Giacomo Ferrari a 50 anni dalla scomparsa

Nicola Maestri Presidente Comitato Provinciale ANPI di Parma  

È con grande rispetto e commozione che personalmente mi approccio a questo ricordo di Giacomo Ferrari, il Comandante “ARTA”, e lo faccio portandovi il saluto convinto di tutto il Comitato Provinciale di ANPI Parma.

La storia dei popoli e delle nazioni è anche storia di persone, allo stesso modo che l'evolversi della vita degli individui, con più accentuazione per alcuni di essi, accade sotto la spinta di avvenimenti che riguardano l'intera società. [...]

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L'esistenza di Giacomo Ferrari è esemplare sotto questo aspetto. Il suo formarsi come uomo, il suo agire in un lungo arco di tempo - tre quarti del secolo scorso e la fine del precedente - ci mostrano un continuo intreccio con le vicenda di Parma e dell'Italia: una guerra coloniale, due guerre mondiali, l'avvento di una dittatura, il riscatto da essa, la ricostruzione del Paese, l'avvio di un'epoca di pace laboriosa.

Cinquant'anni fa ci lasciava l'uomo che attraverso il suo emblematico esempio ci ha donato una grande eredità, quella della strada da seguire, dell'esempio cristallino da imitare. Leggendo la sua testimonianza, i suoi ricordi, se ne trova traccia anche nel recente libro scritto dal pronipote Fabio Pasini, nel suo “Una biografia sentimentale”, Ferrari descrive in maniera puntuale e aderente ciò che ogni individuo dovrebbe pretendere da sé stesso, quando dice: “Ritenevo che la prima cosa che dovevamo fare noi, che intendevamo criticare la società e cercare di modificarla, era dimostrare che sapevamo compiere il nostro dovere e poi chiedere agli altri di dare e fare quello che noi dicevamo dovessimo dare e fare”.

Un valore, quello di Giacomo Ferrari, esemplare, che tocca il suo punto apicale in occasione dell'uccisione del figlio Brunetto quando, nonostante il dolore straziante, si preoccupa della vita e della sicurezza dei suoi partigiani e poi, a poco più di un mese di distanza, la vigilia di Natale del 1944, divide lo scarso rancio con i prigionieri fascisti. Un gesto che descrive limpidamente la cifra dell'uomo.

Giacomo Ferrari è stato un autentico uomo delle istituzioni. Proviamo a pensarlo Prefetto subito dopo il 25 Aprile del 1945, poi uno dei Padri costituenti eletto appunto alla Costituente, quindi Senatore, Ministro dei Trasporti nel II e III Gabinetto De Gasperi, per poi assumere l'incarico di Sindaco della città di Parma dal 1951 al 1963, apportando modifiche tangibili sul tenore di vita, soprattutto delle classi meno abbienti.

Mi consentirete una piccola parentesi affettiva e famigliare, perché nel maggio del 1961 in Municipio a Parma, il Sindaco Ferrari, unirà in matrimonio mio padre Armando e mia madre Iride, figlia di Eleuterio, martire della Resistenza. Un ricordo intimo questo, che mi accompagna fin dalla tenera età. Non mi scuso per questa concessione al richiamo della nostalgia che è un sentimento insopprimibile fino a quando l'essere umano conserverà la coscienza di avere un passato. Essa però può essere sterile e addirittura ostacolare la trasmissione delle esperienze da una generazione all'altra quando si esaurisce nel rimpianto dei tempi andati, visti come carichi di virtù e paragonato a un presente foriero di ogni corruzione e ogni vizio. Ma la nostalgia non è solo amore, a volte struggente, per il nostro passato, è anche stimolo alla comprensione storica. E la parabola su questa terra di ARTA lo ha dimostrato plasticamente.

Per tornare proprio al suo percorso, dopo questa significativa esperienza da Sindaco, Giacomo Ferrari ritorna in Senato e mantiene l'incarico di vicepresidente della Commissione Trasporti fino al 1970, quando abbandona l'attività politica.

La vita di Giacomo Ferrari ha attraversato il cosiddetto “secolo breve” come una cometa luminosa, come quel faro che illumina i nostri caduti che non sono mai morti, per utilizzare le sue stesse parole. Come dimenticare l'orazione funebre che Giacomo Ferrari tenne in occasione dei funerali di Mariano Lupo, il giovanissimo ragazzo di Lotta Continua, ucciso brutalmente da alcuni neofascisti nel 1972. Un'orazione tenuta davanti a più di quarantamila persone, che rappresenta ancora oggi una lezione perenne di umanità e un lascito morale unico e insostituibile. Ma oggi, la sua vicenda, ci offre l'opportunità per gettare una luce e riflettere a fondo sul fenomeno che ha caratterizzato drammaticamente il Novecento, mi riferisco al fascismo, il grande rimosso del nostro Paese.

Se ne parla sempre ma non se parla mai davvero. Attualizzato o sminuito, sempre e comunque in qualche modo travisato da forme di revisionismo più o meno subdole. Ma il fascismo, come anche Arta ci ha così bene dimostrato, è stato qualcosa di molto più complesso e di ben più inquietante; e aguzzando la vista oggi lo potremmo scovare dove meno ci si aspetterebbe di trovarlo.

Abbiamo la fortuna di avere in eredità storie come quelle di Arta, ma anche di tante vittime del fascismo, che attraverso le loro drammatiche esperienze, hanno visto la nascita del regime a volte in presa diretta. Ci sono scritti illuminanti dedicati ad esempio da Antonio Gramsci all'ascesa del regime fascista. Scritti che ne rilevano i legami con le grandi trasformazioni che attraversano le società capitalistiche, e che mettono al centro le classi sociali, i tempi della storia, le forme del comando e i processi di modernizzazione. Scritti che mostrano l'evoluzione di un pensiero d'avanguardia, sempre vigile e acuto malgrado l'isolamento e le sofferenze della prigionia e della guerra. E sono proprio questi i pensieri a cui tornare ogni volta, per sorprendersi di quanto possano continuare a parlarci con la stessa attualità. Tutto ciò per ribadire con forza che per nostra fortuna abbiamo avuto saggi e illuminati pensatori, nati sul finire dell'ottocento, che continuano,

nonostante il tempo trascorso, a possedere il pregio della contemporaneità e la potenza del dono di offrirci profondi spunti di riflessione.

Giacomo Ferrari, uno dei figli più gloriosi e meritori della nostra città, è senza ombra di dubbio uno di questi uomini.

Ed è proprio questo il significato della sua lezione e di quella che definiamo la memoria storica, della quale da più parti si lamenta l'offuscamento e che comporta, laddove questa tendenza non sia contrastata, il dissolvimento della coscienza politica di un Paese, la perdita del senso della solidarietà nazionale, la brutale colonizzazione della sua cultura. Un popolo di “senza storia”, manipolabile e assoggettabile mediante le tecniche della comunicazione di massa, è condannato a perdere la propria autonomia, vale a dire la propria capacità di pensare e di decidere anche quando se ne rispettino le libertà formali.

Concludo.

Ricordare la figura e l'opera di Giacomo Ferrari non è perciò soltanto un atto di dovuta gratitudine, è anche un atto di fede nei valori dei quali e per i quali è vissuto e che hanno dato nuovo alimento alla tradizione che ha dato gloria a Parma e alla sua provincia conferendole un posto

d'onore nella storia nazionale del nostro Paese.

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