,
permetteteci di iniziare con alcuni saluti e ringraziamenti. Intanto al Sindaco di Parma, Michele Guerra. La città è decorata con la medaglia d’oro per lo straordinario apporto durante la guerra di Liberazione. È molto significativa la sua presenza qui, oggi. Alle organizzazioni, movimenti e le associazioni antifasciste, ai rappresentanti e agli attivisti dei partiti e dei sindacati intervenuti, e a tutti voi per aver scelto di esserci e condividere questa raccolta e significativa commemorazione.
Lasciamo per ultimi, ma non certamente per importanza, i famigliari di Mariano.[...]

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Credo sia importante oggi, in occasione dell’anniversario della sua morte, partire invece dalla vita di Mariano Lupo. 

Mario e la sua famiglia arrivarono nella seconda metà degli anni Sessanta, quando pressante era la richiesta di lavoratori per iniziare le opere edilizie della nuova città, negli anni del boom delle costruzioni, dei piani di edilizia economica residenziale e delle trasformazioni urbane.

I desideri di Mario erano quelli di un ragazzo diciannovenne che, partito da un piccolo paese dell’entroterra siciliano, arrivava in una città del nord per cercare condizioni di  vita migliori per sé e la sua famiglia e, in senso lato, costruire una società più giusta e umana. Queste idee erano condivise da tanti operai, disoccupati, studenti e, anche dagli stessi partigiani, che si trovavano insieme per praticare obiettivi di solidarietà, difesa e ampliamento dei diritti. Nell’estate del 1972 l’Italia era un Paese in piena trasformazione, attraversato da un esteso risveglio sociale, dalla presa delle piazze di migliaia di giovani. Mariano era uno di quei giovani. 

In quei tempi di grandi trasformazioni, subentrava poi un ulteriore problema molto grave: il neofascismo in quegli anni vedeva Parma, città simbolo dell’antifascismo grazie ai fatti successi 50 anni prima con le Barricate e, successivamente, con la Lotta di Resistenza, un bersaglio da colpire. 

Vi era l’idea di fomentare la paura e l’insicurezza nell’opinione pubblica – attraverso bombe in banche, piazze e treni – per favorire una svolta antidemocratica, per reprimere quella partecipazione politica e disgregare quella ancor giovane democrazia. Dentro questo nefasto disegno fu lasciato ampio spazio ai gruppi neofascisti aventi la violenza come elemento centrale del loro agire politico, a latere del Movimento sociale italiano ma da esso, in alcuni casi non controllabili o spesso tollerati, che si muovevano con aggressioni, pestaggi e piccoli attentati.

In questo quadro si colloca il fatto tragico che ricordiamo oggi.

"Mario, operaio immigrato comunista, ucciso dall’odio e dalla violenza dei fascisti”: con queste parole la targa posta sul luogo dell’omicidio, racconta ciò che accadde a Mariano "Mario" Lupo.

La sera del 25 agosto 1972, all’ingresso del Cinema “Roma” a Parma, venne aggredito, accoltellato e ucciso da un gruppo di neofascisti. L’omicidio era volontario e la matrice era inequivocabilmente inseribile nella violenza politica neofascista, come decretò la sentenza in via definitiva.

La città restò attonita ma reagì con vigore e gli stessi funerali furono un’enorme risposta democratica e antifascista. In Piazza Picelli, nel cuore del quartiere popolare dell’Oltretorrente, Giacomo Ferrari - il vecchio sindaco comunista e comandate partigiano “Arta”- tenne l’orazione funebre davanti alle bandiere a lutto di tutti i partiti, ai gonfaloni delle associazioni democratiche e dei comuni, agli striscioni del movimento di fronte a una folla impressionante per la nostra città. 

Anche nel 1973, l’Avvocato Primo Savani – partigiano e politico molto conosciuto - allora presidente dell’ANPI commemorò in un comizio “la figura del giovane Lupo”. 

L’assassinio di Lupo si inseriva in una lunga scia di omicidi di militanti dei movimenti in Italia ed è il culmine delle aggressioni promosse nella nostra città. In questo senso, giustamente, all’epoca, si disse che la morte di Lupo era  in qualche modo “annunciata”: tra il 1968 e il 1972, le minacce, gli agguati, le violenze e le esplosioni di matrice neofascista ebbero una notevole ascesa.

Il processo d’appello si concluse il 15 giugno 1976, ad Ancona, con un inasprimento delle pene per i colpevoli, già riconosciuti colpevoli in primo grado. Secondo i giudici, l’aggressione era stata “decisa, preordinata ed attuata da una sola parte contro l’altra che si limitò, peraltro con scarsissima efficacia, a difendersi”. Nella sentenza definitiva si legge ancora: “Non possono dunque esservi dubbi sul fatto che, i giovani missini, quella sera, avevano in animo di fare qualcosa e si erano preparati in tal senso”. 

In quel fatto tragico si ritrovano molti dei protagonisti di quella fase storica: un piccolo gruppo di picchiatori della destra radicale, armati di coltelli, già conosciuti alla Questura per le loro azioni squadriste; un giovanissimo operaio, immigrato dal Sud in cerca di riscatto, attivista della sinistra rivoluzionaria di Lotta continua che sognava, insieme ad altri giovani, un mondo diverso; una città, distintasi per il suo antifascismo, che vide nella morte di quel giovane il perpetuarsi del sacrificio di altri suoi figli nella Lotta di Resistenza.

Anni inquieti, pieni di sangue dove le battaglie politiche venivano combattute purtroppo anche con la violenza, ma la Repubblica aveva “tenuto” e, grazie a quella società in fermento, alla stagione di rivendicazioni dei diritti operata da quei tanti giovani, e ai rappresentanti politici di indubbia qualità, provenienti ancora in larga parte dalla Resistenza, si era concretizzata una grande stagione di conquista dei diritti civili e sociali.

In un decennio si approveranno varie leggi fondamentali come lo Statuto dei lavoratori, nel maggio del 1970, e a dicembre dello stesso anno, la legge Baslini-Fortuna, che introduce il divorzio nell’ordinamento giuridico italiano. Nel 1975, con la riforma del diritto di famiglia, viene riconosciuta la parità di diritti all’interno nella coppia.

Ancora nel maggio del 1978, la Legge Basaglia, che disponendo la chiusura dei manicomi ha segnato una svolta nel mondo dell'assistenza ai pazienti psichiatrici, una cesura col passato e sulla strada della dignità. Nello stesso mese, il 22 maggio, viene approvata la Legge 194, che depenalizza e disciplina le modalità di accesso all'aborto.

La memoria di Mariano Lupo si è persa per un lungo periodo già dalla fine degli anni Settanta per ragioni storiche e politiche, per almeno venti anni, ma da qualche anno si è deciso di riportare Mariano Lupo e quel periodo storico all’attenzione della città di Parma.

La nostra storia è un patrimonio da non disperdere proprio per la nostra gente.

Crediamo essenziale fare memoria perché molto spesso, anche in forme diverse, la storia si ripete e la consapevolezza di ciò che è stato, è l’unico vero antidoto per difendere la nostra democrazia e contrastare pericolose derive di odio, di violenza e prevaricazione, di razzismi e discriminazioni, lottando per la realizzazione concreta della nostra Costituzione e di un Paese con minori disuguaglianze socioeconomiche e una rinnovata giustizia sociale. 

Per far ciò è certamente necessario far comprendere ai nostri concittadini, in particolare ai più giovani per varie ragioni comprensibilmente delusi, che l’impegno politico è la più alta forma di servizio alla Comunità. La politica, quindi, può e deve divenire lo strumento democratico fondamentale per creare una società diversa, a patto che si costruiscano le fondamenta necessarie: consapevolezza, conoscenza storica e capacità critica di valutazione dei contesti.  

Questi sono gli obiettivi prioritari da perseguire in un quadro politico nazionale e internazionale incapace di rispondere alle enormi sfide che sono dinnanzi a noi, che non ha saputo neppure evitare il ritorno della guerra in Europa e altri conflitti altrettanto sanguinosi che funestano questo mondo. La nostra fallimentare società neo-consumistica dominata dalla grande finanza e da piccoli, grandi o grandissimi centri di potere, che si nutrono delle divisioni sociali e alimentano le disuguaglianze, sta provocando guerre e miserie in un dejà-vu intollerabile.

L’idea di società competitiva che produce scarti, soprattutto umani, povertà dilagante e alimenta la violenza tra gli strati più poveri della popolazione non può rappresentare il futuro di questo Paese e del mondo. 

Voglio esser chiaro oggi. Esiste grande preoccupazione per la proliferazione di organizzazioni neofasciste e neonaziste che dovrebbero essere immediatamente sciolte in base alla Legge, ma ancor più preoccupano tentativi sempre più evidenti di negazione, equiparazione o edulcorazioni della nostra storia recente e le riforme costituzionali tese a distruggere la Carta costituzionale in profondità, nella sua essenza vera, operate da forze politiche che non fanno mistero di rifarsi ad una destra reazionaria, già conosciuta tragicamente in questo Paese.

Le responsabilità che ci attendono sono molte, l’obiettivo è difficile da raggiungere ma non possiamo sottrarci a questa responsabilità. Dobbiamo riprendere dalla nostra storia e dai valori della Repubblica e riportare all’impegno tante persone deluse e indifferenti.

Mariano sarebbe stato ancora qui con noi a lottare quotidianamente per un lavoro che sia dignitoso e rappresenti un modo per riscattarsi socialmente, contro le discriminazioni vergognose di genere e i razzismi, per l’accesso all’istruzione e a un potenziamento del Sistema culturale veramente inclusivo, per la preservazione dell’ambiente e la difesa di una Sanità pubblica universalistica. In altre parole, un Paese più umano e giusto dove le persone siano veramente al centro del dibattito pubblico. 

Credo che, come molti giovani inascoltati anche oggi, si impegnerebbe ancora e per questo Mario, così veniva chiamato dagli amici, vive con noi nell’impegno di tanti giovani e meno giovani che cercano di costruire un mondo migliore in cui vivere. Il nostro.

Ciao Mariano.

Ora e sempre (più) Resistenza.


Mariano Lupo 52°anniversario

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contro l’autonomia differenziata

VOLANTINO AUTONOMIE STAMPA
Autonomia Differenziata

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No al francobollo per il fascista Foschi

ANPI Provinciale Parma dice “NO!” al francobollo che Poste italiane ha dedicato al fascista e repubblichino Italo Foschi colui che si congratulò con l’assassino di Giacomo Matteotti di cui ieri abbiamo celebrato il centesimo anniversario dell’uccisione e esprime piena solidarietà, quindi, a ANPI provinciale di Ferrara [...]

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Italo Foschi fu militante fascista, organizzatore dello squadrismo a Roma e fedele a Mussolini fino alla Repubblica di Salò quando l’Italia subiva gli eccidi delle brigate nere e delle SS nazisti. Mentre, ricordiamo l’assassinio di Giacomo Matteotti ad opera delle squadre fasciste, il governo del nostro Paese omaggia negli stessi giorni, con un francobollo, chi ha condiviso quel brutale assassinio.

Condanniamo questo grave vergognosa provocazione.

Questo francobollo è un’offesa alla memoria di Matteotti e di tutti gli antifascisti che hanno dato la vita per la libertà e la democrazia per il nostro Paese.

Chiediamo pertanto che venga bloccata subito la distribuzione.


L’ANPI Provinciale di Parma ritiene che tale gesto non solo offenda la memoria di coloro che hanno sofferto sotto il regime fascista, ma minacci anche i valori di libertà, giustizia e democrazia per i quali ANPI si batte da sempre. In un momento in cui è fondamentale ricordare e imparare dalla nostra storia, non possiamo permettere che figure legate a un passato di oppressione e violenza vengano celebrate in questo modo.

Continueremo a lavorare per promuovere la memoria storica e per difendere i valori di pace e giustizia.


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80 – Auguri ANPI

Mattarella all’Anpi: “La lotta condusse a una nuova Europa e riscattò l’Italia dalla dittatura” 

 

“La lotta di popolo contro il fascismo e il nazismo, che ha realizzato il riscatto dell’Italia dopo le pagine della dittatura e della sua violenza, ha condotto a una nuova Europa, promessa di libertà e di pace”. Con queste parole Sergio Mattarella ha celebrato l’80esimo anniversario della fondazione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (Anpi) mandando un messaggio, diffuso sul sito ufficiale del Quirinale, al presidente Gianfranco Pagliarulo. [...]

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Mattarella esprime “apprezzamento” per “l’opera svolta” da quando l’Italia è una Repubblica “per custodire e trasmettere i valori della Resistenza e rafforzare l’unità del Paese attorno alla Costituzione”. L’Anpi, ha aggiunto il capo dello Stato, è “stata un segno di impegno civile per la democrazia, la pace, la libertà, l’uguaglianza, valori conquistati a prezzo di duri sacrifici dalle generazioni che ebbero parte alla Guerra di Liberazione, contro ogni forma di oppressione e autoritarismo”. Nata a Roma il 6 giugno 1944, quando era ancora in corso la battaglia all’occupazione nazifascista, oggi l’Anpi è la più grande associazione partigiana attiva in Italia con i suoi 153mila iscritti.


Poi il richiamo al conflitto russo-ucraino e ai valori che devono essere portati avanti: “Oggi di fronte alla guerra, tornata in Europa con l’invasione dell’Ucraina, siamo chiamati alla responsabilità di ricostruire la pace nella libertà, nel rispetto del diritto, dell’indipendenza e dell’autodeterminazione dei popoli”, scrive ancora Mattarella. “L’impegno delle giovani generazioni – ha aggiunto il presidente della Repubblica – in questo percorso, nella memoria dei patrioti che generosamente contribuirono, con la Resistenza all’oppressore, all’edificazione della Repubblica, suscita apprezzamento“.

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Comitato Provinciale 01.06.2024

ESSERE ANPI INSIEME

Comitato provinciale dedicato alla comprensione delle istanze provenienti dalle nuove generazioni

il saluto di Nicola Maestri Presidente Comitato Provinciale ANPI Parma

Buongiorno e benvenute a tutte e tutti. A nome del Comitato e della Segreteria Provinciale di ANPI Parma vi abbraccio affettuosamente e vi ringrazio per aver accolto così numerosi il nostro invito. [...]

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 Dopo l'esperienza positiva del settembre scorso, dove ci incontrammo con tutti i rispettivi comitati di sezione, oltre che al consueto CP, oggi abbiamo voluto con forza ed entusiasmo allargare i nostri inviti anche e soprattutto rivolgendoci alle generazioni più giovani. La volontà è proprio quella di coinvolgere direttamente le ragazze e i ragazzi che domani saranno la futura classe dirigente del nostro Paese.

Prima di lasciare la parola alle ragazze che sono qui con me e che hanno seguito questo progetto anche a livello di ANPI nazionale, vorrei condividere con voi alcune riflessioni. Se parliamo di disagio ed emarginazione noi non accogliamo la tesi secondo cui i giovani, tutti i giovani, sarebbero una sorta di ceto sociale. Vi sono, all’interno del mondo giovanile, differenze profonde: ad esempio tra i giovani disoccupati del Mezzogiorno e i giovani che, in altre zone d’Italia, seppur con difficoltà hanno la possibilità di lavorare e di conquistare un relativo benessere. Sta di fatto, però, che, nel suo complesso, la condizione dei giovani è segnata da una generale incertezza di prospettive materiali e di orientamenti ideali, determinata, in larga misura, dal comprensibile interrogarsi intorno ai destini di un mondo percorso da guerre, drammi, ingiustizie sociali e travagli, ma determinata anche dal contrasto tra le loro aspirazioni e l’assetto attuale della società italiana. La battaglia per risolvere quella che viene definita volgarmente “la questione giovanile” non si svolge però solo sul terreno della politica economica, della politica del lavoro e della politica scolastica. Essa va condotta anche sul terreno politico, ideale e associativo per combattere ogni forma di rassegnazione, di illusorie evasioni, di vacuo ribellismo e per conquistare le masse giovanili ai principi di un’effettiva solidarietà, alla lotta civile e politica per il rinnovamento della vita sociale dello Stato, all’impegno nel lavoro; nello studio e nella propria elevazione culturale. Di fronte a un mondo che si è venuto così rapidamente trasformando in tutti i sensi, davanti a tanti interrogativi angosciosi non c'è da stupirsi se si diffondono le più varie tendenze irrazionalistiche e se, al tempo stesso, si invocano e si ricercano certezze assolute e immediate. Di qui scaturiscono, si accavallano, s’intrecciano fenomeni di sbandamento, di disperazione, di fughe dalla realtà e dalla ragione, di qui il rinascere di fanatismi, di integralismi, di nazionalismi e di sette caratterizzate dalla più chiusa intolleranza. Come ANPI, nel rispetto verso ogni corrente culturale, movimento e partito di ispirazione democratica, noi sentiamo tuttavia di avere una grande funzione da svolgere verso coloro che cercano valori positivi e che, talora, non trovando altro che porte chiuse e anime morte, si abbandonano all’angoscia e alla disperazione. Ai giovani, in particolare, noi vogliamo e dobbiamo rivolgerci, poiché verso di essi più aspra è stata l’offensiva per presentare in modo assurdamente distorto l’immagine della politica. La politica deve essere spirito di servizio, di abnegazione, di battaglie civili e culturali. Certamente ANPI, non pensa di offrire alcuna consolatoria certezza ai giovani. Sono mentitori e demagoghi tutti coloro i quali offrono l’immagine di un facile cammino, di una felicità a portata di mano. Molte di queste posizioni, nate e cresciute nel disprezzo di ogni seria analisi della realtà, hanno fatto tragica bancarotta sino a recare con sé una catena di disperazione e di morte. Non vi sono facili scorciatoie, né serve alcuna fuga dalla realtà. Ma non è certo il tempo, non è mai il tempo per rinunciare alla lotta, per chiudersi nel proprio particolare. Questo è più che mai il tempo invece per riprendere fiducia e coraggio, per impiegare l’una e l’altro razionalmente, usando le armi della conoscenza storica e scientifica e lottando in modo organizzato. D'altra parte è stato proprio questo lo spirito che ha guidato e mosso centinaia di migliaia di giovani donne e uomini, quei pochissimi, inizialmente, visionari, che decisero di mettersi d'accordo e fare fronte comune contro la tirannide nazifascista. Sono convinto che ad ogni giovane che voglia costruire il proprio avvenire (e quindi quello nazionale) occorra garantire il diritto di vedere riconosciuti i propri meriti, cosa che non è, fino ad oggi, avvenuto, vuoi per una errata concezione dell’uguaglianza, vuoi per gli “inquinamenti” partitici e “baronali” che spesso hanno provocato una selezione alla rovescia. Il riconoscimento dei meriti è il primo passo per favorire il libero sviluppo della personalità. Occorre, in definitiva, “mobilitare” le giovani generazioni, creando aspettative e riconoscendo loro un ruolo sociale. La gioventù di un grande Paese in tempi felici dovrebbe ricevere esempi, mentre in tempi di crisi dovrebbe darli. E mai come oggi c’è bisogno di “esempi” (culturali, sociali, politici) in grado di saldare vecchie e giovani generazioni, facendo uscire l’Italia dalla crisi in cui anche un giovanilismo senza avvenire l’ha fatta impantanare. Vado a concludere dicendo che non è facile parlare ai giovani, ma ancora di più non è facile parlare di giovani. C’è il rischio della retorica, dei “buoni sentimenti” sempre pronti a fare capolino, anche nelle analisi più attrezzate. C’è il rischio di “demonizzare” o “santificare” le giovani generazioni, rinchiudendole in aree protette, da cui solo il tempo e le necessità della vita le faranno uscire. I giovani “preoccupano” piuttosto che destare attenzione. Invadono le cronache giornalistiche e le analisi a buon mercato del sociologismo televisivo, piuttosto che sollecitare risposte non banali. Niente di nuovo – sia chiaro: la gioventù è un’età di passaggio, i giovani di oggi hanno però un percorso più “lungo e complicato” verso l’età adulta. E’ il “segno dei tempi”, nella misura in cui la persistente “questione giovanile” deriva da una preoccupazione di fondo per una fase della vita sempre più complessa sul piano identitario, delle opportunità e qualità del lavoro, del protagonismo sociale più in generale. Non a caso si dilatano notevolmente i tempi di uscita dalla casa dei genitori e di formazione di una famiglia propria. Il 26 gennaio del 1955 Piero Calamandrei, uno dei Padri Costituenti, nel suo celeberrimo discorso tenuto a Milano davanti a una platea di giovani, parlando del valore imprescindibile della Carta Costituzionale, concludeva dicendo che dietro gli articoli della Costituzione “ci sono giovani come voi fucilati, impiccati, portati a morire in campi di concentramento. Questa non è una carta morta, ma il testamento di 100.000 morti per la libertà. Se volete andare in pellegrinaggio dove è nata la nostra Costituzione, andate sulle montagne, nelle carceri, nei campi, dovunque è morto un italiano per riscattare la nostra libertà, perché è lì che è nata questa nostra Costituzione.” Quanto dobbiamo a Piero Calamandrei per questo discorso che ha scosso le nostre coscienze? Tanto, tantissimo. Ancora oggi, a quasi settant’anni da quell’evento, quelle parole risuonano potenti e taglienti tanto da fendere l'aria, e sono parole che rappresentano un testamento fondamentale per tutti gli individui democratici e antifascisti. Come ANPI oggi noi siamo qui senza la volontà di mettere il cappello all'iniziativa, seppur lodevole e significativa, al contrario siamo qui per ascoltare le ragioni di una generazione in cammino. E siamo anche convinti che ognuno di noi andrà a casa stasera maggiormente arricchito.

Relazione introduttiva dei lavori di "ESSERE ANPI INSIEME"

Sonia Carloni, Martina Noleggi, Francesca Ruggeri

Buongiorno a tutte e tutti, vi ringraziamo sinceramente per essere presenti e per aver dedicato del tempo alla compilazione del questionario. Ringraziamo anche il Presidente Provinciale e la segreteria per aver sostenuto la realizzazione questa giornata. Vorremmo iniziare portando la nostra esperienza all’Assemblea Nazionale dei giovani tenutasi a Riccione lo scorso dicembre. Sono stati due giorni molto intensi in cui abbiamo avuto modo di conoscerci e confrontarci con i nostri coetanei, circa un centinaio, provenienti da realtà ed esperienze diverse. [...]

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 Facendo un passo indietro: l’assemblea nasce da un gruppo di lavoro nazionale che ha lo scopo di raccogliere una sollecitazione maturata dal Congresso del marzo 2022. Si voleva capire e comprendere la composizione giovanile all’interno dell’Associazione, i suoi bisogni e le sue necessità, utili a proiettarla nel futuro: ciò si può fare solo partendo dall’ascolto dell’altro e sapendo che nessuno è perfetto e che per questo tutti dobbiamo tendere al miglioramento. L’urgenza di dare fiducia e ascolto alle giovani generazioni è infatti una delle sollecitazioni emerse da parte dei partecipanti all’Assemblea. Per raccogliere tutte le istanze le giornate sono state organizzate attraverso diversi momenti più istituzionali come l’Assemblea plenaria, dei tavoli di lavoro e (confessiamo) anche più goliardici momenti come un ritrovo al bar. Attenzione! questa iniziativa, come ribadito più volte a Riccione, NON deve essere utile alla creazione di una struttura a parte dell’Associazione, di un gruppo a sé sull'onda di un giovanilismo spinto. A dimostrazione l'Assemblea ha avuto come titolo "Essere Anpi, insieme", titolo che noi abbiamo voluto mantenere oggi. Può sembrare scontato ma è necessario in vista degli appuntamenti di oggi. Proprio perché siamo un INSIEME dobbiamo infatti ribadire, come sempre, la natura unitaria e plurale dell’Associazione che non è partito, non deve essere rifugio di istanze personali e non deve snaturarsi. Occorre un sereno e onesto dibattito intergenerazionale che deve diventare relazione proficua già dalle sezioni locali: di arricchimento reciproco tra volontari con più “esperienza sul campo” e iscritti figli del nuovo millennio. Tra gli aspetti che sono emersi nel dibattito vi è la difficoltà di muoversi in un mondo complesso come quello attuale, con le emergenze che ben conosciamo. Vi sono poi le difficoltà personali che dipendono dalla disponibilità che ognuno può dare in base al proprio tempo di vita: siamo tutti volontari con delle "vite in costruzione”. Per quanto riguarda la composizione del gruppo di cento ragazze e ragazzi, non abbiamo potuto fare a meno di notare che la maggior parte dei nostri compagni fossero insegnanti, storici, attivi nel sindacato. È emersa poi la forte volontà di tutti i partecipanti a contribuire alla discussione sia in plenaria, sia nei tavoli di lavoro; tanto è vero che nei due giorni non è comunque bastato il tempo per far intervenire tutti. Lo troviamo un bel segnale: ci siamo e abbiamo voglia di dialogare in modo franco e costruttivo. I quattro tavoli di lavoro avevano come temi: formazione, forme di partecipazione all’associazione, problema delle periferie, conoscenza di chi siamo. Di questi abbiamo partecipato a due: formazione e periferie. Relativamente al tavolo della formazione: anche in quella sede ne è stata confermata la sua importanza, a livello sia esterno che interno, pur avendo raccolto alcune criticità in talune situazioni locali. Formazione interna per conoscere la storia dell‘Associazione e portare l’autorevolezza delle scelte coraggiose dei partigiani e delle partigiane nel presente ed esserne degni custodi. Affinché si possa risultare seri e credibili nel momento in cui si entra nelle scuole con dei progetti. E per saper alimentare il dibattito interno in modo costruttivo, anche rispetto ai giovani under 35 che portano nuove idee e nuove istanze quali la difesa dell’ambiente, i diritti del mondo Lgbtqia+, il diritto allo studio. Per la formazione esterna il punto focale è emerso essere il mondo della scuola, all’interno delle quali ANPI non deve sostituirsi agli insegnanti ma fare un lavoro integrativo e di supporto, con lo strumento del Protocollo. La presenza della nostra Associazione, inoltre, può essere utile per i ragazzi e le ragazze che non hanno una storia familiare legata a vicende resistenziali o che sono curiosi di conoscere la storia del proprio territorio. È stato anche sottolineato come non si debba comunque limitare il proprio raggio d’azione all’ambito scolastico ma ci si deve muovere nell’ottica di un apprendimento costante, permanente e diffuso. In merito al tavolo di lavoro che trattava le periferie, dal titolo: “OVUNQUE. È LA GRANDE PERIFERIA. DISAGIO E PERIFERIE GEOGRAFICHE, SOCIALI E CULTURALI.”, ci incuriosiva conoscere le esperienze di vita di altri giovani che magari vengono da luoghi fisici di periferia, frazioni o paesi, di province più o meno grandi. Il gruppo ha aperto il dibattito proprio sulla definizione di periferia, confrontandoci sull’idea individuale di ognuno di cosa sia la periferia, concludendo che essa non rappresenta un luogo fisico “lontano dal centro” ma piuttosto uno stato di emarginazione, disaffezione e disagio. Una mancanza di senso di appartenenza ad una comunità che crea “la periferia” anche nei centri più numerosi. Parlare insieme di periferia, ha portato, inevitabilmente alla questione sociale e alla proliferazione di neofascismi e mafie che affascinano i giovani e sanno esser presenti per “dare voce” al disagio accaparrandosi consensi. Ci si è chiesti quindi come possa ANPI agire in questi contesti e come coinvolgere il maggior numero di persone, in luoghi che spesso sembrano ostili. Come riportato dalle varie esperienze raccontate, la mancanza di rappresentatività (in tutti i settori) e l’individualismo della società in cui viviamo oggi, porta ad un senso di impotenza nei giovani che vivono nelle periferie che non si riconoscono più in nessun ideale. Abbiamo constatato che se al nord spesso le sezioni ANPI sono composte da parenti e conoscenti di partigiani, che hanno combattuto e vissuto la guerra, al sud la realtà è diversa per numero di partigiani, ma ugualmente motivata dallo spirito antifascista e di tutela della Costituzione. Le esperienze raccontate dai vari partecipanti sono state tra le più differenti: dai ragazzi Siciliani che hanno prestato volontariato nei CPR o che vanno nelle scuole a diffondere “messaggi di legalità”, alla ragazza del bolognese che fa servizio sociale per le famiglie “fragili”, al ragazzo del quartiere Baggio di Milano che ha gestito la sua sezione ANPI come fosse un circolo ricreativo dove possono incontrarsi giovani e anziani per parlare insieme. Proprio riguardo questa esperienza, forse perché la più simile al contesto di Parma e del nostro territorio, abbiamo colto lo spunto per una riflessione sulla necessità di ritrovare un “luogo fisico” con appuntamenti fissi dove condividere esperienze, parlare della Costituzione e dei diritti, dove dare forma alla mutualità o all’aiuto reciproco. Dal dibattito è emerso che, coinvolgere i giovani in queste esperienze si rivela sempre più necessario per dare loro modo di esprimersi e di parlare di tematiche che spesso non vengono trattate nella vita comune o che vengono raccontate in modo scorretto per determinare faziosità. Dalle relazioni finali che hanno esposto gli altri tavoli, abbiamo ascoltato le considerazioni del tavolo sulla “forza di gravità e la missione dell’associazione”, da cui è emerso che i giovani sono restii alle forme tradizionali di partecipazione e vanno prima di tutto raggiunti ed e ascoltati, là dove vivono, lavorano o studiano. Sono stati suggeriti, infatti, workshop, campeggi, riunioni informali e serate a tema, o anche un notiziario affinché gli adulti vengano a conoscenza del lavoro dei giovani. Si è dibattuto di come vada facilitato e sostenuto lo sviluppo del talento giovanile, al fine di potenziarne l’occupabilità e le opportunità nell’ambito associativo. I giovani non devono osservare il lavoro associativo, devono sperimentarlo. I giovani non vanno intrattenuti, come fossero un pubblico distante, ma devono essere protagonisti, anche in piccole azioni quotidiane, dando loro, la giusta visibilità. I membri dell’associazione, quindi, non devono essere visti come dispensatori di conoscenza, ma devono contribuire alla costruzione del carattere di ogni singola persona, attraverso un rapporto di dare-avere, facendoci insegnare il loro punto di vista e le loro conoscenze. È fondamentale quindi, anche la capacità del leader dell’associazione di diventare un mentore sull’ascolto attivo e della guida personalizzata. Dalla relazione sul tavolo dal titolo “ma chi siamo?” è emerso che l’adesione all’ANPI è molto diversificata e ci si avvicina molto spesso all’associazione per un background valoriale antifascista. ANPI però è spesso percepita come “vecchia” o “troppo istituzionale” e quindi respingente, non solo per età anagrafica media ma soprattutto per l’approccio ai temi di interesse e lo stile comunicativo. Considerato che ad oggi tutti i corpi intermedi, partiti, sindacati, associazioni, registrano difficoltà nella partecipazione ed in particolare nella partecipazione dei giovani, appare irrealistico aspettarsi che l’ANPI diventi un’organizzazione di massa. Tuttavia, l’importante rimane mobilitare le coscienze e la nostra deve diventare una voce autorevole che può convincere e fare opinione, aldilà del numero degli iscritti o simpatizzanti. In merito alla struttura e diversificazione di Anpi è emerso come sia fondamentale la collaborazione tra sezioni ma anche tra i vari soggetti associativi antifascisti (ARCI, CGIL, COOP, LIBERA, EMERGENCY) e anche con le associazioni studentesche. Rimane necessario, però, trovare format più coinvolgenti. Come dicevamo, Riccione ci ha fornito la possibilità di conoscere le varie esperienze dei nostri coetanei. Particolarmente interessante è stato capire e apprendere le diverse storie personali che hanno avvicinato ognuno di noi all’Associazione e il ruolo che oggi svolgiamo all’interno della stessa. Immaginavamo già di aver un vissuto in ANPI diverso rispetto a ragazzi cresciuti, ad esempio, in aree geografiche differenti dalla nostra. Ci ha stupito, invece, notare una certa diversità di vissuto in realtà piuttosto vicine a noi: tanti ragazzi lamentavano carenza di spazio e di ascolto all’interno di alcuni gruppi dirigenziali. Proprio alla luce di questi differenti racconti e percezioni nasce l’idea del questionario che è stato inviato a tutti voi: volevamo avere l’opportunità confrontarci a livello locale su come crescere con e per l’associazione, sentendo la responsabilità civile e l’orgoglio del ruolo che ci siamo scelti. Solo capendo chi siamo, il nostro passato, le nostre basi possiamo ragionare insieme sul nostro futuro. Leggere tutte le risposte, una novantina (equamente divise tra over e under 35), ci ha dato modo di conoscervi, o meglio conoscerci. Abbiamo ritenuto di rivolgere il questionario a tutti, non riservandolo ai soli giovani, in quanto siamo ANPI insieme ed insieme dobbiamo guardarci in faccia per discutere l’oggi ed il domani di questa associazione avendo riguardo alle sensibilità e alle caratteristiche di ogni suo componente. Per raccontare i risultati del questionario in due parole, potremmo usare FAMIGLIA e FORMAZIONE. Nonostante la diversa storia personale che ha portato ognuno di noi in associazione, la quasi totalità dei partecipanti al questionario ha espresso serenità nel parlare di tematiche politiche, culturali e sociali in famiglia: all’interno delle quali ci sono di sensibilità, valori, attenzione e non giudizio. Diversamente, la maggioranza ritiene difficile discutere di questi temi al di fuori delle mura di casa. Le motivazioni espresse dagli under e over 35 sono diverse anche se sostanzialmente facce della stessa medaglia: per gli under 35 si sottolinea principalmente un disinteresse diffuso dei coetanei mentre per gli over 35 si evidenzia la poca aggregazione, la mancanza di una comunità in cui discutere queste tematiche. Sembra evidente quindi che occorre fare rete, stare insieme e coinvolgere chi normalmente si mostra indifferente. Sul punto fanno capolino le parole di Antonio Gramsci “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano.” Molti hanno espresso una forte preoccupazione sui - purtroppo - ormai non più isolati fenomeni neofascisti e sulle attuali istituzioni politiche, preoccupazione che condividiamo appieno. È chiaro che nessuno di noi ha la soluzione in tasca ma la conoscenza della Costituzione (citata praticamente in ogni risposta) è la nostra più grande difesa contro gli estremismi. È sul modo di coinvolgere e di fare rete che la fa da protagonista la formazione espressa come un vero e proprio bisogno. Dai risultati emerge come tutti mettano al centro i progetti scolastici, gli incontri con gli esperti, e molti giovani aggiungono la visita ai luoghi di memoria e di ricordo. Uno spunto proficuo viene dai tanti che vedono la scuola non solo come il fondamentale strumento per capire ciò che è stato, ma anche come baluardo e mezzo per muoversi nel complesso mondo dell’informazione di oggi e per filtrare quindi le forse troppe notizie che ci bombardano ogni giorno. Per quanto riguarda la domanda perché definirsi antifascisti… onestamente le risposte sarebbero da raccogliere in un libro! Sono emersi messaggi meravigliosi, non ve li leggeremo perché in termini di tempo tutti sono troppi e vi assicuriamo che è impossibile farne una classifica. Invitiamo però i presenti in sede di dibattito a raccontarci la loro risposta. La domanda era complessa ma vi garantiamo che non c’è stata una risposta banale: soprattutto tra i più giovani abbiamo trovato una grande consapevolezza sulla nostra identità di antifascisti e sulla conoscenza della storia ma anche dell’attualità. Come abbiamo anticipato nella mail di invio il questionario non è un punto di arrivo ma di partenza, certo non abbiamo la presunzione di farne un’analisi statistica non avendone le benché minime competenze, ma è stata per noi una bella esperienza e vi ringraziamo per averci regalato le vostre riflessioni. A questo punto passiamo la parola all’assemblea e vi chiediamo di raccontarci come fare ad “Essere ANPI, insieme”.



foto Fausto Villazzi

Commenti disabilitati su Comitato Provinciale 01.06.2024

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